Essendo una specie protetta, nel nostro paese questo volatile non si tocca. Non è così in Gran Bretagna, dove le sue uova sono considerate prelibate, anche se animalisti e scienziati potrebbero mettere un freno al consumo.
Le uova di gabbiano sono un prodotto che non rientra nei nostri menu come succede, al contrario, con altre varietà. In Italia, infatti, questo volatile marino è classificato come specie protetta dalla legge 157/92, che lo tutela in quanto gioca un ruolo importante per il mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema. Non è così tranchant, invece, la normativa in Gran Bretagna, che è il paese dove queste uova vengono considerate una vera e propria specialità da secoli, nonostante la raccolta sia regolamentata e sempre meno praticata, anche grazie alle proteste degli animalisti. In generale, le uova di gabbiano sono considerate un cibo raro e costoso da avere sulla tavola, tanto che nel 2010 aveva fatto particolare scalpore il loro uso in una omelette gourmet del ristorante londinese Boisdale, con un costo lievitato a 90 sterline (circa 134 euro). Vediamo perché.
Dei gabbiani, bene o male, tutti ne identifichiamo le fattezze: hanno dimensioni variabili, becco giallo uncinato, colori che vanno dal bianco al grigio, passando per il marroncino, ma solo l’occhio più attento dell’ornitologo potrebbe distinguerne le diverse specie che popolano non solo la penisola, ma anche tutto il mondo. Il gabbiano è un uccello marino migratore che appartiene alla sottofamiglia delle Larianae: solitamente vive in colonie e nidifica lungo le coste, anche se, complice la sempre meno disponibilità di alimenti nel suo habitat naturale, tende a diventare stanziale nelle città, rovistando nei rifiuti e talvolta manifestando comportamenti aggressivi nei confronti dell’uomo. Non ne esiste una sola tipologia: se ne distinguono almeno 53 sparse in tutto il globo, dal grande gabbiano reale mediterraneo (Larus michahellis) al più piccolo gabbianello (Hydrocoloeus minutus), passando per il gabbiano zafferano (Larus fuscus) e il corallino (Ichthyaetus melanocephalus).
Quelle più note di cui si mangiano le uova sono il gabbiano comune (Chroicocephalus ridibundus), di piccole medie-dimensioni chiamato anche testanera, in quanto d’estate i maschi hanno il capo di un piumaggio dalle nuance marrone-cioccolato; il mugnaiaccio (Larus marinus), rarissimo in Italia, più diffuso in Islanda, di cui però la popolazione è in calo, tanto che le sue uova sono state iscritte da Slow Food nella selezione Arca del Gusto, al fine di renderne il consumo sostenibile; infine ci sono il gabbiano reale americano (Larus smithsonianus) e il gabbiano glauco del pacifico (Larus glaucescens).
Il prelievo delle uova di gabbiano rientra nelle pratiche di raccolta di cibo selvatico esattamente come il foraging con le erbe e i frutti spontanei ed è regolamentata attraverso una severa normativa: si concentra perlopiù all’interno di paesi e territori dove ha un forte legame con la tradizione, come la Gran Bretagna, la Norvegia, l’Islanda, la Groenlandia, due piccole province del Canada vicino a Vancouver e in Alaska, esclusivamente nella comunità indigena dei Tlingit. Le uova possono essere tolte dai nidi solo per un paio di mesi l’anno in primavera, da un periodo che a seconda delle licenze nei vari stati va dal 1° aprile al 15 giugno. In base alle specie hanno una minore o maggiore grandezza rispetto a quelle di gallina, hanno un guscio beige o verdastro, costellato di piccole macchie nere, in quanto si devono mimetizzare nell'ambiente circostante. Il sapore è delicato, il tuorlo giallo vivo e la consistenza risulta particolarmente cremosa: come valore sul mercato, in UK arrivano a superare le 10 sterline ciascuna. Si possono gustare bollite, all’occhio di bue o strapazzate, in versione scotch eggs oppure alla coque, proprio come tutte le altre uova.
Il terreno di battaglia in cui si sta svolgendo uno scontro per revocare i permessi alla “caccia” delle uova di gabbiano è la Gran Bretagna: a essere coinvolto è il gabbiano comune testanera, che negli ultimi anni ha visto diminuire sempre di più il totale dei suoi esemplari, arrivati come riportato dal Guardian a soli 140.000 individui atti a riprodursi. La Royal Society for the Protection of Birds ha inserito questa specie nella sua lista ambra (a metà tra la verde e la rossa), dandole quindi lo status di “potenzialmente in pericolo”, con gli animalisti che chiedono il divieto di raccolta delle uova e quindi di consumo. Non sono solo le associazioni a difesa del benessere animale che, però, vorrebbero mettere fine alla loro commercializzazione, un po’ come succede con la carne di tartaruga: da circa un decennio vengono svolte continue ricerche sui possibili danni alla salute umana che le uova di gabbiano potrebbero provocare, visto che questi volatili sono soggetti a contaminazioni di sostanze inquinanti ingerite attraverso il cibo: in particolare, nel 2021, in alcune uova provenienti dalla Cornovaglia si è riscontrata la presenza di additivi chimici usati per la produzione della plastica.