Insieme ad Alex Frezza andiamo alla scoperta del gin, il distillato nato per curare le persone da tutti i mali del Medioevo e mai mutato in seicento anni.
Se cercate un protagonista discreto tra gli alcolici della letteratura mondiale questo è sicuramente il gin. Il distillato di cereali aromatizzato con botanicals di ginepro, spezie, bacche, agrumi, è presente in tantissime opere letterarie e ha accompagnato gli scrittori più grandi degli ultimi due secoli (in alcuni casi li ha accompagnati fin troppo). Un alcolico riservato, elegante, che per Camus è "la sola luce di questa oscurità" e che in "1984" di George Orwell è usato per placare gli animi ribelli delle persone.
Un distillato avveduto, con il suo colore neutro, così simile all'acqua: è tra i prodotti più semplici "da assimilare" ed è per questo che molti bartender cominciano la propria carriera proprio "giocando" col gin. Tra questi c'è Alexander Frezza, titolare dell'Antiquario a Napoli, 82° bar al mondo per la World 50 Best Bar: "Il gin è il mio distillato preferito perché è quello che mi ha seguito durante la mia formazione. I distillati più complessi, come il whisky, richiedono più tempo per essere assimilati, ci vuole più esperienza per gestirli, invece col gin puoi sperimentare già da subito ed è un po' più facile da usare in mixology".
Vediamo tutti i segreti del gin, un prodotto che negli ultimi anni sta vivendo una seconda e straordinaria giovinezza, finendo in cima alle preferenze di settore: dal 2017 c'è stato un aumento di vendita di circa il 20% all'anno, un trend che non sembra arrestarsi.
"Prolunga lo stato di buona salute, disperde gli umori superflui, rianima il cuore e mantiene giovani", così Armando da Villanova, un medico alla corte Aragona, descrive il gin nel 1200. Questo la dice lunga su quale sia stato il primo approccio del mondo a questo distillato: quando parliamo di gin parliamo di politica, cultura, società, medicina, moda. Non stiamo parlando della storia di un distillato qualsiasi ma di uno che ha letteralmente cambiato il mondo.
Fin dai tempi della preistoria le persone hanno mangiato il ginepro, gli Egizi lo hanno usato per le mummie e nel Medioevo è stato usato per le sue doti curative. In Italia già nell'anno 1000 troviamo un'acquavite a base di ginepro ideata dalle scuole di medicina monastica. Proprio nel nostro Paese c'è il primo gin di cui si ha notizia: gli studiosi della Scuola Medica Salernitana (che tanta influenza ha avuto anche sulla storia degli amari italiani) sono stati i primi a sperimentare una distillazione con alcol e ginepro. Il loro fine non è quello di ideare una bevanda alcolica ma di inventare una sorta di sciroppo che avesse tutte le proprietà mediche della pianta e che fosse facilmente trasportabile, da usare tutto l'anno. Nel "Compendium Salernita", uno dei più importanti trattati medici di tutti i tempi, si parla già di un distillato di vino infuso con le bacche di ginepro, e siamo solo nel 1055.
In questo periodo la ricerca sulla medicina è imperante: fa pochissimi passi in avanti, bisogna ammetterlo, ma lo sforzo profuso dagli studiosi è incredibile. Tra il 1100 e il 1300 vengono prodotti centinaia di distillati diversi alla ricerca di una cura per qualsiasi male: sono momenti cruciali della storia e i monasteri si sbizzarriscono con miscele di erbe e spezie creando dei prodotti che beviamo ancora oggi come il centerbe abruzzese. I monaci scoprono i piaceri dell'alcol e consigliano di usare questi distillati anche al di fuori dell'ambito medicale. Il gin con un fine "goliardico" comincia ad avere successo dopo la pubblicazione delle tecniche sulle distillazioni multiple ideate da Ramon Illull e l'arrivo della peste nera alla metà del XIV secolo. Secondo la medicina del tempo, i distillati a base di ginepro sono un gran tonico energizzante in grado di aiutare i malati. Naturalmente sbagliano e, dopo i molti decessi, finalemnete notano che l'ubriachezza anestetizza il dolore fisico delle persone.
