In Italia il pane è un cibo strettamente legato alla quotidianità e al territorio, tanto che le varietà sembrano infinite. Ecco le 10 più conosciute, dalla classica ciabatta al pane di Altamura.
Se c’è qualcosa che difficilmente manca sulle tavole degli italiani è il pane. Un prodotto popolare che negli ultimi anni suscita un interesse sempre maggiore: durante la pandemia, per esempio, si è assistito a un fenomeno di panificazione collettiva condiviso sui social perché non si poteva “scendere” dal fornaio e comprarlo. Impossibile poi non citare i nuovi trend, con la riscoperta del lievito madre e dei grani antichi che hanno portato il pane quasi a livelli di cibo gourmet.
Eppure il pane è un alimento della tradizione che in molte zone d’Italia è strettamente legato al territorio, basti pensare a quello di Altamura o al carasau sardo e vive nel quotidiano tra ciabatte, pane cafone e mafalde, a seconda che ci si trovi a nord o a sud. Qui abbiamo raccolto le 10 tipologie made in Italy più diffuse, tra simboli dello street food ed eccellenze conosciute perfino all’estero.
Il pane di Altamura è il primo prodotto da panificazione che in Europa ha ricevuto la Denominazione di origine controllata (Dop) nel 2005. ll motivo è presto detto: il legame con il suo territorio, quello dei pastori e dei contadini dell’Alta Murgia, si perde nella notte dei tempi, così come la sua indiscussa qualità, tanto che già nel I secolo a. C. il poeta Orazio lo definisce “il pane più buono del mondo”, solleticando la curiosità dei viaggiatori.
Chi lo conosceva bene erano le donne, che lo preparavano in casa con gli stessi ingredienti che si sono tramandati di generazione in generazione: lievito madre, acqua (da disciplinare erogata dall’Acquedotto pugliese) e semola rimacinata di grano duro, prodotta nei comuni di Altamura, Gravina in Puglia, Poggiorsini, Spinazzola e Minervino Murge.
Questo pane si presenta con pezzature che non devono essere inferiori ai 500 gr, dalla forma accavallata (detta u sckuanète) o bassa (cappid d'prèvte), con una crosta marroncina spessa minimo 3 mm e la mollica di colore giallo paglierino con alveolatura omogenea. Una ricetta tipica che vede protagonista il pane di Altamura è quella della cialledda (sia fredda tipo panzanella sia calda in stile zuppa), oppure è ottimo come base per bruschette.
Allungato e piatto, questo filoncino deve il suo nome proprio alla sua forma, che somiglia a quella di una ciabatta. Si tratta di una delle tipologie più comuni da trovare nei panifici e al supermercato, perfetta da portare in tavola o imbottire a piacimento sia in versione dolce che salata: ha una percentuale di liquidi molto alta proporzionata agli ingredienti, pari o superiore al 70% rispetto alla farina e si rivela particolarmente leggera e digeribile, con una crosticina sottile e croccante e un alveolatura importante.
Nonostante possa sembrare un pane senza tempo, in realtà ha un’origine recente: nasce infatti negli anni ‘80 in Veneto, precisamente ad Adria, in provincia di Rovigo, ad opera del panettiere Arnaldo Cavallari e dell’esperto panificatore Francesco Favaron, che dopo diverse sperimentazioni brevettarono nel 1982 la loro savata (come si dice in dialetto) con il nome di Ciabatta d’Italia.
Il Pane toscano Dop è celebre per essere senza sale, tanto che è conosciuto anche come pane sciocco. Si realizza con un impasto di farina di grano tenero del territorio che durante le fasi della sua lavorazione mantiene il germe, ovvero il cuore del chicco, ricco di nutrienti, cui si aggiungono lievito naturale e acqua. Ha diverse forme (rettangolare, ovoidale e tonda), una crosta croccante e dorata e una mollica alveolata in modo irregolare di colore bianco-avorio. Non avere sale, non significa essere insipido, visto che il mix di frumento e lievito madre dà un gusto ben riconoscibile, con una punta di acidità. Grazie alla pasta madre, il pane si conserva fino a 6/7 giorni e in cucina è davvero versatile: lo si trova in ricette della tradizione come ribollita, panzanella e pappa al pomodoro, oppure servito con un tagliere di salumi e formaggi sempre toscani, solitamente saporiti.
A Palermo il pane è tra protagonisti dello street food tipico della città, dal pane cunzato (ovvero il pane condito con olio, pomodori, sale, capperi, olive e formaggio) al pani câ meusa (il pane con la milza), senza dimenticare pane e panelle. In particolare per quest’ultimo si usano anche le mafalde, probabilmente la tipologia più conosciuta al di fuori della regione. Si tratta di panini di semola di grano duro, dalla forma serpentina, molto morbidi all’interno e con una crosticina chiara spolverata di semi di sesamo, che ne conferiscono l’inconfondibile profumo.
Sembra che il nome derivi da Mafalda di Savoia, per conto di un panettiere catanese che le dedicò questo pane intorno alla fine dell’800, ma data la presenza del sesamo è probabile che le sue origini siano più antiche e contaminate dalla cucina araba, come molti altri piatti siciliani. Il modo migliore per apprezzarle? Farcite con la mortadella, nella migliore tradizione palermitana.
