Non esiste un solo tipo di manzo wagyū: dopo quello di Kobe si sta facendo largo un'altra varietà molto pregiata, che può raggiungere prezzi notevoli, per non dire proibitivi.
Si possono pagare al ristorante fino a 530 dollari per 100 grammi di carne? La risposta è sì, se si tratta del matsusaka wagyū, proveniente dall'allevamento Ito Ranch, valutato al momento come una delle carni più costose al mondo, se non la più cara. Da qualche tempo il nome di questa tipologia di manzo giapponese si è fatto strada tra appassionati ed intenditori, che ne lodano la qualità: è tenera, aromatica, si scioglie in bocca come fosse burro e alla vista è caratterizzata da un alto livello di marezzatura. La sua produzione, infatti, entra all’interno di quei rigidi disciplinari a cui devono sottostare le diverse varietà di wagyū, come per esempio il più conosciuto manzo di Kobe, la cui la popolarità ha ormai superato i confini nazionali.
Ormai anche i non esperti del settore hanno assimilato alcune nozioni base che rendono più facile orientarsi nel mondo della carne giapponese. La parola wagyū è data dall’unione di wa, che si può tradurre come “giapponese” e gyū, che significa bovino: letteralmente, quindi, vuol dire bovino giapponese. Quella di Kobe è una carne che ha origine dalla lavorazione e macellazione di una particolare razza, la Tajima, con esemplari che devono essere nati e vissuti esclusivamente nella prefettura di Hyōgo: il tutto certificato da un rigido disciplinare. Lo stesso vale per il Matsusaka, che altro non è che la stessa Tajima che viene trasferita ed allevata esclusivamente nella cittadina di Matsusaka, nelle campagne dell’entroterra della prefettura di Mie. Gli esemplari da cui si ricava la carne sono rigorosamente delle giovenche di Japanese Black che non hanno mai partorito e che vengono macellate attorno ai 30-36 mesi, ovvero quando la quantità di grasso e la sua distribuzione si rivelano ideali (in media i bovini subiscono la macellazione attorno ai 18 mesi). Gli standard per ricevere la certificazione sono molto rigorosi e sono regolati dal Matsusaka Beef Management System: ogni mucca viene tracciata con un ID a 10 cifre, al fine che non ci siano falsificazioni. Con quel codice si possono rintracciare la data e il luogo di nascita, quelli di macellazione e anche il pedigree, risalendo ai suoi antenati.
Quando si dice che la carne wagyū sia così buona (e dispendiosa) perché le mucche vengono allevate bevendo birra e massaggiate, è proprio a questi allevamenti di Matsusaka, tra cui quello fondato da Hiroki Ito nel 1953, a cui si fa riferimento. Dov’è giusto anche sfatare qualche mito: la birra viene data perché aumenta l’appetito e fa diminuire lo stress, mentre le spazzolate sono a base di shōchū, un tipico distillato giapponese, e servono sia a stimolare la circolazione sanguigna in quanto la mucca non sempre può muoversi in spazi ampi, sia per mantenere un alto livello di igiene, privando il manto di eventuali parassiti e microorganismi. Detto ciò, gli allevatori cercano di garantire al bestiame il massimo del benessere, anche perché la bassa quantità di capi lo permette: è previsto uno spazio vitale adeguato che viene pulito regolarmente e il cibo è a base di paglia di riso, orzo e soia, preparato ad hoc. Nel 2002 un esemplare ha raggiunto la cifra di 330.000 mila dollari di valore.
Ci sono almeno un centinaio di varietà di wagyū e non tutte raggiungono gli stessi picchi di eccellenza, un po’ come succede con le tipologie di manzo anche nel resto del mondo. Come se ne definisce la qualità? Nel Sol Levante esiste un metodo stabilito dalla Japan Meat Association che vede protagoniste essenzialmente due valutazioni che si combinano tra loro: la prima è quella relativa alla proporzione tra carne e scarti presenti nella carcassa dell’esemplare, con una scala di valori alfabetica compresa tra A (ottima), B (nello standard) e C (insufficiente); mentre la seconda si concentra maggiormente sul grado di pregio della carne e del grasso, tenendo conto di colore, texture, brillantezza, compattezza, con numeri che vanno da 1 (bassissimo) a 5 (altissimo).
Un altro parametro da tenere d’occhio è quello della marezzatura, indicato come Beef Marble Score (BMS), che si misura da 1 a 12 in ordine crescente, dove una marmorizzazione lodevole deve arrivare almeno a 8. Si tratta di metri di giudizio severi, che vanno inevitabilmente a incidere anche sul costo finale: il recente successo del wagyū matsusaka può essere attribuito al fatto che si tratta di una specialità ancora di nicchia, meno diffusa ed esportata del wagyū kobe, con in media più grassi insaturi capaci di donare maggiore dolcezza e scioglievolezza all’assaggio.