Nel 1269 il dottor Jacob Van Maerlant pubblica un libro che "prova" la "salubrità" del gin: il medico olandese racconta i benefici di un decotto a base di bacche di ginepro e vino, simile a quello salernitano, usato per curare i crampi allo stomaco; cento anni dopo sarebbe arrivato Jan van Aalter con gli effetti inebrianti del jenevier. Grazie a queste pubblicazioni per ben 300 anni il gin è il medicinale più usato al mondo. In realtà però la parola "gin" non compare mai: si parla sempre di decotti, distillati, acquaviti e via dicendo. Nel 1552 un medico di Anversa pubblica un libro in cui menziona l'Aqua juniperi descritta da Franciscus Sylvius e chiamata "genoa", come la squadra di calcio. Sylvius, un dottore olandese, è considerato il vero inventore del gin così come lo conosciamo oggi.
La svolta più importante nella storia del gin avviene però nel 1585: Anversa soccombe dopo 11 mesi d'assedio spagnolo. Molti dei sopravvissuti scappano verso l'Inghilterra che ha provato a salvare la città, invano. Da questo aiuto nasce solo un amore, quello dei britannici per il gin, un distillato che avrebbero chiamato "dutch courage", ovvero "coraggio olandese", il goccetto che ha dato la forza ai soldati per resistere a tante crudeltà.
La produzione vede il fiorire delle distillerie imperiali che portano il gin a uno splendore mai visto in precedenza. L'apice avviene nel 1690 con l'editto di Guglielmo III che vieta l'importazione di distillati stranieri, primo fra tutti il cognac degli acerrimi nemici francesi. La produzione diventa così importante da rendere il gin una parte del salario da destinare agli operai. L'idea non è così brillante: le conseguenze di questa decisione sono state molto gravi dal punto di vista sociale, con un importante incremento del tasso di alcolismo tra le persone più povere. Ci sono state ripercussioni importanti sull'ordine pubblico e la sicurezza: viene emanata la Gin Acts, una legge che innalza a 50 sterline la tassa sulla distillazione. Un altro buco nell'acqua.
Con il XIX secolo irrompe sulla scena mondiale l'arte della mixology e il gin diviene uno dei prodotti più apprezzati di tutti i bartnder: è piacevole alla vista, piuttosto neutro ma con una nota floreale che può essere ben utilizzata in miscelazione. Tantissimi cocktail vengono pensati con una base di gin e ancora oggi il distillato è tra i più apprezzati e venduti. La storia del gin è una storia di scelte sbagliate, di errori, di tentativi. Una storia molto umana che si intreccia con guerre e carestie ma che, sostanzialmente, ha visto il distillato di ginepro sempre identico a se stesso da seicento anni a questa parte.
Il processo della produzione di gin è rimasto uguale nel tempo, ciò che è cambiato oggi è l'impiego di macchinari sempre più evoluti. La prima fase di produzione riguarda l'orzo e il frumento che vengono fatti fermentare tramite una distillazione preliminare per avere alcol etilico di base. A questo liquido verrà aggiunta una miscela di erbe, spezie o bacche in macerazione. Il mix di botanicals decide il risultato finale: ciò che non può mancare mai è una corposa base di bacche di ginepro, i frutti che donano al gin tutta la sua leggerezza. Oltre al ginepro, i principali tipi di erbe e spezie sono i semi di coriandolo, le radici di angelica, l'iris germanica o pallida e la scorza di agrumi. Questa è solo un'infarinatura basata sui gin più venduti ma le varianti possono essere infinite.
Il distillato può essere poi imbottigliato o lasciato a maturare in botti di legno che ne amplificheranno i sapori, i profumi e le sensazioni.
Tutti i gin, per essere definiti tali, devono raggiungere la forza aromatica direttamente dallo spirits rettificato con il 96% di alcol, senza il bisogno di una nuova distillazione, e va imbottigliato con un rapporto alcol/volume di almeno 37,5%. In base alla lavorazione, l'Unione Europea ha poi classificato il gin in diverse sottocategorie:
Ci sono altre due categorie che non fanno parte della distillazione classica: gli spiriti aromatizzati al ginepro, che stanno vivendo un gran momento di popolarità grazie alla moda del low alcool; e lo sloe gin, infuso in prugne selvatiche, con una gradazione intorno ai 28%.
