Una spezia antichissima, non solo ottima in cucina, ma conosciuta anche per le sue proprietà benefiche. Usata da Alessandro Magno e da Cleopatra come shampoo e crema di bellezza, lo zafferano in Italia ha diverse di produzione di alta qualità, malgrado i numeri si attestino su poche decine di chilogrammi all’anno e due Dop, quella di Navelli, in Abruzzo, e quella sarda.
Si fa presto a dire che profumo di zafferano. Lo sapevate ad esempio che sono ben 160 le componenti che determinano il caratteristico odore di questa spezia? Una particolarità che è solo una delle tante che contraddistinguono uno dei prodotti più conosciuti ma anche più costosi al mondo. L'inizio è semplice: tutto parte da un fiore. La pianta dello zafferano è il Crocus Sativus, una bulbosa della famiglia delle iridacee. La spezia si ricava dagli stimmi del suo fiore essiccandoli (sbagliato quindi parlare di pistilli): questi sono anche la parte destinata a ricevere il polline per la fecondazione. In realtà, il fiore di zafferano ha perso la sua funzione riproduttiva e viene perpetuato attraverso la moltiplicazione dei bulbi. Vietato poi farlo aprire: la raccolta degli stimmi va fatta di notte quando la corolla è chiusa perché solo così si possono garantire le proprietà organolettiche e nutritive della spezia.
Zafferano un è termine che arriva da lontano, forse dall'arabo za’feràn o da sahafaran in persiano, passando per il latino safranum. Tutte le possibilità richiamano la radice della parola "giallo". La pianta stessa, il Crocus Sativus è in realtà una selezione derivante dal Crocus cartwrightianus, pianta originaria dell'isola di Creta. Tracce letterarie di questa spezia sono ovunque, a partire dalla Bibbia dove è presente nel giardino del Cantico dei Cantici, raffigurato nel palazzo di Cnosso a Creta, menzionato dagli egizi nel papiro di Ebers. Ovviamente non possono mancare le leggende: la prima è di origine greca e ha per protagonista il giovane Croco, trasformato in fiore per aver osato innamorarsi della ninfa Smilace. La seconda vede in campo Mercurio che, per sbaglio, avrebbe messo in atto la trasformazione dell'amico e per ricordarsene tinse di rosso il fiore all'interno.
Grazie all'intenso colore giallo dei suoi stimmi, lo zafferano è sempre stato usato nella cosmesi, come nella pittura, nonché per la tintura degli abiti, fin nell'antica Roma. È con il Medioevo invece che la sua popolarità cresce anche nell'ambito delle spezie culinarie, che, all'epoca, avevano valori inestimabili ed erano alla base di scambi commerciali di grande importanza. In questo periodo, chiunque venisse sorpreso ad adulterare lo zafferano con ingredienti meno preziosi veniva bruciato vivo. Così anche nella Norimberga quattrocentesca e sotto il regno di Enrico VIII in Inghilterra, adulterare lo zafferano mischiandolo con qualcos’altro era un reato passibile della pena capitale. Questo accadeva proprio perché la spezia veniva usata anche come merce di scambio, cosmetico e tintura per colorare vestiti e tessuti. Personaggi famosi ne facevano grande uso in cosmesi. Tra questi Alessandro Magno che era solito lavare i capelli con questa spezia per mantenerli lucidi e di un bel colore dorato. Cleopatra lo usava come crema di bellezza, per dare colore alle gote e come smalto ante litteram.
Poco ma buono, verrebbe da dire. Eh sì, perché il quantitativo è davvero esiguo e la coltivazione non dà prodotti di qualità ovunque. Parliamo di un centinaio di ettari coltivati all’anno per una produzione che si aggira intorno ai 600 chili: non abbastanza in verità per coprire il fabbisogno del Paese ed ecco perché se ne importa tanto dall’Iran e dal Marocco.
In Italia le zone principali di produzione dello zafferano sono l’Abruzzo e la Sardegna. L’Abruzzo è famoso soprattutto per l’altipiano dei Navelli, in provincia di L’Aquila dove si coltiva fin dal 1300 ed è riconosciuto come prodotto Dop. Sull’isola sarda le coltivazioni sono soprattutto nel medio Campidano, con il famoso zafferano di San Gavino Monreale. Altre zone di rilievo sono la Toscana, sulle colline fiorentine e nella Maremma, l’Umbria (in particolare nella zona di Cascia e a Città della Pieve) e le Marche. Lo zafferano non manca in Sicilia, in Emilia Romagna sul Ventasso, nelle Langhe Piemontesi e in Lombardia (Brianza, Milanese, Valli Bergamasche e Bresciano).
Il prezzo del zafferano nostrano non è paragonabile a quello di importazione: i fattori che incidono sull’alto costo sono diversi. Innanzitutto il costo della manodopera, in particolare nelle operazioni di raccolta e sfioritura, che non possono essere meccanizzate. Come abbiamo già detto, il fiore viene raccolto prima che si schiuda, nelle ore del primo mattino, gli stimmi vengono mondati ed essiccati in giornata. Al contrario, quello di fabbricazione industriale, viene raccolto su superfici enormi, con gli stimmi lasciati al sole per giorni, compromettendo così le loro qualità nutritive e organolettiche. Servono circa 100 mila fiori per produrre “appena” mezzo chilo di zafferano, e servono 500 ore di lavoro da concentrare in circa venti giorni, tra la metà di ottobre e l’inizio di novembre.
Ritenuta la spezia del buonumore, lo zafferano deve questa sua attribuzione di certo al colore giallo carico che lo contraddistingue, ma anche alle sue grandi proprietà, in particolare al suo buon apporto vitaminico: è infatti ricco di vitamina B1 e B2. Rilevante è anche la presenza di carotenoidi – mille volte in più delle carote – che combattono i radicali liberi e i processi di invecchiamento cellulare, aiutando la conservazione delle cellule cerebrali. C’è poi il safranale che è la componente che dà il tipico odore allo zafferano, ottimo per la digestione e per l’attivazione del metabolismo. Può essere un valido antidepressivo, in particolare per gli sbalzi dovuti alla sindrome premestruale, questo perché safranale e crocina, altro importante antiossidante, incrementano i neurotrasmettitori come dopamina e serotonina.