Nome, taglio, panatura, cottura e differenza con le altre cotolette: tutto quello che c'è da sapere sul piatto fiore all'occhiello della cucina lombarda.
Si dice costoletta o cotoletta? Ci vuole l’osso o no? E la panatura come deve essere? E ancora, per la cottura ci vuole olio o burro? Quando si parla del celebre piatto alla milanese capita di trovarsi di fronte a opinioni discordanti. Per risolvere definitivamente questi dubbi, nel 2008 è intervenuto il comune di Milano, assegnando la DE.CO. (Denominazione Comunale) alla Costoletta alla milanese chiarendo, oltre ai dubbi sul nome, tutte le caratteristiche che piatto deve avere. E noi oggi andiamo a vedere tutto quello che c’è da sapere su questa gustosa pietanza conosciuta in tutto il mondo.
La parola cotoletta deriva dal francese côte o côtelette, e indica un pezzo di carne vicino alla costola, da cui appunto costolette e la cutelèta è invece la trasposizione dialettale del milanese. L'origine del piatto sembra risalga al 1134 e più precisamente al 17 settembre, giorno dell'onomastico di Satiro, il fratello del Vescovo Ambrogio. In quell’occasione venne preparato un banchetto e, tra le numerose pietanze, vennero servite anche delle costolette impanate e fritte. Il piatto però aveva il nome con cui lo chiamiamo noi oggi, ma lombolos cum panitio, probabilmente più simile a una scaloppina che a una cotoletta.
Leggenda narra che la tecnica della panatura risalga al Medioevo periodo in cui i nobili, per ostentare la loro ricchezza, pare usassero grattugiare l’oro sui loro piatti.
Ovviamente non tutti avevano questa possibilità e quelli che non potevano permettersela cercavano di simularla in maniera più economica. Avevano scoperto che unendo il pangrattato al rosso d’uovo, una volta cotto, si otteneva un colore molto simile a quello dell’oro.
Qualche secolo dopo, successivamente alla rivoluzione francese, dei cuochi d’Oltralpe importarono in Italia un piatto di costine panate, che venivano chiamate “cotolette della Rivoluzione Francese”. Marinate con burro fuso ed erbe aromatiche, prima di essere infarinate, passate nell’uovo e nel pangrattato e, infine, fritte, le costolette erano gustose di certo, ma ancora lontane da quelle che conosciamo oggi.
Per restare nel tema delle origini probabili ma non certe, non possiamo non citare la cotoletta alla viennese e anche qui dobbiamo affidarci a un racconto a metà tra storia e leggenda, in cui si narra che il Conte Attems, aiutante del famoso generale Radetzky, arrivando a Milano una sera chiese di cenare e gli venne servita una cotoletta impanata e che lui, rimasto incantato da questa pietanza, abbia iniziato a scriverne in lettere destinate a Vienna. Da qui l’esportazione nella capitale austriaca.
Sembra però che già nel 1719 la cucina viennese preparasse dei piatti impanati e fritti. Ma tra le due tipologie di piatto ci sono delle differenze che riguardano sia il taglio che la cottura. La nostra, di vitello, può essere servita con o senza osso, spessa o sottile, ed è cotta nel burro chiarificato. La viennese invece, di maiale – o talvolta di bovino – è sempre sottile, senza osso e viene battuta con vigore prima di essere cotta nello strutto.
In dialetto milanese si chiama anche uregia d’elefant, orecchio di elefante: si tratta di una versione nel caso in cui la cotoletta è particolarmente grande, ma non si tratta in realtà dalla versione più diffusa.
In generale il nome corretto con cui chiamarla è costoletta alla milanese, come sancito anche dal protocollo della De.Co. del Comune di Milano, cosa che sarebbe in teoria un riferimento a una piccola costola.
Se la milanese e la viennese sono le più famose al mondo esistono altre varietà in Italia meno note ma altrettanto gustose. Si distingue tra tutte la bolognese, detta anche Petroniana, in cui la carne di vitello, senza osso e sottile, viene impanata con uovo e pangrattato e fritta nel burro. Ma dopo la cottura viene bagnata con brodo, coperta con prosciutto cotto e formaggio e infine ripassata in forno. Non è raro trovare anche la versione rossa, con un po’ di pomodoro e mozzarella, o quella con una crema di parmigiano.
C'è poi la versione valdostana che vista da fuori sembra una normale cotoletta ma che, una volta tagliata, mostra al suo interno un ripieno di prosciutto cotto e formaggio filante. La fetta di carne è sottile, ben battuta e la panatura parte dalla farina, con un passaggio nell'uovo e poi nel pangrattato. La cottura avviene nel burro chiarificato.
Scendendo al sud, la cotoletta alla palermitana, con carne di manzo o vitella, si distingue non solo per la panatura, ma anche per il metodo di cottura. Niente uovo, infatti, in questo caso, ma solo pangrattato condito con abbondante caciocavallo o altro tipo di formaggio. La carne viene poi cotta sulla griglia.
Ottime le versioni differenti, che siano italiane o austriache, ma tornando alla milanese che caratteristiche deve avere? Il comune di Milano riunito in un Giunta dedicata alla risoluzione della diatriba, il 17 marzo 2008, si è preso il disturbo di definire nome e caratteristiche, assegnando la DE.CO. (“Denominazione Comunale”) alla Costoletta alla milanese. Il protocollo della De.Co fornisce anche le linee guida per la preparazione di un’autentica Costoletta alla milanese.
Partiamo dallo spessore che deve essere non inferiore ai 3-4 centimetri. La carne non va bucata, ma la pelle esterna va incisa perché non si alzi durante la cottura. È necessario inoltre appiattirle con il batticarne, in modo da dare uno spessore informe, cosa che andrà a vantaggio della cottura.
Le uova, messe in un piatto fondo, vanno sbattute senza aggiungere sale. Le costolette vanno immerse tutte, tranne l’osso. Sgocciolato l’eccesso di uovo, la carne va poi passata nel pangrattato, anche questo senza sale, per non togliere tenerezza alla carne. È importante pressare con la mano in modo che il pangrattato aderisca bene.
In un largo tegame va poi messo il burro che non deve arrivare a soffriggere, ma solo fondersi. Le costolette vanno sistemate una accanto all’altra e cotte sette-otto minuti per parte, in modo che risultino morbide e leggermente dorate. Terminata la cottura vanno sistemate sul piatto adornate da spicchi di limone.