Il gin è il primo approccio ai distillati di molte persone se non altro perché alcuni dei cocktail più famosi al mondo sono a base di gin: il Negroni, il Martini o il gin tonic, il drink che ha avvicinato il titolare dell'Antiquario a questo mondo. Gli piaceva "l'idea del distillato chiaro, trasparente. Il gin mi offre tante esperienze diverse a differenza della vodka che si esaurisce presto, da cui impari poco. Bisogna avere un palato finissimo per cogliere differenze tra le vodka, io ho dovuto allenare il palato e l'ho fatto col gin; lo sto ancora allenando a dir la verità. Rispetto tantissimo la vodka ma il gin è un materiale che ti porta di più all'esperimento".
Approcciare alla degustazione di un buon gin non è difficile, "bisogna solo capire che tipo di alcolico abbiamo davanti" dice Frezza. La maggior parte dei gin è a base di alcol ridistillato e "già solo annusandolo possiamo capire la delicatezza o la potenza di questa distillazione. Possiamo capire se è stata fatta a vapore, con le botanics appese a un filo, o con l'infusione". Una volta fatto questo processo si passa all'assaggio "per capire la struttura del gin: un sapore floreale, agrumato, con una linea classica o moderna". Un buon gin ha tante sfumature diverse ma molto decise ed è per questo che ci sono così tanti cocktail che sfruttano il sapore di questo distillato.
La parola chiave per riconoscere un buon gin è "equilibrio": deve avere una bella nota di ginepro ma dobbiamo poter godere del contributo di tutte le botaniche, del distillato di cereali e di eventuali invecchiamenti nel legno. Vista la quantità di variabili a nostra disposizione "parlare di buon gin è relativo" secondo Alex Frezza. Questo perché "il gin non è come un pomodoro, che lo senti acquoso o amaro. Bisogna capire cosa si cerca. Ovviamente bisogna dare valore al sapore del ginepro, una componente che deve essere predominante: che tipo di ginepro sentiamo? Da lì possiamo capire il tipo di gin che abbiamo di fronte. Se devo essere sincero non ho neanche un gin preferito: ho un gin che preferisco nel gin tonic, un altro nel Martini cocktail, un altro ancora nel Negroni. Questo non significa che un prodotto sia meglio di un altro. Il gin va scelto in base a ciò che ci serve, in base all'uso che ne possiamo fare. Al contempo ci troviamo di fronte a un distillato così variegato che non esiste un prodotto che va bene per tutto". Frezza ci tiene a sottolineare anche un altro punto, su cui molti cadono: "Non fatevi ingannare dal prezzo. Non è detto che un gin più costoso sia meglio di uno più economico".
Tutte queste variabili rendono al contempo facile e difficile l'abbinamento tra il gin e il cibo "proprio perché è così versatile: possiamo berlo dall'aperitivo al post cena". Secondo Frezza il pairing è vincente "con la carne, la accompagno spesso al gin tonic. Ho poi un legame inconscio tra questo distillato e la porchetta, o altri piatti grassosi. Mi piace molto anche abbinare cocktail freschi alle portate finali, usando il gin come un sorbetto". La storia del gin è uno dei motivi che ha fatto innamorare il bartender partenopeo: "La civilizzazione e la democratizzazione del gin tonic composto da un antichissimo distillato, uno dei primi medicinali di cui abbiamo prova, e dall'acqua tonica, un antico rimedio alla malaria. Mi piace perché è facile da bere e si abbina a tantissime cose". Nel corso di una masterclass a Identità Golose si è divertito con Salvatore Salvo, della Pizzeria Fratelli Salvo a Napoli, abbinandolo alla pizza. Il motivo di questa scelta "è squisitamente culturale: sia il gin tonic sia la pizza sono prodotti unici che hanno tantissime varianti. Per me le pizzerie sono il logo perfetto in cui bere questo cocktail".