Via libera della Russia all’accordo per le esportazioni di grano e mais. Riprendono le spedizioni anche verso l’Italia dove sono attesi oltre un miliardo di chili di forniture di cereali. La nota pubblicata da Coldiretti.
Dopo l'ennesimo stop russo alla partenza delle navi trasportatrici di grano e cereali (che ha causato un ulteriore rialzo dei costi delle materie prime) ora è arrivato un nuovo ok da Mosca. In partenza dai porti del Mar Nero direzione Italia le forniture di mais per l’alimentazione animale, grano tenero e olio di girasole. "Con il via libera della Russia all'accordo – si legge su una nota pubblicata da Coldiretti – riprendono le spedizioni anche verso l’Italia, dove sono arrivati dall’Ucraina quasi 1,2 miliardi di chili di mais per l’alimentazione animale, grano tenero e olio di girasole nell’ultimo anno prima della guerra".
Ripreso in mano l'accordo, risalente alla scorsa estate, tra Nazioni Unite, Turchia e Ucraina per il via libera delle navi cargo contenenti grano e mais, materie prime di cui Kiev è tra i maggiori esportatori mondiali e importante fornitore per l'Italia (soprattutto per quanto riguarda il mais, destinato per lo più all'alimentazione animale).
Il nostro Paese nello specifico è costretto a importare circa la metà del proprio fabbisogno di mais per nutrire gli animali nelle stalle. Per quanto riguarda il grano, invece, l'Ucraina garantisce pressappoco il 3% dell’import nazionale, vale a dire 122 milioni di chili. Sono invece 260 milioni i chili di olio di girasole introdotti annualmente in Italia, secondo l’analisi su dati Istat relativi al commercio estero per il 2021. L’Italia si ritrova a dover "… importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
"L’apertura di Putin è importante soprattutto – prosegue Coldiretti nel suo comunicato – per la forniture di mais alle stalle italiane in una situazione in cui i costi di produzione sono cresciuti del 57% secondo il Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, ndr) mettendo in ginocchio gli allevatori nazionali".