Whisky o Whiskey? Con acqua o senza acqua? Come si produce? Qual è la sua storia? Oggi vi raccontiamo tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul whiskey. Procedimento per realizzarlo, le fasi di lavorazione, le tipologie in commercio e i suggerimenti degli esperti nella degustazione del distillato più celebre del mondo. Un viaggio, dalla Scozia all'Irlanda passando per Giappone e Stati Uniti: il whisky, raccontato in ogni sua declinazione.
Partiamo da una cosa fondamentale: whisky o whiskey? Il primo caso è scozzese e basta, in tutto il resto del mondo si produce whiskey. In realtà si possono trovare diverse etichette giapponesi che presentano la dicitura scozzese ma questo è dovuto alla tradizione secolare della produzione del distillato in Giappone. Un distillato appunto: il whisky è un’acquavite che nasce dalla distillazione di orzo, segale e mosto di malto. La leggenda vuole che i primi distillatori siano stati gli egizi in realtà però la storia è iniziata con gli arabi, nell’ottavo secolo dopo cristo, quando inventò il primo alambicco.
C’è un’aspra diatriba su chi sia stato il primo Paese a produrlo, Scozia o Irlanda. Basandoci sulle fonti scritte, la sfida è impari: è il 1405 quando Richard Magrannell Chieftain morì dopo un sorso di acquavite… In Irlanda. La prima fonte scozzese risale invece alla fine del ‘600.
Il whisky c'è un procedimento ben preciso, scandito dalle varie fasi della lavorazione. Sono 5 i processi che portano alla nascita di questo famoso distillato: maltaggio, infusione, fermentazione, distillazione, invecchiamento. Eccole nel dettaglio.
Il whisky come lo conosciamo oggi nasce in Scozia grazie all’abbondanza di orzo, perché il clima è perfetto per la coltivazione di questo cereale; ed è per lo stesso motivo che oggi il Giappone è il miglior produttore di whiskey: il clima è molto simile. L’orzo raccolto va pulito e asciugato prima di essere convogliato in grandi vasche piene d’acqua a 15°: qui resterà immerso per 36/48 ore e per tutto il periodo l’acqua verrà continuamente ripulita. La differenza di ore è dovuta al tasso di assorbimento del cereale: è infatti una fase che termina quando i chicchi sono saturi, ovvero quando raggiungono un tasso di umidità del 50% al loro interno. A questo punto l’orzo viene messo su un pavimento per alcuni giorni e lasciato a germinare: ma per impedire la nascita di una nuova piantina l’orzo viene essiccato.
In Scozia per questo metodo si utilizza il fumo di torba, che determina le caratteristiche pungenti e penetranti del prodotto finito.
L’orzo viene macinato ed immerso in acqua calda affinché gli amidi si sciolgano e gli enzimi trasformino gli amidi in zuccheri: così abbiamo il mosto. Per 100 litri di mosto si ottengono circa 7 litri di whiskey e questa concentrazione di prodotto si avrà nella fase della distillazione. Dobbiamo sottolineare comunque che, quando si parla di acqua e di preparazione del distillato, non si tratta di acqua del rubinetto: per questo processo c’è bisogno di una sorgente purissima ed è per questo che le distillerie sorgono in posti specifici e nei pressi di sorgenti naturali.
Una volta ottenuto il mosto, questo va privato della parte solida e addizionato con acqua e lieviti selezionati per poi essere passato in dei grandi contenitori in legno o acciaio: in questo modo potrà completare la trasformazione dello zucchero in anidride carbonica ed alcol, cosa che solitamente avviene in 4 giorni. Dopo questo passaggio si ottiene una sorta di birra.
Eccoci giunti alla fase più importante: in questa parte del processo, il mosto fermentato viene inserito nell’alambicco di rame riscaldato col vapore fino a quasi 100 gradi. Le serpentine riscaldate riescono a separare quasi tutto l’alcol dall’acqua che resta sul fondo. L’evaporazione porta via molte sostanze, che restano poi separate, oltre a una piccola parte d’acqua. Dopo l’evaporazione, queste sostanze saranno riportate allo stato liquido, raffreddando il fondo dell’alambicco: in questo modo, i vapori alcolici si condensano per una nuova distillazione che servirà ad eliminare tutte le molecole nocive per l’uomo.
