Il cazzomarro è un polpettone interamente composto quinto quarto di agnello o capretto, tipico dell’entroterra pugliese e della provincia di Matera. Formato esclusivamente dalla corata, è una delle ricette comparse in Dinner Club. Le signore di Puglia e Basilicata ne rivendicano l’origine e la paternità: ecco la sua storia.
Cazzumarru, cazzomarro, cazzmarr o, per i veraci locali, cazz’marr o ù marrett: differenti modi per intendere una stessa ricetta che al confine tra la Basilicata e la Puglia è una vera specialità locale, la cui paternità viene gelosamente rivendicata dalle anziane della zona.
Siamo in uno dei territori più caratteristici del Paese: compreso tra le Murge e la Lucania, dove tra bistecche di cavallo, friselle e peperoni cruschi si ritaglia il suo spazio una delle ricette maggiormente tradizionali e allo stesso tempo meno conosciute al grande pubblico: il cazzomarro, per l'appunto. Si tratta di un polpettone interamente composto di quinto quarto, di chiara ispirazione contadina, che solitamente viene consumato nei periodi di festa, a Natale o a Pasqua. A Gravina di Puglia, nello specifico, viene preparato il 29 settembre, in occasione delle celebrazioni patronali.
È una delle tante preparazioni tipiche regionali che sono comparse in Dinner Club, lo show su Prime Video in cui Carlo Cracco assieme a sei compagni di viaggio scandaglia l’Italia da Nord a Sud alla ricerca di piatti che più identificano il proprio territorio di appartenenza. E il marro è una ricetta che popola le tavole delle Murge e della Lucania, territori pronti a reclamarne l'origine.
Tipico, in particolare, di Matera e provincia, è un sostanzioso involtino di interiora di agnello (più raramente di capretto), avvolto dalle budella dello stesso animale e messo a cuocere sulla griglia o nel forno, prima di essere affettato. È stata la preparazione che Luciana Littizzetto, accompagnata da Cracco nel ristorante di Vitantonio Lombardo a Matera, ha scelto dal menu e che si è ritrovata, suo malgrado, ad assemblare nella cucina del ristorante. Un trionfo di quinto quarto, dal gusto spiccato, deciso e pieno, retaggio della tradizione pastorizia del luogo, non certo adatto per chi non apprezza la corata e gli scarti della lavorazione degli animali.
Se del maiale non si butta via niente, anche per l’agnello sarebbe un peccato gettare eventuali “avanzi”, e il cazzomarro ne è la testimonianza. Questa ricetta è orgogliosa ambasciatrice del tempo che fu, quando nelle famiglie locali (spesso povere) non si mangiavano solamente i tagli pregiati delle carni (che, anzi, erano una rarità), ma la corata ricopriva un solido ruolo nella dieta delle persone. “Tutte cose buonissime che la gente non è più abituata a mangiare: quando l'animale è buono, questa è la parte migliore”: Cracco docet, parlando delle interiora degli animali e del loro uso in cucina.
Cuore, polmone, intestino e fegato nello specifico le parti che sono state utilizzate per preparare il cazzomarro in Dinner Club, ma i macellai locali usano spesso anche animelle, milza e rognone finendo spesso con l’aromatizzare il tutto con prezzemolo, salvia, rosmarino e pecorino.
Una preparazione no waste che recupera tutto ciò che dell’animale è edibile, ma che (così come le altre a base di quinto quarto) con i tempi moderni e il cambiamento delle abitudini alimentari è stata progressivamente dimenticata dai più.
Quella del cazzomarro è una ricetta che risalirebbe, per vie più o meno traverse, alla cultura alimentare dell’Antica Grecia, che prevedeva un largo consumo di interiora arrosto. E proprio questi territori, facenti parte della Magna Grecia a seguito della colonizzazione attorno al VII secolo a.C., sono stati inevitabilmente “influenzati” dalle usanze gastronomiche provenienti dall’altra parte del Mediterraneo. Tanto da diventare poi parte integrante della cultura locale e contadina.
Nessun riferimento volgare nel nome certo caratteristico. I locali giurano infatti che derivi dal termine dialettale cazz o cazzare, vale a dire schiacciare. E infatti il cazzomarro non è altro che un sostanzioso agglomerato di interiora "cazzate". Una variante della ricetta la si trova a Foggia e provincia, dove risponde al nome di torcinello o gniummareddo. Invece di essere un polpettone si tratta però di un involtino di piccole dimensioni, solitamente di 5 centimetri, realizzato con le interiora per lo più di ovino, bovino o suino. A differenza del loro cugino “più grande”, però, ai turcineddi non viene aggiunta nessuna speziatura in fase di preparazione.