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29 Giugno 2024 12:28

Smettiamo di colpevolizzare le persone che comprano il pomodoro a 80 centesimi

Sicuramente un prezzo così basso deve allarmarci ma chi compra i pelati a questo prezzo lo fa perché sono gli unici che si può permettere. Il caporalato non è dato dal consumatore finale ma dall'intermediario tra le aziende e i cittadini.

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Il caporalato torna sull'agenda politica e pubblica italiana in maniera fortissima ad ogni accenno d'estate. È una piaga sociale, è schiavismo puro, e noi come consumatori abbiamo il dovere di fare scelte politiche e sociali. Dobbiamo comprendere che mangiare "è un atto agricolo", come dice Gabriele Bonci, e che ogni decisione ha una conseguenza sul mondo intero. Se paghiamo troppo poco qualcosa, qualcuno sta pagando al nostro posto. Se continuiamo a comprare dei barattoli di pomodori pelati da 400 grammi a 70 o 80 centesimi è chiaro che per farli si debba ricorrere al caporalato. Dobbiamo però smettere anche di addossare tutte le colpe al consumatore perché le maggiori responsabilità sono delle multinazionali che piazzano quei barattoli a 80 centesimi, non delle persone che li acquistano.

Gli italiani comprerebbero cose più costose se ne avessero l'opportunità

È un cane che si morde la coda: il mercato impone dei prezzi perché la maggior parte delle persone chiede quei prezzi. Ma le persone sono obbligate a comprare pomodori, frutta oppure olio a basso prezzo perché gli stipendi del 2024 sono più bassi di quelli del 1990. Se in 30 anni l'Italia non è riuscita a fare dei passi in avanti da questo punto di vista, anzi i passi li fa all'indietro, non dobbiamo sorprenderci se le persone comprano ciò che si possono permettere, a prescindere da ciò che succede nella filiera.

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Mentre in quasi tutti i paesi europei i salari hanno visto una crescita costante negli ultimi decenni, in Italia si è verificata una preoccupante inversione di tendenza. Rispetto al 1990, il potere d'acquisto degli italiani è diminuito del 2,9% secondo i dati Ocse, un dato drammatico che evidenzia la stagnazione dei redditi reali. Se si considera l'inflazione, la perdita di potere d'acquisto diventa ancora più evidente. I cittadini italiani si ritrovano dunque ad affrontare un aumento del costo della vita non compensato da un adeguamento dei salari. Questa cosa è ancora più evidente nel mondo del food: secondo i dati Ismea nel 2023 il carrello della spesa degli italiani si conferma più oneroso, ma anche più leggero, con volumi di acquisto in flessione per quasi tutte le categorie e prezzi sensibilmente più elevati.

L'inflazione nel food&beverage è più alta dell'inflazione media nazionale (8,4% contro 8,1%), un dato davvero allarmante. A inizio 2020 l'inflazione del cibo era appena all'1%, salita al 2,8% a dicembre 2020 a causa della pandemia. Un'ulteriore spinta in avanti ce l'ha avuta nel 2022 a causa della guerra tra Russia e Ucraina con un picco dell'8,1% a marzo. I prezzi sono poi scesi leggermente nei mesi successivi, ma sono comunque rimasti a livelli elevati per tutto l'anno. Allarmante è l'inizio del 2023 che arriva all'11% a giugno per poi calare con i mesi estivi grazie alla riduzione dei prezzi dell'energia e di alcune materie prime.

Secondo le stime la quota dell'8,4% attuale dovrebbe continuare a scendere nel corso dell'anno ma siamo comunque oltre la soglia critica. Tra le diverse categorie merceologiche, si registrano aumenti a doppia cifra della spesa per olio di oliva (+32% gli extravergini), uova (+14,1%), latte e derivati (+11,7%) e prodotti a base di cereali (+11,7%), con picchi del +20,9% per il riso. La spesa per i prodotti trasformati a base di pomodoro è cresciuta dell'8,8% e questo significa che nel 2023 abbiamo pagato la nostra spesa totale il 13% in più rispetto al 2022.

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Questi dati sono a prescindere dalle scelte personali, sono dovuti a scelte che arrivano da più in alto. La grande distribuzione è una delle principali colpevoli del disastro del caporalato. I produttori ortofrutticoli spesso lamentano dei prezzi imposti dalla gdo, troppo bassi e a condizioni contrattuali onerosi. Questo porta a una riduzione dei profitti dei contadini e in alcuni casi addirittura alla chiusura delle aziende agricole. In ogni ambito lavorativo la voce più facile da tagliare è il costo del personale: un barattolo di pomodori in scatola non si può fare senza il barattolo ma si può fare senza rispettare i diritti dei lavoratori. Per questo motivo si tagliano i posti di lavoro regolari e ci si affida a comunità indigenti disposte a tutto pur di portare il pane in tavola.

