È il pranzo della domenica, è il profuma della cucina della nonna, è gusto, semplicità e bontà immensa: il ragù non è solo una ricetta, è un’istituzione della cucina italiana. Così diffuso che ogni regione ha la sua personalissima versione (spesso anche più di una) del sugo dalla cottura lenta e paziente. Scopriamo tutti quelli che devi assolutamente assaggiare.
Ragù: solo il nome basta per evocarti ricordi dei ricchi pranzi della domenica, delle cene di festa, della cucina della nonna. Il ricco sugo di carne (ma non solo) è un grande classico della cucina italiana, una ricetta conosciuta in tutto il mondo per la sua innegabile bontà.
È un sugo che richiede amore, una preparazione lunga e paziente, nato come piatto a sé stante e diventato poi il condimento per eccellenza della pasta. Già il nome la dice lunga: il termine "ragù" è un adattamento del dal francese ragoût che significa risvegliare il gusto, l’appetito, e ti sfidiamo a non sentire l’acquolina in bocca solo al sentirlo nominare.
Il ragù in Italia è una ricetta talmente radicata che, nel tempo, ogni regione ha sviluppato una o più varianti della stessa ricetta, sia alternative alla classica combinazione carne con sugo, sia versioni più particolari a base di pesce o persino al 100% vegane. Noi ti raccontiamo le più gustose, particolari e invitanti, tutte da assaggiare.
Non ha di certo bisogno di presentazioni il ragù bolognese, uno dei sughi più conosciuti, amati e replicati al mondo al pari di quello napoletano. La ricetta originale è stata depositata presso la Camera di Commercio, Industria e Artigianato e Agricoltura di Bologna nel 1982 e prevede l’utilizzo di polpa di manzo, pancetta di maiale, carota gialla, sedano, cipolla, passata di pomodoro, vino rosso, sale e pepe e sì, dopo il recente aggiornamento è previsto anche il latte come ingrediente facoltativo. Non storcere il naso: è una scelta sensata e dettata dalla tradizione (prima si usava addirittura la panna) che aggiunge un particolare tocco di delicatezza. Usato anche come base per preparare lasagne o come contorno per la polenta, secondo la tradizione va accompagnato rigorosamente con le tagliatelle all’uovo e non con gli spaghetti.
Anche se sono entrambi originari del Medioevo ed entrambi nascono dall’idea di uno stufato di carne dalla lunga cottura, il ragù napoletano è completamente diverso da quello bolognese da tantissimi punti di vista, a partire dagli ingredienti fino al tipo di pomodoro da utilizzare. La caratteristica de ‘O rraù è la cottura lunghissima e lentissima della carne a pezzi, che viene lasciata cucinare dalle 3 alle 6/7 ore fino ad assumere una consistenza che la fa sciogliere in bocca. A Napoli si dice che il ragù deve pippiare, termine onomatopeico per indicare che deve sobbollire in modo impercettibile. La pasta che tradizionalmente viene mangiata con i ragù napoletano sono gli ziti o i rigatoni e il risultato è un piatto che è un must del pranzo della domenica, che spesso si inizia a cucinare addirittura il giorno prima proprio perchè più tempo cuoce e più sarà irresistibile.
I due ragù più famosi d’Italia prevedono l’utilizzo del pomodoro, perfetto per dare cremosità al condimento, ma in realtà esiste una variante molto amata e diffusa che non prevede l’utilizzo del sugo di pomodoro. È il ragù bianco, un condimento ricco e saporito a base di carne macinata, odori e brodo, a volte anche pancetta (motivo per cui viene chiamato anche “bolognese bianca”), di facile esecuzione ma dal risultato golosissimo. Per quanto riguarda il tipo di pasta non c’è un formato specifico tradizionale, ma si abbina molto bene con pasta fresca all’uovo o con pasta ripiena, e inoltre è perfetto per farcire lasagne e cannelloni.
Il ragù è talmente iconico che non solo ogni regione ha la sua variante, ma spesso la stessa regione ne presenta più di una tipologia. Ovviamente in testa c’è l’Emilia-Romagna, che non contenta di vantare già il ragù bolognese ha anche il ragù alla modenese, un piatto antico che in origine veniva preparato con carne di maiale, a cui oggi invece si aggiunge anche una piccola quantità di carne di manzo. La ricetta modenese si differenzia anche per la presenza della salsiccia, l’aggiunta di burro o latte per eliminare l’acidità del pomodoro e il pochissimo utilizzo del sugo, che serve solo a colorare leggermente il condimento.
