Le specialità street food della cucina nipponica sono tante e tutte appetitose: tra le più amate troviamo gli spiedini. I più iconici sono quelli di pollo, da gustare ricoperti con una golosa salsa agrodolce.
Ci siamo accorti ormai da tempo che la cucina giapponese non è solo sushi e sashimi: molto più complessa e sfaccettata di quello che vedevano in principio in terra d’Occidente (barche, barche e ancora barche), la varietà di cibi e di preparazioni che arriva dal Sol Levante continua ad affascinarci e sembra davvero inarrestabile. Complice anche il rinnovato ed entusiastico interesse nei confronti dello street food nostrano, c’è grande curiosità nello scoprire il cibo da strada fuori dai confini nazionali. E in quanto a stuzzichini gustosi, consultando il “menu” che arriva dal Giappone c’è solo l’imbarazzo della scelta, basta leggere alle voci takoyaki e okonomiyaki. Tra i più amati e diffusi, fanno la loro comparsa pure gli spiedini, conosciuti come yakitori, solitamente a base di pollo, che vengono grigliati e arricchiti con una salsa agrodolce. Ne esistono tantissime versione, con maiale, verdure e tofu, comprese alternative che hanno trovato una loro speciale identità, tipo gli tsukune, che al posto di bocconcini di carne, vedono infilzate nello spiedino delle polpettine di pollo, condite sempre con una salsa dal gusto umami che rende entrambe le pietanze assolutamente irresistibili. Non ci resta che andare alla loro scoperta.
Per circa 1200 anni in Giappone non si è potuto consumare carne come precetto religioso del buddhismo, arrivato dalla Corea verso la fine del VI secolo: un popolo che prima si cibava di cacciagione, manzo, pollo, cavallo progressivamente ha visto questi alimenti diventare un vero e proprio tabù (con tanto di divieti imperiali) per via della credenza nella reincarnazione, che prevede che l’anima di un essere umano possa rinascere anche sotto forma di animale. La situazione è cambiata a partire dal 1872, quando con la dinastia Meiji il Paese torta all’antica abitudine alimentare, riportando pian piano sulle tavole la carne che, però, costava molto: inoltre toccarla con le mani era considerato impuro. Gli yakitori come li conosciamo adesso nascono quindi in questo momento: i meno abbienti potevano permettersi questi spiedini ricavati da frattaglie di pollo, di manzo o di maiale, che venivano cucinate su delle griglie lungo la strada, sfruttando un carbone chiamato binchōtan, originario della prefettura di Wakayama, che ha il pregio di emettere poco fumo.
La parola stessa yakitori, infatti, è composta dal prefisso yaki (da yaku: grigliare, tostare, friggere) e tori (uccello): i pezzetti di carne vengono inseriti in uno spiedino (kushi) di metallo o di bambù e poi glassati con salse agrodolci come la tare – salsa di soia, sake, zucchero e mirin che si può arricchire con peperoncino, zenzero, wasabi e spezie a piacere – e la teriyaki, o serviti semplicemente cosparsi di sale. Tra gli anni ‘50 e ‘60 del ‘900 diventano tra i cibi per eccellenza dei lavoratori, che a fine giornata si ritrovano a sorseggiare una birra e spiluccare qualcosa prima di tornare a casa: ancora adesso si gustano in veste di street food nei mercati e nei chioschi, nei locali specializzati, o come “tapas” nelle izakaya, tipici pub/bar nipponici dedicati al bere, con una vasta gamma di scelta di sake e vini da accompagnare con qualche manicaretto appetitoso.
Gli yakitori prendono nomi diversi a seconda degli ingredienti con cui sono fatti. Per quanto riguarda il pollo esistono (tra i tanti): momo quando nello spiedino c’è solo la coscia disossata, tebasaki con l’ala, yotsumi con il petto, rebā con il fegato, torikawa o kawa con la pelle croccante, nankotsu con la cartilagine e kokoro con il cuore. Non abbiamo ancora nominato il negima, il più noto, che prevede l’alternanza di coscette disossate con cipollotti o porri. Con il maiale lo yakitori più popolare è il butabara, per il quale si usa la pancia, ma sono anche tipici quelli che mixano suino e verdure, come l’asupara bēkon, asparagi avvolti nella pancetta o gli enoki maki, funghi avvolti nella carne di maiale. Ultimo tra i più conosciuti è lo spiedino di tofu, chiamato atsuage tōfu.
Un breve discorso a parte meritano gli tsukune, in quanto sono tra i più gettonati. Hanno una preparazione leggermente più elaborata, dato che si tratta di polpette, cibo di riciclo per eccellenza, in cui si impiega il macinato di pollo amalgamato con cipolla o scalogno, zenzero, olio di semi di sesamo (ma per farle casalinghe va bene anche quello extravergine d’oliva), fecola di patate o maizena, del panko e un tuorlo d’uovo facoltativo, a seconda della consistenza che si sta ottenendo: la loro peculiarità è l’estrema morbidezza e succosità. Il consiglio per goderne appieno? Consumarle calde, spennellate con salsa tare e semi di sesamo.