Il “cuore” è la parte nobile del distillato, con una gradazione alcolica tra i 70 ed i 75 gradi ed una serie di sostanze odorose che comporranno il boquet olfattivo del whisky.
Il carattere del whisky viene dato non solo dalla distillazione ma anche da quest’ultima, importante fase. La maturazione del distillato nelle botti di legno è fondamentale perché la permanenza, il legno ed il luogo in cui le botti sono stipate andranno a determinare il profilo del distillato.
L’invecchiamento può essere composto da due fasi, in due tipi di legni diversi, per donare al whisky un tono più corposo. In Scozia, secondo il disciplinare, il distillato deve invecchiare almeno 3 anni ma per sviluppare un’aromaticità più variegata, i tempi tendono ad allungarsi.
Capitolo botti: quelle del whisky non sono nuove, con una sola eccezione che spiegheremo più avanti. Prima contenevano bourbon, sherry o qualche tipo di vino. La pratica è in atto da moltissimi anni sia in Scozia che in Irlanda, perché le botti "usate" migliorano la qualità ed il sapore del whiskey.
Partiamo da 2 macro categorie: gli Scotch, ovvero tutti quelli prodotti in Scozia; gli Irish Whiskey, ovvero tutti quelli prodotti in Irlanda. Ci sono poi i whiskey degli altri Stati, in primis America e Giappone perché come leggeremo più avanti "Il whiskey è un argomento sconfinato che abbraccia tutto il mondo".
Con questa denominazione parliamo di ogni prodotto creato in Scozia. Tutti i whisky scozzesi, per legge, devono essere distillati e invecchiati su suolo scozzese per almeno 3 anni; non possono avere additivi e devono presentare una gradazione di almeno 43%. Perché parliamo di whisky scozzesi al plurale? Perché, anche in questo caso, esistono varie tipologie di whisky.
In ordine alfabetico abbiamo
La differenza con lo scotch non è solamente nella grammatica: le distillazioni subite dall’Irish sono 3 e gli anni di invecchiamento, per legge, non possono essere meno di 5. Il sapore è più morbido e fruttato, un sapore più stabile negli anni rispetto a quello scozzese. Ci sono due tipologie, blended e single malt con le stesse differenziazioni riscontrate per il whisky.
Produzione tipicamente americana, che più americana non si può. Quando lo aprite dovete sentire l’yyyah dei cowboy. Nato nel Kentucky, contea di Bourbon per la precisione, è una miscela di cereali: 51% (almeno) di granturco, poi orzo maltato, segale o frumento. Per disciplinare deve invecchiare almeno due anni in botti di quercia mai utilizzate prima. Sebbene all'inizio della storia coloniale tutti i whiskey a stelle e strisce erano molto simili, oggi i disciplinari sono molto diversi, così da rendere diverso anche il gusto.
Il più famoso, il più prodotto, il più iconico. La bottiglia quadrata di vetro trasparente, l’etichetta nera e quel nome tanto orecchiabile, che ti fa sentire il profumo del fiume Mississipi e la suadente voce di Elvis Preasly hanno reso il marchio simbolo di questo whiskey, il Jack Daniel’s, una vera icona americana. Rispetto al bourbon, questo distillato viene filtrato con carbone d’acero.
Anche questo simile al Bourbon, ha all’interno un altissimo contenuto di segale, il Rye (per legge per almeno il 51%). Nel Rye la segale è il cereale dominante al posto del mais e questo dona al distillato un aroma molto erbaceo ed amaro.
Differente nazione, differente materia prima di produzione: miscela è di segale per la maggior parte, ma contiene anche orzo e granoturco. A differenza di tutti gli altri whiskey descritti, quello canadese viene miscelato al termine della distillazione, prima dell’invecchiamento che sarà effettuato in botti di rovere, dai 4 ai 6 anni. Di una gradazione bassa, meno del 40% per il mercato canadese, solito 43% per l’estero, si nota una curiosa scritta sulle etichette: “distillato, miscelato e messo in bottiglia sotto il controllo dello Stato", perché in Canada vige una legge molto dura sui distillati. Il Paese nordamericano, infatti, ha circa 200 funzionari in giro per le distillerie della nazione per controllare ogni fase del prodotto.