In Emilia-Romagna esiste una terza variante di ragù, precisamente figlia della tradizione culinaria della Romagna: è il ragù romagnolo, una salsa che tradizionalmente si usa per condire i mitici cappelletti. A differenza dei suoi “cugini” non richiede aggiunta di burro latte o panna e originariamente si preparava con i fegatini di pollo, ma molti oggi utilizzano la salsiccia, la carne di manzo macinata e a volte una fetta di lardo. Quello che è certo è l’aggiunta della noce moscata, che fa davvero la differenza e distingue il condimento, rendendolo più aromatico degli altri ragù.
La tradizione culinaria dell’Abruzzo è strettamente legata al mondo pastorale e anche il ragù abruzzese non fa differenza. Pur esistendone diverse varianti anche in questo caso, la più conosciuta è il ragù di castrato, preparato con la carne del maschio della pecora che è stato sottoposto a castrazione. È una carne dal sapore intenso e deciso ma allo stesso tempo delicato, esaltato dall’aggiunta di un cucchiaio di pecorino grattugiato, dal lardo e da una spolverata di peperoncino. La cottura è molto lenta, prevede circa 2 ore sul fuoco, e il risultato è una salsa gustosa con cui condire le numerose varietà di pasta tipica abruzzese.
Le Alpi italiane abbonando di selvaggina, in particolare di caprioli e cervi, e infatti nelle regioni alpine il ragù tradizionale è quello a base di cacciagione. Nello specifico su Alpi trentine e lombarde è molto diffuso il ragù di capriolo, arricchito con una lunga marinatura a base di prodotti locali come le bacche di ginepro e odori come alloro, chiodi di garofano, rosmarino; di solito si usa per condire la pasta all’uovo. Il ragù di cervo invece, pur se di diffuso in diverse aree dell’arco alpino, è molto diffuso in Friuli Venezia-Giulia: anche in questo caso il segreto è nella marinatura della carne e nel mix di erbe aromatiche, composto da rosmarino, maggiorana, timo, bacche di ginepro. L’abbinamento più tradizionale è con i blecs, la versione friulana dei maltagliati.
L’agnello è molto utilizzato nella cucina del centro Italia, in particolare in Umbria e nel Lazio dove è un ingrediente tradizionale che spesso compare sulle tavole pasquali. Proprio per questo motivo il ragù tipico di queste zone è il ragù d’agnello (o abbacchio, detto alla romana), un sugo saporito nato per riutilizzare e valorizzare gli avanzi non utilizzati della carne di agnello ma che oggi si prepara con coscia o spalla. È un condimento leggero, soprattutto se utilizzi un agnello da latte dalle carni molto tenere, che si cuoce in un semplice soffritto a base di aglio, olio e rosmarino, con aggiunta di sugo e una cottura breve di circa 60/90 minuti. Esiste anche nella versione in bianco ed è perfetto con le tagliatelle.
La tradizione contadina veneta prevede un ragù particolare per accompagnare i tipici bigoli, ovvero quello realizzato con animale da cortile e, nello specifico, con l’anatra. Il ragù d’anatra è un grande classico regionale, dalla carne tenerissima e succulenta che viene cotta in verdure tritate e soffritte, con un mix di odori che comprende le bacche di ginepro, vino bianco e brodo vegetale. Esistono sia la versione con il pomodoro sia la versione bianca, in entrambi i casi il ragù cuoce poco più di un’ora e il risultato è un condimento ricco e corposo, buonissimo anche da sistemare su qualche fetta di pane tostato per una bruschetta golosissima.
Regione che vai, animale da cortile che trovi: in Lombardia il ragù viene preparato con la carne d’oca, un sugo di carne unico del suo genere. E non un’oca qualsiasi ma l’oca della Lomellina, animale di razza antica e pregiata da cui si ricava anche il famosissimo salame Salame d’Oca IGP di Mortara. Il ragù d’oca, che qui si chiama “ragò”, è un classico invernale e si prepara con un soffritto semplice a base di carota e cipolla, che stemperano il sapore selvatico della carne, che viene soffritta con la farina in modo da creare una cremina che avvolge la pasta. A completare il tutto il brodo, la salsa di pomodoro (poca, il sugo deve essere appena colorato) e la verza, che dona a questo ragù un tocco decisamente unico.
Il cinghiale è un’animale molto diffuso nel centro Italia, soprattutto nelle aree tra la Toscana e il Lazio, e infatti proprio nella zona della Maremma si è diffuso il ragù di cinghiale, una preparazione ormai associata alla tradizione culinaria toscana ma in realtà preparata anche nelle regioni limitrofe. L’ingrediente principale è ovviamente la carne di cinghiale, marinata insieme ad aromi classici come carota, sedano e cipolla e altri più particolari, come a bacche di ginepro, alloro e pepe nero in grani. Proprio la marinatura permette alla carne di assimilare gli aromi ed esaltare il sapore del selvatico, mentre la morbidezza è dovuta alle 3 ore abbondanti di cottura con classico soffritto, pomodoro e abbondante vino rosso.
