Con un nuovo progetto sostenibile, in Sardegna sarà più semplice coltivare il tartufo nero. Nell'iniziativa sarà fondamentale l'aiuto delle pecore che, ripulendo lo strato erboso, favoriranno la crescita di questo prodotto.
La Sardegna non solo è una delle cinque zone blu al mondo (luoghi con più centenari), ma anche una delle regioni italiane in cui c'è più abbondanza di materie prime. Il tartufo nero è tra queste e, grazie a un nuovo progetto orientato alla sostenibilità, e all'aiuto delle tecniche di pascolo delle pecore, coltivarlo sarà molto più semplice.
Si chiama Tastos il nuovo progetto per coltivare sempre più tartufi neri in Sardegna: acronimo di tartuficoltura sarda, Tastos è un piano basato su diverse tecnologie orientate alla sostenibilità. I noccioli sono le piante scelte per il progetto: grazie a questi, infatti, la coltivazione aumenterà a dismisura, perché la pianta di nocciolo è quella più adatta alla micorizzazione, una tecnica con cui i funghi si attaccano alle radici. L'unione dei noccioli da frutto e da tartufi favorirà un incremento delle potenzialità economiche in quanto sarà possibile una doppia produzione, sia di nocciole sia di tartufi appunto.
Ma cosa c'entrano le pecore in tutto questo? L'altro caposaldo legato al progetto Tastos sarà il pascolo delle pecore, che fungerà da gruppo di "spazzini". Il professor Enrico Lancellotti, dottore in Scienze forestali e presidente dell'associazione tartufai di Sardegna, ha spiegato al quotidiano La Nuova Sardegna, che combinare il pascolo degli ovini con la tartuficoltura creerà un importante occasione per diversificare la produzione aziendale. Saranno quindi le pecore a occuparsi di pulire lo strato erboso sotto ai noccioli. Come raccontato dagli esperti, sull'isola ora il tartufo nero si raccoglie solo in maniera spontanea ma, grazie a questo progetto, ci sarà una commercializzazione di un prodotto che, diversamente da prima, potrà competere con gli standard elevati delle altre regioni.
Finanziata attraverso il programma di sviluppo rurale della Regione Sardegna, all'iniziativa lavorano anche l'Università di Sassari, il Cnr e il Consorzio Uno di Oristano. L'obiettivo è quello di avere più possibilità nella commercializzazione di un prodotto come il tartufo e, per farlo, bisogna formare nell'ambito della coltivazione tutti gli operatori del settore e i proprietari delle aziende agricole della Regione.
"La non riuscita delle esperienze passate – spiega Lancellotti – fu determinata dalla scarsa dimestichezza dei tartuficolori di allora, si pensava di poter gestire le tartufaie come i rimboschimenti ossia piantando gli alberi e lasciandoli crescere liberamente". Il presidente ha dell'associazione tartufai ha chiarito che una tartufaia necessita in verità delle stesse cure di un frutteto con gli alberi che vanno potati e il sottobosco che va ripulito con costanza. "Seppur crescano sottoterra, i tartufi hanno bisogno di luce".