Restando in tema di street food, è impossibile non citare la puccia salentina, che da qualche anno sta diventando di tendenza anche oltre i confini della Puglia, da assaggiare in puccerie sempre più contemporanee.
Per chi ancora non lo conoscesse, si tratta di un panino tondo che si può trovare in diverse versioni: la più diffusa è quella leccese, che lo vuole gonfio al tocco, realizzato con farina di grano tenero o un mix di farina 0 e semola rimacinata di grano duro, con crosticina croccante e cavo all’interno, quasi senza mollica, così da poterlo riempire con facilità.
Il nome deriva da buccellatum, il “boccone” di pane della razione dei legionari romani. La puccia classica viene cotta nel forno a legna e farcita con quello che più piace.
La michetta è il pane emblema della città di Milano, conosciuto nel resto d’Italia con il nome di rosetta per il suo aspetto che può ricordare quello del fiore, anche se in genere è più corretto descriverla come una pagnotta di piccole dimensioni dalla forma a stella e cappello centrale.
La vera michetta meneghina nasce sotto l’occupazione austro-ungarica del ‘700 e, per essere così friabile appena uscita dal forno, ha bisogno di una lunga lievitazione che solitamente parte dalla biga, un pre-impasto a base di farina, acqua e lievito da far riposare almeno per 16-18 ore prima di essere utilizzato: ha la particolarità di essere croccante fuori e cava all’interno e per questo viene definita “pane soffiato”.
Le michette sono un pane iconico, ora meno diffuso di un tempo, quando erano presenti in tutti i panifici milanesi, che hanno ispirato anche diversi artisti: per esempio l’altrettanto milanese Piero Manzoni, dove nell’opera Achrome immerge nel caolino tante michette esposte su tela: immangiabili, ma allo stesso tempo “immortali”.
È il pane tipico di Napoli, chiamato così perché le sue origini non sono nobili o cittadine, ma provinciali. Erano i contadini (i cafoni, appunto) a prepararlo già nel ‘700, quando invece i Borboni avevano introdotto il pane alla francese, ricco di burro e con farine ultra lavorate, ma facilmente deperibile. Il pane cafone, invece, può durare fino a 8 giorni: per realizzarlo si usano farine grezze, il lievito madre come un tempo oppure la biga e si cuoce nel forno a legna sulla pietra refrattaria, come la pizza, ma a minor temperatura. Il risultato è una pagnotta (o un filoncino) dalle abbondanti pezzature, con una crosta spessa e marroncina e una mollica umida, dagli alveoli molto piccoli.
Si porta in tavola spesso e volentieri per fare la scarpetta, oppure lo si trova in versione cibo da strada, sotto le spoglie del cuzzetiello, ovvero una delle estremità del pane cafone privata della mollica e riempita con le migliori specialità delle trattorie partenopee, dal sugo alla genovese al polpo alla luciana.
Il Pane di Matera Igp è una specialità lucana, eccellenza della città dei Sassi. La sua lavorazione ha una tradizione millenaria che lo rende unico grazie all’utilizzo di ingredienti del territorio: semola rimacinata di grano duro, che arriva da varietà locali e antiche (per esempio la Senatore Cappelli), lievito madre, acqua e sale. Si caratterizza per la sua crosta croccante bruna, spessa almeno 3 mm e per la mollica di colore giallo paglierino, umida e alveolata in modo difforme, con aperture più o meno grandi. Ha una tipica forma a cornetto e si trova in pezzature che vanno da 1 a 2 chili.
Una volta a prepararlo erano le donne, che lo portavano poi a cuocere nel forno comune: cimentarsi nel farlo in casa è possibile, ma ottenere lo stesso risultato dell’originale è una sfida anche per i più allenati.
Il pane carasau è un vero e proprio simbolo della Sardegna: preparato solo con farina di grano duro o orzo, lievito, acqua e sale, si annovera tra le tipologie più antiche d’Italia (se non al mondo), visto che è stato per molto tempo il cibo alla base dell’alimentazione dei pastori della Barbagia nato dall’esigenza di essere trasportato con facilità e conservato a lungo durante la transumanza.
Il carasau viene chiamato in italiano anche carta musica, per il suono che emette quando si spezza e si assaggia, dato dalla particolare croccantezza. Questo pane, infatti, è praticamente una sfoglia tonda bidimensionale, simile a un ostia larga circa 40 cm e spessa pochi millimetri: subisce una doppia cottura in forno, per finire con la tostatura, detta carasatura. Può presentarsi in tavola condito con olio extravergine d’oliva e rosmarino, prendendo il nome di pane guttiau (sgocciolato) o impiegato in ricette tradizionali come il pane frattau, o più creative, tipo le nostre lasagne di pane carasau.
Il pane pugliese è una pagnotta rustica che si prepara con semola rimacinata di grano duro in aggiunta a farina 00, che la rende più simile al pane di Altamura: ha una crosta croccante color nocciola e una mollica giallo paglierino con alveolatura fitta.
Si può trovare di grandi dimensioni, anche di 2 e 3 kg e si conserva per circa 4 giorni, mantenendo la sua morbidezza interna: solitamente si realizza con lievito madre, fresco o essiccato, ma si può utilizzare anche il lievito di birra fresco partendo dalla biga. Il pane pugliese è un pane casereccio perfetto per bruschette e zuppe, ma fa la sua bella figura pure in un tagliere di salumi e formaggi.