Sotto al nome di ragù marchigiano rientrano tante preparazioni diverse di un sugo che varia molto da zona a zona. In generale si tratta di ragù profumato e saporito che vede come ingrediente comune e insostituibile le rigaglie di pollo, unite a un mix di carne di manzo, maiale e le sue ossa (opzionali) per dar più sapore. Sono proprio le frattaglie a dare al sugo un sapore diverso da tutti i ragù, spinto ancora di più dal lardo di maiale aggiunto nel soffritto di verdure. Va bene su tutte le paste, ma di solito si usa soprattutto sui maccheroncini di Campofilone.
La Sardegna vanta tante ricette iconiche e, tra queste, non manca una versione di ragù tutta locale: è il ragù alla campidanese, diffuso nell’omonima area per condire soprattutto i malloreddus alla campidanese: si tratta di gnocchetti fatti a mano di semola di grano duro, tipici della zona del Campidano. Il ragù, chiamato anche “ragù alla sarda”, è un sugo di pomodoro arricchito con la salsiccia fresca con l’aggiunta di un ingrediente speciale, un pizzico di zafferano: il mix di ingredienti, andando a mescolarsi con il pecorino spolverato fresco sul sugo, dà vita a una combinazione di sapori davvero unica.
Almeno una volta nella vita ti sarà capitato di assaggiare gli arancini, vanto della cucina siciliana e uno degli street food più famosi del mondo: allora hai assaggiato il ragù siciliano, parte integrante del ripieno dell’iconico timballo di riso. È una preparazione semplice che prevede un mix di manzo e polpa di maiale, lasciata a sobbollire insieme alla passata di pomodoro, concentrato di pomodoro, soffritto e aromi. Il segreto che lo rende unico? L’aggiunta dei piselli, inseriti dopo circa un’ora dall’inizio della cottura. Il ragù siciliano si usa anche per condire le paste tradizionali, per esempio sono gli anelletti, spesso conditi con il ragù e cotti al forno sotto forma di timballo.
Il ragù pugliese è diverso da qualsiasi altro tipo di ragù perché parte da un ingrediente molto particolare, ovvero le braciole pugliesi, e infatti è conosciuto anche come “ragù di braciole”. Sono degli involtini preparati con carni miste e farciti con pecorino o canestrato pugliese, aglio, pancetta o lardo, pepe e un pizzico di peperoncino. Proprio gli involtini vengono lasciati cucinare con la passata di pomodoro, insieme a soffritto pancetta o lardo e vino rosso: la cottura di almeno tre ore a fiamma bassissima renderà la carne morbidissima e regalerà tutto il suo sapore al sugo. La braciola intera viene poi separata dal ragù per essere mangiata a parte, mentre il sugo e la carne restante si usano per condire le orecchiette.
La caratteristica principale del gran ragù alla lucana, un grande vanto della tradizione gastronomica della Basilicata, è il mix di carne usate per prepararlo: la ricetta prevede l’impiego di salsiccia e polpa di maiale, agnello e vitello, tutti tritati al coltello e cotti poi in un soffritto che viene fatto rosolare nel lardo. Un ragù essenziale negli ingredienti ma molto intenso nel sapore, utilizzato per condire diverse paste tradizionali come i ferricelli e i cavatelli.
Il segreto delle domeniche calabresi? Il ragù di maiale, un sugo intenso e corposo che ha come ingrediente chiave il maiale in tutte le sue forme: per prepararlo si usano polpa, costine, salsicce (meglio se al finocchietto) e anche cotiche se sono a disposizione, in onore della tradizione che lo vede nascere come sugo di recupero da preparare con gli scarti della lavorazione dei salami. Il soffritto è solo di cipolla e non si aggiungono aromi se non un pizzico di immancabile peperoncino.
Quando senti la parola “ragù” la prima associazione mentale che fai è con la carne, ma il ragù può essere anche di pesce: è un’alternativa da non sottovalutare perché è gustosissima, più veloce da preparare rispetto alla carne e molto versatile, da usare sia come condimento sulla pasta o tra gli strati di sfoglia delle lasagne, ma anche sulla polenta. Può essere rosso o bianco e lascia grande spazio alla fantasia perché sono tantissime le tipologie di prodotti marini che puoi usare, tra cui pesce spada, cernia, granchio ma anche scorfano, seppie, moscardini e molluschi di qualsiasi tipo. A questi devi aggiungere solo un mix di verdure base (le classiche sedano, carota, cipolla, aglio vanno benissimo), la passata di pomodoro e un brodo, meglio ancora se preparato in precedenza con gli scarti della pulizia del pesce. Diffuso in tutte le località italiane di mare, il ragù di pesce saprà soprprenderti con il gusto e la sua leggerezza.