Il tartufo è uno degli ingredienti più sofisticati della gastronomia made in Italy, con varietà nere e bianche che attraversano tutta la Penisola: alcune sono più pregiate, altre meno e si prestano a essere valorizzate in cucina in modi diversi.
Il tartufo, fungo ipogeo appartenente al genere Tuber, è considerato uno degli ingredienti più raffinati e “misteriosi” della cucina italiana: crescendo sotto terra, infatti, si sviluppa in simbiosi con le radici degli alberi, così da avere caratteristiche organolettiche che variano in base alla tipologia e al territorio di provenienza. In Italia, patria di tartufi celebri in tutto il mondo come quelli di Alba o di Acqualagna, si contano 23 varietà diverse tra loro. C’è da dire che non sono tutte commestibili: solo 9 hanno un valore gastronomico e si possono portare in tavola in modo più o meno accessibile, visto che il prezzo può arrivare a essere proibitivo. Di seguito, facciamo meglio la conoscenza dei tartufi, bianchi e neri, da come sono fatti a come valorizzarli al meglio in cucina.
Partiamo con un’eccellenza: il tartufo bianco pregiato. Conosciuto scientificamente con il nome di Tuber magnatum Pico, è tipico del Piemonte, come Tartufo Bianco d’Alba nei territori di Langhe, Roero e Monferrato, e nelle Marche, dove spicca il Tartufo Bianco di Acqualagna. Si tratta di un prodotto rinomato, costoso, molto noto per la sua raffinatezza e le proprietà organolettiche straordinarie, in particolare il profumo piacevolmente aromatico. Si raccoglie da ottobre a gennaio e raggiunge dimensioni e peso ragguardevoli: ha una forma globosa più o meno regolare, una superficie (peridio) vellutata di colore ocra-verdastro, mentre la polpa (gleba) è bruno-giallastra con venature bianche. Si valorizza crudo, grattugiato in sottili lamelle che danno il tocco finale a pastasciutte (tipo i tajarin piemontesi) e risotti, tartare e carpacci di manzo e piatti a base di uova (dagli antipasti ai secondi), funghi e formaggi.
Il tartufo nero pregiato, o Tuber melanosporum Vittadini, è la varietà più illustre tra quelle nere, in quanto risulta molto aromatica e fruttata. Si trova da dicembre a marzo, ed è tipico delle zone di Piemonte, Marche, Abruzzo e dell’Umbria, con il suo famoso Tartufo di Norcia. Ha un aspetto tondeggiante, le dimensioni sono perlopiù ridotte e l’esterno è verrucoso, di colore nero-bruno: l’interno è scuro, con screziature bianche e sottili. In cucina, grattugiato a crudo dà il meglio di sé quando viene leggermente scaldato, in quanto il calore ne enfatizza l’aroma: spazio quindi ai primi piatti, zuppe e vellutate comprese (per esempio di patate o topinambur), ma anche ai secondi di pesce (tipo l’orata al cartoccio) e di carne (come le scaloppine di pollo).
Si tratta del tartufo più comune, il Tuber brumale Vittadini, quello che caratterizza la stagione invernale nei mesi freddi per antonomasia, da dicembre a marzo. È diffuso praticamente in tutta Italia e a prezzi accessibili: si può facilmente confondere con il tartufo nero pregiato perché hanno lo stesso aspetto verrucoso e tondeggiante, mentre la polpa in questo caso ha venature molto meno sottili del precedente, che ricordano più le fattezze del marmo. Anche l’aroma e il gusto sono diversi: qui il valore organolettico è minore, con un profumo di sottobosco persistente e sapore deciso. Si rivela quindi versatile sia nelle pietanze sia negli abbinamenti: lo si può usare grattugiato come classica guarnizione o in veste di ripieno per arrosti di carne (dal manzo al maiale), ravioli (insieme a ricotta, stracchino, caprino etc.) e torte salate a base di formaggi, verdure e salumi
Si chiama Tuber brumale moschatum De Ferry e fa parte dei tartufi neri invernali, con cui condivide le specificità fisionomiche e di provenienza (Piemonte, Toscana, Marche, Abruzzo, Molise), anche se è meno popolare. A differenziarlo, però, c’è il suo aroma forte, che lo rende più identitario: i sentori del tartufo nero moscato sono più complessi e rimandano a quelli del sottobosco, in particolare del muschio, da cui prende il nome. In cucina dà il suo meglio quando è cotto e in accompagnamento ai piatti caldi, proprio per permettere al profumo di essere sprigionato.
Il Tuber aestivum Vittadini, invece, è il tartufo nero tipico della bella stagione, con la raccolta che va da maggio ad agosto: il peridio si presenta punteggiato di verucche di forma piramidale grandi e molto pronunciate, tanto che per questa caratteristica ha guadagnato il popolare appellativo di “scorzone”. La polpa è di color nocciola, attraversata da venature bianche. Le sue zone di origine sono le regioni del Nord e del Centro Italia, dal Piemonte al Trentino-Alto Adige, passando per Toscana, Umbria e Basilicata: non è considerata una tipologia pregiata, ma più economica: alle ricette regala sentori e note fungini e terrosi, perfetti per piatti cotti, tra paste all’uovo, tipo tagliatelle o ripiene, uova, carne e sughi, ma anche tagliato a lamelle su insalate fresche condite per esempio con vinaigrette alla senape o arricchite da scaglie di grana.