Come funzionano gli accordi tra la gdo e le aziende agricole

Si parte dai contratti di fornitura con i produttori agricoli che stipulano degli accordi con i distributori o direttamente con i supermercati per fornire frutta e verdura. Questi contratti definiscono quantità, qualità, prezzo e tempi di consegna. Decidono anche la forma e il volume dei singoli prodotti, alimentando lo spreco perché i coltivatori gettano via il cibo "non conforme". I distributori spesso basano gli ordini su previsioni di domanda, richiedendo ai produttori di fornire un volume costante di prodotto, spesso con poco preavviso; anche in questo caso si alimenta lo spreco: gli ordini sono tendenzialmente superiori alla domanda perché economicamente è più conveniente acquistare un prodotto e non venderlo, che non averlo in negozio.

La grande distribuzione ha un potere contrattuale molto maggiore rispetto ai singoli produttori, creando un squilibrio che può portare a condizioni di mercato non eque e imponendo dei prezzi molto bassi, riducendo i margini di profitto delle aziende agricole, costrette a condizioni economiche difficili. La cosa diventa ancora più grave per i piccoli produttori che non possono competere con i grandi fornitori in grado di offrire prezzi più bassi e volumi maggiori, rischiano così di essere esclusi dal mercato. Per non farlo, si affidano a pratiche scorrette: non è una bella cosa, è scorretto e illegale ma questo è uno dei motivi per cui avviene.

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Quando si parla di caporalato entrano spesso in gioco le cooperative e gli intermediari perché i produttori non sempre vendono direttamente alla gdo ma tramite grossisti o cooperative che aggregano i prodotti di vari agricoltori per soddisfare la domanda della grande distribuzione. Le cooperative peggiori sono gestite da schiavisti che hanno dei veri e propri broker in grado di fornire "schiavi" in cambio di quote di mercato, proprio come negli Stati Uniti prima della guerra di secessione. La pressione sui costi impone alle aziende più fragili e gestite senza moralità di cercare lavoratori che accettino condizioni di sfruttamento.

Non vogliamo demonizzare tutti gli accordi commerciali tra la gdo e le aziende agricole perché sono fondamentali per garantire l'approvvigionamento di frutta e verdura, le critiche si concentrano sulle pratiche spesso ingiuste e insostenibili che ne derivano, evidenziando la necessità di riforme per garantire equità, sostenibilità e diritti umani lungo tutta la filiera. Non vogliamo nemmeno "depenalizzare" le aziende agricole: chi sceglie di sacrificare i lavoratori per il proprio profitto commerciale è un criminale che dovrebbe rispondere delle proprie scelte davanti a un giudice.

È importante però capire che il problema non è dato dalla povera famiglia che campa con 1.400 euro al mese, ha due figli da mandare a scuola e che compra il pomodoro a 1 euro per fare il sugo. Il problema è chi impone quel prezzo a scapito dei lavoratori, così da guadagnare di più, danneggiando tutta la filiera per il proprio profitto.

Come si potrebbe invertire la tendenza?

Per fermare il caporalato le strade sono poche e semplici da realizzare, almeno in teoria. Servono la certezza della pena, maggiori controlli nei campi, tutela per chi ha il coraggio di denunciare e una giustizia più veloce. L'azienda in cui è morto Samar Singh a Latina era sotto indagine proprio per caporalato da ben 5 anni. Per cinque estati hanno continuato a raccogliere i kiwi e troviamo davvero inverosimile, per non dire inaccettabile, che in 1826 giorni non si sia arrivati a un nulla di fatto, soprattutto dinnanzi all'evidenza delle condizioni dei lavoratori dell'agro-pontino emerse in questi giorni.

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Ci sono poi delle misure più generali che potrebbero essere utili alla causa, su tutte il salario minimo da introdurre per tutti i lavoratori. Non risolverebbe la piaga del caporalato perché la stragrande maggioranza dei braccianti un contratto non ce l'ha ma almeno tamponerebbe in minima parte. Sarebbe utile anche rendere pubblici gli accordi commerciali tra le aziende e la grande distribuzione, in modo che tutti possano valutare l'impatto dei contratti sulla vita delle aziende agricole e, di conseguenza, sui lavoratori che la abitano. Anche il governo dovrebbe intervenire: la Spagna ha appena approvato l'azzeramento dell'Iva sull'olio per tutta l'estate, da settembre sarà al 2%, questo porta a un naturale abbassamento del prezzo dei beni di prima necessità che potrebbe spingere le persone ad acquistare con più consapevolezza. Proprio su questo tema, sarebbe importante promuovere un sistema alimentare più equo e consapevole, che sia vantaggioso per tutti gli attori della filiera, dai produttori ai consumatori: il caporalato è solo un'altra faccia dell'allevamento intensivo perché sono entrambi dei sistemi figli delle richieste di mercato sconsiderate, che portano alla distruzione della vita delle persone

Gli accordi commerciali tra la Gdo e i fornitori ortofrutticoli sono un tema complesso con implicazioni per produttori, consumatori, ambiente e salute dei lavoratori. È importante che questi accordi siano negoziati in modo trasparente ed equo e che le autorità di regolamentazione attuino controlli per garantire che non vi siano pratiche sleali. Noi dobbiamo scegliere consapevolmente ma è giunto il momento di de-responsabilizzare il singolo consumatore che, al momento, non può permettersi una passata da 4 euro, e puntare il dito contro chi impedisce lo sviluppo economico di queste persone.

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