La cucina laziale è particolarmente votata alla valorizzazione delle frattaglie e questo piatto lo dimostra alla perfezione: ecco come farlo partendo dalla materia prima e gli ingredienti che non devono mancare.
Quando si parla di trippa in molti storcono il naso: perché è risaputo che si tratta di frattaglie e perché la si ritiene grassa, confondendo l’ingrediente con le ricette a cui solitamente viene associato, dalla trippa alla romana alla busecca milanese, queste sì sostanziose. La versione laziale è senza dubbio una delle pietanze più conosciute che vede protagonista questa parte di quinto quarto: tradizionalmente si consumava di sabato ed era riservata alle tavole popolari. Un piatto povero che ha superato i confini regionali anche grazie alla notorietà della Sora Lella (alias Elena Fabrizi) che portava in televisione fin dagli anni ‘60 tutta la genuinità e rusticità della cucina della città Eterna, snocciolando con la sua inconfondibile parlata i segreti per preparare le specialità più iconiche. Come si fa una trippa alla romana come quella che si trova in trattoria? Qui ti diamo una breve guida, dalla scelta della materia prima agli ingredienti che non devono assolutamente mancare: menta romana e pecorino, con buona pace del guanciale, che spesso fa la sua comparsa, ma non è obbligatorio.
La trippa è uno scarto che si ricava dallo stomaco del bovino, del maiale o dell’agnello. Nella trippa alla romana si utilizza quello del bovino. Nel gergo comune si parla di stomaco, ma in realtà ci si riferisce all’apparato digerente dell’animale, formato da tre prestomaci e uno stomaco:
Nella trippa alla romana generalmente il lampredotto non compare (invece è molto famoso come street food fiorentino), ma si usano gli altri tre tagli. Fare un misto al momento dell’acquisto dal macellaio è la cosa migliore, così da dare alla ricetta consistenze diverse.
Quando si pensa alla trippa si ha subito l’idea di entrare in contatto con qualcosa di grasso, che inserito in piatti che abbondano di condimenti fa subito innalzare i valori del colesterolo. Non è così: si tratta di un vero e proprio mito da sfatare visto che la trippa in sé è un alimento magro, fonte di proteine (tra i 12 e i 15 grammi ogni 100) e povero di lipidi (tra i 3 e i 5 grammi). In più ha un buon contenuto di sali minerali e i suoi tessuti connettivi, oltre a essere perfetti in cottura in quanto si trasformano in gelatina, assicurando morbidezza, sono anche ricchi di collagene, la sostanza proteica principale che compone ossa, tendini, pelle, muscoli e cartilagine.
La trippa allo stato grezzo, quindi al naturale, è ormai di difficile reperibilità, sia al supermercato che dal macellaio per questioni di sicurezza alimentare. Comunemente la trippa si acquista già pulita e precotta, quindi eviscerata e privata dei residui di cibo ingeriti dall’animale. Viene sottoposta a diversi lavaggi e poi a una pre-lessatura, che ne garantisce una maggiore digeribilità: il colore è grigio-beige. Soprattutto nella grande distribuzione la trippa venduta è bianca: questo perché ha subito un processo di sbiancamento con ulteriori lavaggi, dove non di rado sono utilizzate soluzioni a base di cloro. Il consiglio per scegliere una trippa di qualità è puntare su un prodotto biologico, che assicura sia un migliore trattamento dell’animale sia la lavorazione di questa frattaglia senza sostanze chimiche. È probabile che prima di procedere alla cottura, la trippa abbia bisogno di qualche ulteriore risciacquo in casa, sotto l’acqua corrente e di una più o meno veloce bollitura o di un ammollo in acqua e aceto, per eliminare le eventuali impurità rimaste e ingentilire l’odore e il sapore.
Come tanti piatti poveri della nostra Penisola, ogni regione ha la sua variante: non fa eccezione la trippa, diffusa da Nord a Sud. A fare la differenza sono gli ingredienti, che il più delle volte rappresentano il territorio di provenienza. In questo caso, non è trippa alla romana se non ci sono la menta romana e il pecorino. In diverse versioni compare anche il guanciale per arricchire il soffritto, ma è facoltativo. Per una trippa bella saporita, invece, un buon Pecorino romano Dop è d’obbligo: da aggiungere non solo come abbondante spolverata prima di servire, ma anche durante la cottura, per dare maggiore sapidità.
Per quanto riguarda la menta romana è bene specificare che non si tratta né della menta comune né della mentuccia (o nepitella) che a Roma e dintorni si utilizza in un altro piatto locale, i carciofi alla romana. Il nome scientifico della menta romana è Mentha pulegium, mentre quello della mentuccia è Clinopodium nepeta: sono quindi due piante diverse che si possono riconoscere perché le foglie della prima sono più allungate rispetto a quelle tondeggianti della nepitella e hanno un aroma e un gusto meno delicati e più forti. Come diceva Sora Lella: “la menta romana è la morte sua”.