Il periodo che va da ottobre a dicembre vede anche la raccolta del tartufo nero uncinato, il Tuber uncinatum Chatin, che nell’aspetto è simile allo scorzone appena visto: infatti, non passa inosservato il peridio di colore nero scuro completamente ricoperto di escrescenze che ricordano le verruche. L’interno si caratterizza per sfumature marroncine-nocciola con venature bianche sottili e ramificate. Si tratta di un tartufo che si reperisce in molte regioni d’Italia, da Nord a Sud, comprese Campania e Puglia e ha aromi fungini e terrosi, ma più intensi di quello estivo, che si sposano ugualmente con le ricette più disparate: da provare in chiave di salsa per arricchire bruschette o condire piatti di carne e pesce.
Varietà di tartufo bianco meno pregiata, il tartufo bianchetto (Tuber borchii Vitt. o albidum Pico) è detto anche marzuolo, in riferimento al momento della raccolta, da metà gennaio ad aprile. Siamo di fronte a un prodotto di piccole dimensioni, generalmente tondeggiante e regolare, dalla superficie liscia di colore bianco sporco e la gleba marrone con striature chiare: più matura, più questo tartufo tende a scurirsi e a diventare aromatico, passando da un profumo tenue a uno quasi aglioso. Le sue aree di diffusione comprendono tutta l’Italia, tra Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Abruzzo, Campania. Si usa grattugiato crudo su pasta fresca, risotti, gnocchi e si abbina bene a ingredienti primaverili come gli asparagi.
A partire da ottobre e fino a tutto gennaio si raccoglie il tartufo nero ordinario, scuro e verrucoso, conosciuto come Tuber mesentericum Vittadini, che rispetto a quelli trattati fino a ora si rivela meno particolareggiato dal punto di vista organolettico: diffuso in tutta Italia, è popolare nel territorio di Bagnoli Irpino, nella provincia di Avellino in Campagna, tanto che viene definito “tartufo di Bagnoli”. Perché è meno apprezzato? Per via del suo odore pungente e del sapore che vira all’amarognolo: detto questo, non mancano certo gli estimatori e modi per valorizzarlo, soprattutto in ricette della tradizione, per esempio impiegandolo in arrosti e spezzatini a lunga cottura o nell’insalata bagnolese, una specialità di montagna tipica che vede protagonisti – oltre al tartufo a scaglie – peperoni in agrodolce, olive verdi, acciughe, olio extravergine d’oliva e sale, che creano un gusto equilibrato.
Concludiamo la rassegna con il Tuber macrosporum Vittadini, ovvero il tartufo nero liscio: si può già capire dal nome che si caratterizza per avere la scorza liscia, sempre di colore scuro, con la gleba anch’essa scura e attraversata da fitte venature grigiastre. Si raccoglie da settembre/ottobre a dicembre e seppur presente in tutto il territorio nazionale (in particolare nel bresciano) si reperisce meno frequentemente e in minore quantità: ha aromi e sapori che richiamano vagamente quelli del tartufo bianco pregiato e i suoi usi in cucina sono classici, a guarnizione di pastasciutte e risotti.
Possiamo subito dire che la Penisola è un vero e proprio paradiso per gli amanti del tartufo. Quasi tutte le regioni, da Nord a Sud, infatti, ospitano una “città del tartufo”, dove il prodotto, che sia bianco o nero, più o meno rinomato, estivo o invernale, crea un legame unico con il territorio. Le aree vocate alla raccolta di questo pregiato fungo sono molteplici, ma alcune spiccano per la qualità e la notorietà dei loro tartufi, tanto da diventarne un emblema. Impossibile non partire dal Piemonte, dove il tartufo bianco pregiato è un'eccellenza che fa conoscere il comune di Alba in tutto il mondo, grazie alla sua Fiera Internazionale che attira estimatori nazionali e internazionali.
Spostandosi in Toscana, nella provincia di Pisa, c’è il piccolo centro di San Miniato, che celebra ogni anno i suoi tartufi bianchi pregiati e marzuoli: proprio qui, nel 1954 veniva portata alla luce la pepita più grande al mondo, dal peso di 2 chili e 520 grammi, donata al presidente americano Dwight D. Eisenhower. Scendendo lungo lo stivale, ecco Acqualagna, nelle Marche, che rappresenta un altro nome importante sempre per la raccolta del tartufo bianco, tanto da aver reso questo delizioso borgo un place to be per i tartufai.
Si passa poi in Umbria, con i suoi boschi dai terreni fertili, dove abbondano i tartufi, specialmente nella provincia di Norcia, dove la star è il tartufo nero pregiato. Da citare anche l’Abruzzo, con i tartufi neri del Parco Nazionale della Majella e l’area di Bagnoli in Campania, che come visto vanta un suo prodotto tradizionale. Dove non ci si aspetta di trovare tartufi perché poco associati al territorio? Probabilmente in Veneto, dove invece sono presenti lo scorzone, l’invernale, ma anche il bianco pregiato attorno al Delta del Po, e in Sicilia, tra il Parco dei Nebrodi e delle Madonie, la zona dei Monti Sicani e quella dei Monti Iblei nei pressi di Palazzolo Acreide.