La tequila o il tequila? Va bevuta liscia o con sale e limone? La storia, le leggende azteche sulla nascita della Tequila, la produzione e la coltivazione dell'agave. Tutto sul distillato simbolo del Messico. "Questo prodotto evoca in me tanti odori, tanti ricordi" ci dice la bartender Chiara Mascellaro.
La tequila, un simbolo del Messico. Il distillato con cui Gus Frings si è sbarazzato del Cartello di Juarez in Breaking Bad; il distillato che Meredith Grey abbraccia quando scopre che Derek Shepherd è sposato con Addison Montgomery in Grey’s Anatomy. Oggi vi raccontiamo tutto su questo prodotto ottenuto dalla fermentazione e distillazione dell'agave blu. Il suo sapore pepato, erbaceo, che ricorda le sterminate distese del deserto messicano con le piantagioni di agave che si estendono per il territorio di Jalisco. Una volta raccolte le piante sono cotte a vapore il cui liquido, l'aguamiel, viene poi fatto fermentare e infine distillato. La sola distillazione dona alla tequila un colore trasparente, puro. Abbiamo poi tre varietà, la Reposado, l'Añejo e la Extra añejo color ambra, come il whiskey, perché invecchiate in botte per un sapore ancora più corposo alla tequila, o come dicono gli ispanici, il tequila.
Fissiamo un punto prima di proseguire: “il” tequila o “la” tequila? Vanno bene entrambe, il sostantivo maschile è per lo spagnolo, mentre quello femminile è in italiano. La denominazione è di origine controllata e riconosciuta dalla comunità internazionale: indica esclusivamente l’acquavite di agave prodotta nello Stato di Jalisco e di alcuni Stati di Nayarit, Guanajuato, Michoacán e Tamaulipas. La gradazione alcolica deve essere compresa tra i 40° e i 45°, ottenuta tramite doppia distillazione in alambicco discontinuo e deve avere almeno il 51% di agave blu nella tabella nutrizionale.
Le prime tracce di questo distillato risalgono al tempo degli aztechi. Molte leggende sulla nascita della tequila sono riconducibili proprio a questo periodo, prima dell’avvento dei Conquistadores in Messico. Si dice che la stessa Frida Khalo, simbolo umano del Messico, fosse talmente appassionata di tequila da chiedere al proprio medico, nonostante le malattie, "Dottore, se mi lascia bere questa tequila, prometto che al mio funerale non tocco un goccio".
La tequila secondo gli aztechi era il dono che gli Dei facevano alle persone prescelte, infatti il distillato era bevuto solo da sacerdoti, nobili e dagli anziani malati. Molte storie del periodo fanno capire come, fin dall’antichità, la tequila fosse usata come un antidepressivo, “Ti guarisce da tutti i mali, in particolar modo dalla tristezza e dal cattivo umore” si legge sui quaderni dei conquistadores. Proprio da questa “proprietà” nasce la leggenda più bella riguardante il distillato.
Il Dio Quetzalcoatl (dio del vento, di Venere, dell'alba, dei mercanti e delle arti, dei mestieri e della conoscenza), stanco nel vedere gli uomini tristi e disperati (a causa delle vessazioni spagnole), fa innamorare e si innamora della Dea Mayahuel (dea dell’amore ricambiato e protettrice dell’agave) affinché planasse sulla Terra per offrire agli uomini la sua bellezza. Offesa per questo accoppiamento, la nonna della dea appartenente alle Tzitzimime (una sorta di Angeli della Morte), sale dalle Tenebre per cercare la nipote e punirla. Quetzalcoatl, per proteggere la sua amata, la prende in braccio e si trasforma in un albero. La nonna, una volta scoperto l’inganno, si arrabbia ancora di più e colpisce la Terra con fulmini e saette, finché l’albero non si distrusse.
Una volta placata la furia della nonna, il dio Quetzacoatl riprende le proprie sembianze ma i rami bruciati sono purtroppo le ossa della sua amata. Proprio dove si erano nascosti, raccoglie e seppellisce i rami di Mayahuel. Dalle lacrime del Dio sulle ossa dell’amata, dal cui cuore sgorga “l’acqua sacra”, nasce l’agave, che pone fine alla tristezza degli esseri umani sulla Terra.
