Il pampepato è una ricetta tipica del Natale custodita (nelle rispettive varianti) gelosamente da quattro città: Ferrara, Terni, Siena e Anagni. Un dolce protagonista, tra le altre cose, anche di una battaglia medievale.
Quando discutiamo di cibo, onde evitare inutili e sterili polemiche e non fare torto a nessuno, è bene specificare (se possibile, ovviamente) la provenienza di questa o quella preparazione.
E tenendo in considerazione che nelle prossime righe andremo a parlare del pampepato (o panpepato) noi sin dalle prime battute mettiamo in chiaro le quattro città che, a loro modo, custodiscono gelosamente questa ricetta nelle rispettive varianti: Terni, Ferrara, Siena e Anagni.
Ma che cosa è il pampepato? Si tratta di un dolce tendenzialmente a base di nocciole e cioccolato che ritroviamo, curiosamente, in parti d’Italia anche molto distanti tra di loro. Seguendo le sue tracce ci siamo ritrovati ora in Emilia ora in Umbria (in entrambe è riconosciuto dal marchio Igp), passando anche per la Toscana e Lazio. Quattro territori per altrettante preparazioni e storie, ognuna strettamente legata alla propria zona di riferimento e con un passato a tratti simile, a tratti diversissimo. Ma perché esistono così tanti pampepati in Italia?
In questo piccolo excursus andiamo alla scoperta dei dolci, simili ma non uguali nella preparazione e negli ingredienti, delle quattro città sopra citate. Uno dei pochi punti in comune? L’assoluta segretezza della ricetta originale, con l’esatta grammatura delle materie prime a rimanere un segreto serbato dagli artigiani (o massaie) che lo custodiscono. Complessivamente, comunque, il "quanto basta" o "a occhio" sembrano i primi comandamenti per quanto riguarda le dosi degli ingredienti.
Non preoccupatevi, non stiamo qui a decretare quale sia la preparazione autentica, né proclameremo la paternità del pampepato (o panpepato) originale. Vi offriamo, a ridosso delle festività natalizie, un mini viaggio tra quattro città alla scoperta di come ognuna sia legata indissolubilmente a una versione di questo dolce a base di cioccolato e frutta secca, spesso anche offerto come dono in vista delle feste.
In ordine cronologico è stato il primo pampepato a ottenere il riconoscimento Igp, arrivato nel 2015. La variante ferrarese è una specialità tipica del Natale (punto in comune con le sue "cugine"), risalente secondo la tradizione all’usanza di preparare i “pani arricchiti” (cioè particolarmente speziati) durante le festività di fine anno.
La ricetta probabilmente nacque all’interno dei conventi di clausura del territorio ferrarese; una tradizione clericale che ricondurrebbe l’origine del nome alla locuzione “pan del Papa”. Il pepe, infatti, non c’entrerebbe nulla con questa preparazione, di cui una delle prime testimonianze risale al 1600, quando erano le monache del Monastero del Corpus Domini di Ferrara a realizzarlo per darlo in dono alle personalità del tempo.
Presto questo manicaretto di “ispirazione” spirituale (e a forma di papalina) venne apprezzato anche da esponenti del potere temporale: si narra infatti che del pampepato andassero ghiotti anche gli Estensi. La ricetta della versione ferrarese? A base di cioccolato fondente sia nell’impasto sia nella glassatura esterna, con nocciole, mandorle, cannella, canditi e spezie ad arricchire il tutto. Tradizione della città emiliana vuole il pampepato consumato quando ancora fresco e morbido.
Denominazione Igp ottenuta nell’ottobre del 2020, anche per il pampepato di Terni, città di San Valentino. Una piccola cupoletta a base di frutta secca, pepe, cioccolato, uva passa, canditi, cacao amaro, miele, caffè, spezie e farina: si tratta di un dolce anche qui consumato essenzialmente durante le feste natalizie. In casa inizia a essere preparato a ridosso dell’8 dicembre e tra le famiglie di questa parte dell’Umbria (arrivando anche in qualche comune della provincia di Perugia) ve ne è un grande consumo almeno fino al 6 gennaio. Non è raro però trovarlo anche per la festa patronale di San Valentino (14 febbraio) o addirittura a Pasqua, a dimostrazione della grande capacità di conservazione di una ricetta (pur priva di conservati, vietati per disciplinare così come l'acqua) che a Terni risalirebbe almeno al 1500. Qualche teoria, in realtà, lo assocerebbe alla gastronomia dell’Antica Roma pur con le dovute distinzioni, dato che il cioccolato arrivò in Europa grazie agli Arabi intorno al 1500.
A differenza della controparte estense il dolce ternano è di umili origini, contadine, e simbolo della capacità di unire in una sola preparazione ciò che si riusciva a ottenere da un’economia rurale. La forma de lu pampepatu ternano è a base piatta e superficie convessa, a ricordare un piccolo panetto. In questo caso il nome deriva dall’utilizzo del pepe nella preparazione.
Nella cittadina toscana vige la denominazione con la “n” al posto della “m”. Ecco quindi il panpepato senese, dolce di origine medievale le cui prime tracce risalirebbero all’anno mille. Si narra che durante la battaglia di Monteaperti del 1260, citata anche da Dante nella Divina Commedia, i soldati senesi dopo gli scontri coi fiorentini per recuperare le forze si cibassero dell’energetico panpepato, di forma rotondeggiante per essere trasportato con più facilità nelle loro tasche. Una carica di vigoria che, secondo la leggenda, avrebbe contribuito alla vittoria finale di Siena.
Anche qui pepe protagonista ma con le mandorle al posto delle nocciole (anche se alcuni le inseriscono, seppur in minima parte). Canditi, miele, zucchero tra gli altri ingredienti utilizzati in questa ricetta, un tempo ritenuta di pregiato valore per via di ingredienti rari e costosi. Più schiacciato e maggiormente largo rispetto ai corrispettivi ferraresi e ternani, anche a Siena il panpepato viene generalmente consumato per le festività natalizie, spesso dopo una spolverizzata di zucchero a velo. Notate qualche somiglianza con il panforte senese? Il panpepato ne è la versione “antenata”, con il pepe utilizzato al posto delle spezie, tanto che il nome panforte comparve solamente nell’800, con l’appendice “forte” a richiamare il suo sapore intenso e speziato.
Anagni è una delle città che, nel corso della storia, ha ospitato la sede papale, per questo il nome del dolce va ricondotto alla massima istituzione spirituale del mondo cattolico. Chiudiamo dunque con il panpepato locale, chiamato anche panpapato (appunto, pane del Papa). La versione originaria della cittadina in provincia di Frosinone prevede l’utilizzo di buccia d’arancia candita, uvetta, cioccolato fondente (tranne per la glassatura), miele e mosto di vino cotto. È usanza qui prepararlo già nei primi giorni di dicembre, per poi scambiarlo in dono con amici o parenti “accompagnandolo” a un rametto di vischio.
Portiamo ora a termine questa digressione dolciaria nella speranza di non aver fatto un torto a nessuna delle città sopra citate (e relative preparazioni), e di non esser incappati in sgambetti o tranelli storico-gastronomici. Ma, qualora fossimo stati vittime di imprecisioni ed errori “…credete che non c’è fatto apposta”, citando e adattando il finale de I Promessi Sposi. Se invece questo racconto in nome del pampepato (sia esso di qualsiasi città, ricetta o nome) non vi sia dispiaciuto affatto, prendendo ancora in prestito le parole del Manzoni, “vogliate bene a chi l’ha scritto e anche un pochino a chi l’ha raccomandato”. Dopotutto a Natale siamo tutti più buoni.