Cresce solo in una piccola zona della Sardegna ed è antichissimo: il sa pompìa è uno degli agrumi più rari e strani del pianeta, arrivato fino a noi grazie a un dolce tramandato per via orale, solo alle donne.
Un frutto trascurato da tutti, dalle origini misteriose e dal nome curioso: citrus mostruosa, questo il nome che Giuseppe Moris ha dato all'agrume nel 1837 in uno dei più importanti libri di botanica della nostra storia. Questo è il sa pompìa, un ibrido naturale tra cedro e limone dalla scorza bitorzoluta che può arrivare a pesare oltre mezzo chilo. Cresce solo in Sardegna, nelle macchie di Siniscola dell’Alta Baronia, da Busoni a Orosei, un'area che da secoli offre una gran quantità di agrumi. Pure l'albero è strano: simile a quello dell'arancio, ha in realtà dei rami molto spinosi ed è estremamente resistente, per questo motivo ha attraversato l'incedere del tempo senza mai essere coltivato e senza mai avere problemi. Lui è lì a vegliare sull'isola dei quattro mori, ignaro di essere uno degli agrumi più rari al mondo. Andiamo alla scoperta del sa pompìa, l'ibrido che di "mostruoso" non ha proprio nulla.
Si tratta di un cedro-non-cedro davvero speciale le cui origini sono incerte. La teoria più accreditata è che si tratti di un ibrido tra cedro e limone ma alcuni credono derivi dalla fusione tra cedro e pompelmo. A lungo dimenticato, il pompia viene citato per la prima volta in un testo di agronomia e botanica risalente alla fine del diciottesimo secolo. Vive un periodo di riscoperta alla fine degli anni '90 grazie ad alcuni contadini di Siniscola che lo impiantano per una coltivazione estensiva: insieme al Comune di Siniscola creano un progetto di agricoltura sociale di gran successo.
In pochi anni nasce il presidio Slow Food e dal 2004 il sa pompìa partecipa a tutte le manifestazioni dell'associazione fondata da Carlin Petrini. Tutti questi riconoscimenti sono fondamentali per la storia di questo agrume anche perché portano ricercatori in Sardegna: solo nel 2015 riceve il definitivo riconoscimento di "citrus x mostruosa" perché prima non era riconosciuto a livello accademico a causa della mancanza di studi sul frutto. Pur risultando tanto antico il sa pompìa è così raro e poco diffuso da essere sconosciuto perfino alla scienza.
Fino ad ora abbiamo parlato della resistenza della pianta ma un altro punto fondamentale che ha fatto sopravvivere questo prodotto per tanto tempo è la tradizione culinaria sarda. A Siniscola e nei villaggi vicini si prepara la pompìa intrea, una ricetta tramandata da secoli per via orale e solo alle donne, un bagaglio culturale importantissimo per l'identità sarda. La ricetta può essere preparata con miele o sciroppo di zucchero al quale va comunque aggiunto del miele per avere un sapore dolce con un retrogusto amarognolo. Se nonostante tutto questo saccarosio la torta è ancora amarognola puoi dedurre che ci troviamo davanti a un frutto davvero ostico.
Questo dolce ha tempi di lavorazione lunghissimi, supera le 6 ore per la sola preparazione degli agrumi, ce ne vogliono altre tre di bollitura, poi lo si lascia raffreddare. Ci vuole davvero una quantità di tempo abnorme ma il risultato merita. C'è anche una versione più golosa, la pompìa prena, ovvero "piena" di mandorle tritate; l'agrume può essere anche candito, a filetti, per l'aranzata: una torta di pompìa, mandorle, miele e i sa trazea, dei piccoli confettini colorati.
Per tutte queste preparazioni può essere usata solo la parte bianca o la scorza (ottima anche per i liquori), ma la polpa. Il succo di pompìa è troppo acido per essere mangiato o bevuto: è molto più forte di limone, cedro e pompelmo, impensabile il suo consumo da fresco, a spicchi, sotto forma di spremuta o anche solo per condire l'insalata.