Sebbene Barney Stinson ci ammonisca dicendo che “non va rovinata una bella storia con la verità”, il racconto reale della nascita della tequila è molto meno romantico: ma bisogna parlarne. Stando ai registri panamericani, la prima tequila fu prodotta in quella che poi sarà la città di Tequila nel XVI secolo. Il distillato non aveva questo nome e non era proprio tequila. Per il distillato come lo conosciamo oggi bisogna attendere l’arrivo degli Spagnoli. Nel 1521 i Conquistadores finiscono le scorte di brandy portate dall’Europa e provano questo “Ictac octli”, il liquore bianco prodotto dalle popolazioni autoctone. Piace, ma lo migliorano, grazie all’esperienza nel Vecchio Continente: il succo d’agave lo fanno fermentare. Abbiamo la tequila.
Conquistato il Messico, il distillato diviene uno dei primi alcolici autoctoni del Nord America. Don Pedro Sanchez de Tagle, il marchese d’Altamira che regnava sulla zona per conto della corona di Spagna, intuisce le potenzialità economiche della tequila e comincia una produzione in massa in una fabbrica: il prodotto piace molto e arriva in Spagna dove Re Carlo IV concede la licenza e ovviamente tassa la tequila.
Per quasi 300 anni la vita di questo alcolico scorre tranquilla in un continuo viaggio tra le Americhe e l’Europa. Quando come presidente municipale di Tequila viene eletto un produttore le cose cambiano però: Don Cenobio Sauza prima, e suo nipote poi, decidono di sconfinare e portano la tequila negli Stati Uniti, affermando però che “non può esserci tequila dove non cresce l’agave”. Ancora oggi questo distillato può essere prodotto solo all’interno dei confini messicani grazie a quella intuizione.
La pianta da cui proviene questo distillato è l’agave blu, detta anche agave tequilana. Dal vegetale viene estratta la piña, la parte centrale, perché contiene l’inulina, il carboidrato da cui si estraggono gli zuccheri per far partire la fermentazione.
L’agave raccolta viene cotta a vapore, per ammorbidire le fibre e liberare le sostanze solubili zuccherine che inficiano il sapore pepato del prodotto. Il liquido che ne deriva, chiamato aguamiel, viene fatto fermentare in grossi contenitori e poi distillato in alambicco discontinuo per ottenere il prodotto finito. La tequila può essere distillata fino a tre volte, con la consapevolezza che ad ogni distillazione si perderà un po’ del caratteristico sapore di agave. In questo modo si ottiene la varietà Blanco, una tequila trasparente, schietta e con profumi e sapori della pianta originaria. Ci sono però altre tre tipologie di tequila che si ottengono tramite l’invecchiamento.
Queste tre tequila diverse oltre al sentore di agave ottengono tutte le proprietà organolettiche derivanti dall’invecchiamento. Sta alla distilleria riuscire a dominare i sapori per non dissacrare un prodotto puro come questo.
Ad accompagnarci in questo viaggio lungo le coste dell’Oceano Pacifico, Chiara Mascellaro, bartender palermitana vincitrice del Patrón Perfectionists Competition, una gara organizzata da Patrón, una delle tequila più importanti al mondo. La Mascellaro ha presentato una ricetta unendo la tequila ai prodotti “che parlassero di me, della mia città, delle mie origini”. Chiara è una palermitana doc, è la bar manager di CaMus, un locale/centro culturale nel capoluogo siciliano. La ricetta a base di tequila proposta univa l’ingrediente messicano a prodotti tipici siciliani come l’alloro, il basilico, gli agrumi, l’acquafab (l’acqua di cottura dei ceci che viene usata in mixology in sostituzione dell'albumina per la nota cremosa), e l’allorino, un liquore tipico siciliano ottimo come digestivo a base di alloro.
La competizione vinta in Italia le ha dato il pass mondiale: “Aderiscono 30 Paesi. La finale è in Messico dove ho passato una settimana con 20 ragazzi provenienti da tutto il mondo. C’è stato uno scambio di idee bellissimo e sono stata nei campi della Patrón, dove ho avuto la gran fortuna di raccogliere e piantare l’agave, di assistere alla cottura e al taglio della pianta. Una settimana in azienda che mi ha fatto crescere moltissimo. Alla fine la gara era l’ultimo pensiero”. A Chiara Mascellaro abbiamo chiesto cosa evocasse il nome tequila, “erbaceo, morbido, agrumato, tante note, tanti sapori, tanti ricordi”.