Torniamo alla dizione scozzese, ma perché il Giappone ha questo onore? Innanzitutto, come scritto, il clima è molto simile e rende i due distillati, pur prodotti a migliaia di km di distanza, molto simili. La produzione di whisky nel Sol Levante è avvolta nel mistero e, pare, sia dovuta a dei viaggi di alcuni scozzesi in Giappone che, visto il clima, hanno installato questa tradizione. Con gli anni a cavallo tra le guerre ci sono state molte contaminazioni, con i giapponesi che sono andati a studiare in Scozia: oggi il whisky giapponese segue fedelmente il disciplinare scozzese. L’unica differenza, non nella produzione ma nel consumo, è nell’uso del ghiaccio: la tradizione culinaria nipponica gioca sulla differenza di stati e sapori, per cui il whisky si beve con l’acqua calda d’inverno e con l’acqua fredda d’estate.
Non c’è una risposta precisa, ci sono diverse scuole di pensiero. Per molti il whiskey va bevuto liscio e a temperatura ambiente. In realtà in questo modo il distillato resta abbastanza chiuso e questo rende l’esperienza sgradevole perché il primo sentore che arriva, data la gradazione, è quello alcolico. Molti lo prendono col ghiaccio, ma andiamo avanti e tralasciamo questa aberrazione del prodotto per arrivare subito all’acqua.
Ad insegnarci come si beve il whisky sono i tanti artisti ubriaconi dell’800 e del ‘900: fa ridere, ma è vero, e non vale solo per il whisky. Un buon metodo per gustarsi il bicchiere di whiskey, infatti, è quello di munirsi di un secondo bicchiere con acqua fresca. Alternare un sorso di whisky ed uno di acqua per togliere l’effetto anestetizzante dell’alcol e bere di nuovo il distillato. L’acqua prepara i ricettori gustativi ed olfattivi a un nuovo sorso.
C’è poi chi osa di più, come Hemingway e Dalì a Parigi e Barcellona: l’acqua direttamente nel whisky. I due artisti lo facevano per testare la propria resistenza. C’è una storia divertente riguardo l’assenzio per esempio: una forchettina, una zolletta di zucchero il tutto in equilibrio su un bicchiere di assenzio puro, sotto una goccia di acqua fresca. L’assenzio va quindi bevuto nel momento in cui lo zucchero si scioglie per dare il tempo agli intellettuali di discernere lo scibile umano. Sul whisky la situazione è più terra terra: ci sono delle sostanze nel distillato che si legano all’acqua, altre che la respingono; tra queste il guaiacolo che contiene le molecole aromatiche. Questo componente, respingendo l’acqua, tende a salire in superficie ed una volta a contatto con l’aria sprigiona tutte le componenti aromatiche.
Può capitare di ritrovarsi con qualcuno e per far bella figura ci si ritrovi a decantare o criticare cose che non si conoscono. Se sei arrivato fino a questo punto dell’articolo meriti di conoscere i trucchetti per degustare il whisky.
Ad esporli è Sette Piterà, notissimo bartender e docente della Gambero Rosso Academy: “Parliamo di un mondo senza fine e si parla più di gusti che di bontà oggettiva. A livello sensoriale la prima cosa da percepire è il sentore: portiamo il bicchiere al naso, se il whisky sprigiona sentori alcolici possiamo dire che è di bassa qualità. All’assaggio dovremmo poter distinguere i sapori ma soprattutto non dobbiamo ritrovarci con un palato anestetizzato oppure irritato”.
Al bar manager abbiamo chiesto anche qualche consiglio sull’acquisto: “Non è detto che si debbano spendere centinaia di euro per un buon prodotto, non è detto che un prodotto cosiddetto commerciale sia di bassa qualità. Si trovano distillati ottimi anche a 20 euro, basta seguire delle semplici indicazioni: cercare whisky invecchiati almeno 10-12 anni, affidarsi ad una storia aziendale nota e fedele alle proprie origini. Una volta acquistato, leggere l’etichetta: se i sentori corrispondono alle materie utilizzate in etichetta, abbiamo trovato un buon whisky”.