Il primo di origine austriaca si realizza con una "pasta piena", ricca di uova, burro o strutto, latte e zucchero, mentre il secondo, tipico toscano, si fa con una "pasta vuota" più leggera. Entrambi, però, sono irresistibili.
Con krapfen e bombolone si è soliti indicare due lievitati fritti molto golosi che si trovano in genere nei bar e nelle pasticcerie tutto l’anno, tra le scelte della colazione insieme ai cornetti, e particolarmente consumati durante il periodo del Carnevale, in quanto fanno parte dei dolci tipici di questa ricorrenza. Entrambi si presentano di forma rotonda, consistenza morbida e farciti con crema pasticciera, crema al cioccolato, confetture o zabaione, e ricoperti di zucchero semolato o zucchero a velo.
In realtà, nonostante al giorno d’oggi si parli indistintamente di krapfen e bomboloni, queste due specialità non sono la stessa cosa. I primi hanno origini austriache e sono caratterizzati da un impasto ricco di uova e burro (o strutto) che viene definito come “pasta piena”; i secondi, invece, sono una loro variante made in Italy che arriva dalla Toscana – presente con qualche discrepanza anche in Emilia Romagna (bomboloni romagnoli) e nel Lazio (bombe) – e che vede alla base una “pasta vuota” nella quale le uova non sono presenti, o ci sono in quantità molto limitata, così com’è limitata la presenza del burro, ottenendo un prodotto più leggero. Le differenze tra krapfen e bomboloni, però, non si esauriscono qui. Vediamole nel dettaglio.
Una cosa è certa: sia i krapfen che i bomboloni sono due dolci irresistibili, che simboleggiano una certa peccaminosità. Non è un caso, infatti, che siano legati al periodo carnevalesco, il momento di festa e di eccessi che precede il digiuno della Quaresima e a quello dell’infanzia, come una specie di madeleine di Proust che porta a ricordi di momenti piacevoli e spensierati. Le ricette si sono quasi fuse l’una con l’altra, ma è possibile rintracciare le loro peculiarità guardando alle origini e alla preparazione.
Il krapfen è un tipico lievitato fritto austriaco che si diffonde attorno al ‘600: si narra che la sua storia parta dalla cittadina di Graz, dov’era venduto per strada in occasione del Carnevale. L’origine del termine krapfen è incerta: c’è chi l’attribuisce all’analogia con l’antico termine tedesco krafo, che indicava una ciambella fritta dalla forma uncinata (da cui discende anche l’etimologia delle graffe napoletane) e chi al cognome di una pasticcera, Cäcilie Krapf, che li avrebbe inventati. Sempre secondo ipotesi, il krapfen divenne celebre a Vienna, la capitale dell’Impero austro-ungarico e anche in Germania, dove probabilmente ricette simili erano già presenti: in tedesco non si chiama così, ma Berliner, Berliner Pfannkuchen o solo Pfannkuchen, come a Berlino. Attraverso le vicende storiche che si susseguono nel corso del tempo, il krapfen avrebbe valicato le Alpi, giungendo nella Penisola a Nord-Est, in particolare nelle attuali regioni di Trentino-Alto Adige e Veneto, e poi nel territorio del Granducato di Toscana, che gli Asburgo-Lorena ressero per anni alterni dal 1737 al 1860, quando ci fu il passaggio al Regno d’Italia.
Ed è qui che entrerebbe in gioco il bombolone, essendo essenzialmente una rivisitazione toscana del krapfen. Anche in questo caso bisognerebbe andare a cercare sui libri indizi sulla sua etimologia, che fa pensare al modo colloquiale di riferirsi a qualcuno paffuto, cicciottello. Il bombolone è un dolce di tradizione contadina rimasto popolare: è protagonista a febbraio tra i dolci toscani del Carnevale e in estate si consuma come cibo da spiaggia per merenda, da comprare ancora caldo nei bar degli stabilimenti balneari e dagli ambulanti. Un prodotto talmente amato a cui anche Gianna Nannini, senese e con alle spalle una famiglia di imprenditori dolciari, ha intitolato una canzone e la copertina del suo greatest hits, con lei bambina in versione venditrice di bomboloni.
Sappiamo che con il tempo le ricette cambiano e si evolvono: risalire alle preparazioni originali non è semplice. Quelle del krapfen e del bombolone non sono codificate, non hanno un disciplinare: entrambe si realizzano attraverso una lunga lievitazione, impastando a mano o con una planetaria, con lievito fresco di birra, ma anche con lievito madre. Nella storia tutte e due hanno visto tra gli ingredienti le patate lesse schiacciate (rimaste, per esempio, nelle cugine graffe), ma che ora tendenzialmente si usano molto meno, così come pian piano è quasi scomparso lo strutto, da impiegare nell’impasto e, nei krapfen, anche come grasso di frittura.
Il krapfen ha una forma tonda, leggermente appiattita e una grandezza tra gli 8 e i 10 cm: si fa con farina, uova, zucchero, lievito, latte, scorza di limone, burro (o strutto) e un pizzico di sale, lavorati insieme e poi messi a lievitare una prima volta fino al raddoppio, per poi ricavare dei dischi che dovranno lievitare una seconda volta prima di essere fritti immergendoli nell’olio caldo a 170 °C, gonfiandosi e formando la caratteristica cintura chiara a metà. La farcitura classica è quella con confettura di albicocche che originariamente veniva messa prima della cottura, al momento della formazione delle palline, così che la pasta si impregnasse di sapore, e non all’ultimo prima di servire, passando il dolce nello zucchero.
Il bombolone rispetto al suo “babbo”, come direbbero i toscani, al tocco è meno sodo e più leggero: per le preparazioni più antiche è vuoto, ma la tradizione lo vuole anche farcito con crema pasticciera. Nell’impasto non compare il latte, nelle ricette passate è senza le uova, che quando sono previste sono in proporzione minima rispetto alla farina (solitamente 1 ogni 500 gr) e pochissimo zucchero. Gli altri ingredienti sono scorza di limone, lievito, burro (o strutto) e sale. I passaggi della ricetta ricalcano quelli del krapfen, con una doppia lievitazione obbligatoria per dare sofficità. Con lo stesso impasto, in Toscana si fanno anche i frati, ovvero le ciambelle fritte con cui spesso (e volentieri) viaggiano insieme durante le sagre e le feste di paese.