I consigli di Chiara Mascellaro sono molto semplici: “Siamo abituati a bere la tequila liscia, è così che consiglio di berla ma non siamo abituati a gustarla. Di solito la beviamo sotto forma di shottino, ma il miglior modo per bere questo distillato è berlo liscio, gustandoci però ogni sorso”.
La tequila nasce per essere sorseggiata. Il “rituale” del sale e limone, è un retaggio antico, di quando questo distillato era bevuto “per essere felici”: ma era così disgustoso che i messicani utilizzavano sale e limone per nascondere il sapore di spirito e la gente si accontentava.
L’odore di spirito torna nella conversazione con Chiara “perché se lo sentite, probabilmente non è una vera tequila. Un prodotto buono non lo si offre con sale e limone, lo si deve gustare. Capiamo se una tequila è buona già aprendo la bottiglia. Quando sentiamo l’alcol e non le note erbacee all’olfatto, abbiamo già un problema. Dovremmo sentire anche delle note affumicate. Questo è un prodotto profumato, complesso”.
“Bisogna esaltare le note erbacee, di pepe nero, le note che solo la tequila possiede”. Questo il diktat di Chiara Mascellaro per miscelare la tequila. Alcuni dei cocktail più famosi del mondo sono a base di questo distillato, come il Margarita o il Tequila Sunrise. Da provare la Porta Felice, il cocktail con cui Chiara ha vinto il concorso di Patron. Questo distillato è molto sottovalutato in mixology, “non è facile da usare” dice la bartender siciliana, perché già all’interno ci sono tantissime note profumate che sono difficili da bilanciare.
Anche il Long Island Iced Tea è a base di tequila, con vodka, gin, triple sec o Cointreau, rum bianco, uno spruzzo di cola, succo di limone e sciroppo di zucchero (il nome non indica la presenza di té, ma il sapore che ricorda).
Le tequila migliori sono quelle che rappresentano l’anima del Messico, quelle in grado di portarsi dentro tutte le leggende che abbiamo raccontato. Come detto dalla Mascellaro, è importante che sia distillato di qualità prodotto dal 100% di agave blu. Un’altra indicazione può essere l’imbottigliamento in determinate zone del Messico storicamente vicine alla tequila. La Mascellaro ci dice che “in alcuni luoghi in Messico si produce ancora seguendo la tradizione. Lì ho provato questo distillato in bar senza neanche l’insegna, con una tequila artigianale autoprodotta”.
Non è necessario spendere cifre esorbitanti per gustare le migliori tequila, “in media un buon prodotto si assesta intorno ai 30 euro” dice la bartender. Basti pensare che la Tequila Anejo di Patron, uno dei prodotti migliori sul mercato costi intorno ai 50 euro. Questa è una tequila invecchiata 12 mesi in botti di rovere di bianco francese, con bottiglie numerate. Il colore è chiaro, ha un gusto morbido e dolciastro con richiami di legno e vaniglia.
Stesso discorso per la Tequila Reposado Reserva Don Julio, affinata 8 mesi in botti di rovere bianco degli Stati Uniti, prodotta con agave blu di 7 anni, raccolta e imbottigliata a Jalisco, il cui costo si aggira intorno ai 40 euro.
Scendendo ulteriormente di prezzo, intorno ai 25 euro, troviamo la Tequila Blanco Olmeca. Molto caratteristica e dal forte sapore di agave dovuto alla cottura nei forni di mattoni derivanti dalla roccia vulcanica.
Da provare e collezionare l’Espolón Tequila Blanco, nota al grande pubblico per l’insuperabile rapporto qualità-prezzo e per le caratteristiche etichette che celebrano la storia, la cultura e l’arte messicana. Una tequila super-premium con sentori dolci di fiori e frutta tropicale a circa 20 euro.
Ci sono poi prodotti che costano molto di più, il cui prezzo è giustificato dall’incredibile ricerca nell’invecchiamento della tequila. Tra queste troviamo la Gran Patrón Burdeos, una tequila da circa 600 euro ottenuta con un lungo e complesso processo di invecchiamento effettuato in diverse botti: 2 mesi in quercia americana, 10 in quella francese e la fase finale in botti pregiate di Bordeaux. La bottiglia è un gioiello di cristallo. Il colore è ambrato presenta un impatto gustativo molto complesso, con rimandi al caramello e alle spezie.