Un prodotto ittico fortemente legato al territorio di Romagna e Marche, protagonista di piatti della tradizione come spaghetti e zuppe. Le poveracce sono le vongole lupino comuni, che per decenni hanno rappresentato un cibo per "poveri".
Nelle acque basse e sabbiose dell’Adriatico settentrionale, in particolare lungo le coste della Romagna e delle Marche del nord, vive un mollusco bivalve che da secoli arriva sulle tavole dei pescatori, delle famiglie e dei ristoranti del litorale: si tratta del lupino, la vongola comune che qui viene chiamata “poveraccia”, per il suo essere stata per lungo tempo una risorsa alimentare di sussistenza, abbondante e accessibile. Protagonista di piatti tradizionali come spaghetti e zuppe, è un prodotto fortemente legato al territorio, tanto da far litigare qualcuno. Andiamo alla sua scoperta.
Di vongole non ne esiste una sola varietà. Le più note sono senza dubbio le vongole veraci, che però non hanno nulla a che fare con le poveracce che corrispondono, invece, ai lupini. Con lupino (nome scientifico Chamelea gallina), infatti, si indica la vongola più comune, diffusa soprattutto sulle coste adriatiche e medio tirreniche: ha una forma arrotondata, dimensioni contenute che si aggirano tra i 2,5 cm i 3,5 cm, con un guscio chiaro dalle striature grigiastre, giallognole o beige. Essendo delicati non si prestano all’allevamento e possono solo essere pescati, conferendo così al mollusco un sapore più sapido e deciso. Al contrario, le vongole veraci – sia che si tratti delle più rare e quindi pregiate del Mediterraneo (Ruditapes decussatus o Venerupis decussata) sia di quelle più economiche filippine (Ruditapes philippinarum), originarie del Mar del Giappone – sono principalmente allevate in acquacoltura: diventano più grosse e carnose, con le prime che si caratterizzano per il loro gusto dolciastro molto apprezzato.
Il termine "poveraccia" racchiude un piccolo mondo fatto di cultura gastronomica, storia e identità territoriale. Il lupino è presente sul litorale che attraversa le province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini in Romagna meglio conosciuto come “puraza” e quello marchigiano, nell’area di Fano e Senigallia, con il nome di “purassa”. In passato è stato un alimento tipico delle famiglie più modeste, facile da raccogliere quando c’era bassa marea, nonché una piccola fonte di guadagno dei pescatori: nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, per esempio, le donne bellariesi (di Bellaria, nel riminese) vendevano per strada al prezzo di 2 centesimi al chilo queste vongole pescate dai mariti. Un alimento tradizionale che è ancora protagonista di piatti tipici come gli spaghetti con le poveracce, a base di aglio, olio e prezzemolo, la zuppa di poveracce (la sópa ‘d pavaraz) con la salsa di pomodoro o le vongole alla pureta fanesi, fatte semplicemente aprire in padella con olio, aglio e prezzemolo. I lupini dell’Adriatico sono disponibili tutto l’anno, con la pesca da parte dei vongolari regolamentata per zone, stagionalità e quantità: a differenza delle vongole veraci non hanno subito gli attacchi del granchio blu che ha sterminato quelle del Delta del Po e della Laguna veneziana, ma nel 2024 sono state messe a dura prova da una massa di alghe gelatinosa che ha invaso le coste, rendendone non solo difficile la cattura, ma anche la sopravvivenza.
A proposito di identità territoriale, in questo momento è in corso una “guerra delle vongole”, così come viene definita dalla stampa, tra la Romagna e Marche. Cosa sta succedendo? L'associazione dei pescatori marchigiani di Fano ha richiesto l'Igp al Masaf per la denominazione regionale "purassa", limitando nel disciplinare presentato la zona di produzione tra la foce del torrente Tavollo, al confine tra Pesaro e Rimini e Marzocca, in provincia di Ancona. Questo ha suscitato l'opposizione dei pescatori riminesi e ravennati, che temono che tale riconoscimento escluda la possibilità di ottenere un'Igp per la loro storica "puraza" romagnola. Una possibile soluzione? Quella di allargare la certificazione a tutte le vongole lupino dell'Adriatico.