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30 Marzo 2020 17:00

Scompare l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti: la norma UE in vigore da aprile

L’obbligo di indicazione, a partire dal prossimo mese, varrà solo se l’origine dell’ingrediente primario di un prodotto alimentare differisce dal Paese di origine o di ultima trasformazione del prodotto stesso. "Trasparenza su pasta, riso, e derivati dal pomodoro", Bellanova firma la proroga fino al 31 dicembre.

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L’indicazione obbligatoria sull’origine dei prodotti in etichetta ha i giorni contati. Da aprile cambiano le regole e i produttori dovranno indicare la provenienza degli ingredienti principali dei prodotti solo in alcuni casi specifici.

Fino al 31 marzo, infatti, è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza della materia prima che costituisce almeno il 50% del prodotto, affinché il consumatore possa avere un’indicazione sul cibo più chiara possibile. Questa specifica è stata introdotta nel 2011 da una norma dell’Unione Europea che voleva ampliare i dettagli riportati in etichetta e scade a fine mese.

I ministri delle Politiche agricole Bellanova e dello Sviluppo economico Patuanelli questa mattina hanno firmato un decreto che prolunga i provvedimenti nazionali. In pratica l'UE ha accettato una proroga fino al 31 dicembre 2021 sull'obbligo di indicazione dell'origine del grano per la pasta di semola di grano duro, dell'origine del riso e del pomodoro nei prodotti trasformati.

Cosa dice la nuova norma

La nuova norma completa è disponibile qui: ma ciò che succederà dal 1 aprile è tutt’ora incerto. Alcuni Paesi membri dell’UE stanno correndo ai ripari, su tutti Francia e Italia, ma va detto che tutti gli stati appartenenti all’Unione Europea, con l’eccezione di Germania e Lussemburgo (astenuti), hanno approvato questo nuovo regolamento in sede di voto. Non cambierà tantissimo perché il nuovo regolamento si applicherà solo quando il consumatore potrà confondersi sulla provenienza dell’alimento: ma quel poco che cambierà potrebbe essere molto pericoloso.

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Praticamente se su un qualsiasi prodotto che non sia pasta, riso e derivati del pomodoro c'è qualche simbolo o dicitura riconducibile all’Italia nell’immaginario collettivo, ma il 51% del prodotto non è composto da ingredienti italiani, il produttore è obbligato a riportarlo in etichetta. Nel caso di pasta, riso e derivati del pomodoro, in base alla proroga firmata oggi, resta invariata la vecchia etichettatura.

Un regolamento più flessibile e un passo indietro rispetto alla situazione attuale che permetterà a molti produttori di soprassedere su un’indicazione che è invece molto importante.

L’Italia fino a questo momento ha approvato alcuni decreti in maniera illegittima per dare un segnale alla Commissione Europea: latte, latticini, pasta, riso, derivati del pomodoro nel nostro Paese hanno un’etichettatura diversa e molto stringente.

La risposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali

Il Ministro Teresa Bellanova ha sottoscritto insieme a Stefano Patuanelli, Ministro dello sviluppo economico, una lettera inviata ai Commissari dell’Unione Europea alla Salute e all’Agricoltura in cui si invita la commissione a “scelte coraggiose”.

Per l’Italia la trasparenza delle informazioni in etichetta è fondamentale e sta preparando una task force con Francia, Spagna, Grecia, Portogallo, Lituania, Romania e Finlandia per delle sperimentazioni statali sull’obbligo di etichettatura sulle diverse tipologie di prodotti. “Siamo convinti che si debba avanzare su questo fronte – proseguono nella lettera i Ministri – dando anche risposta all’iniziativa dei cittadini europei che ha raccolto oltre 1,1 milioni di firme in 7 Stati membri e che chiede di estendere l’obbligo di indicazione della materia prima in tutti gli alimenti. Appoggiamo con convinzione questa posizione e riteniamo che nella strategia ‘Farm to Fork' questo debba essere un tema centrale. Proprio perché si chiama ‘dal campo alla tavola’, l’origine obbligatoria declina al meglio questa locuzione, perché in etichetta il consumatore abbia la percezione dell’intero percorso di tracciabilità”.

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Il pericolo secondo i ministeri è che le decisioni sull’etichettatura siano un passo indietro che prima o poi porteranno a qualche scandalo alimentare: “In passato si è scelto di prendere decisioni in tema di etichettatura solo in conseguenza di gravi scandali alimentari. Abbiamo informazioni complete sulle carni, perché c’è stata la BSE. Non crediamo sia giusto aspettare un nuovo scandalo”. La proroga firmata oggi ha soddisfatto parzialmente i due che oltre a pasta, riso e derivati dal pomodoro vorrebbero norme più stringenti: "Avanti con la trasparenza – affermano – serve l'origine obbligatoria per tutti gli alimenti in Europa"

Il regolamento sui prodotti DOP, IGP e STG

Le etichette con i marchi sopra citati non varieranno con il nuovo regolamento. Stesso discorso per i prodotti a marchio registrato che “a parole o con segnali grafici indicano già di per sé la provenienza del prodotto”.

In realtà quest’ultimo punto potrebbe essere molto rischioso: le aziende che “falsificano” il cibo italiano potranno vendere indisturbate il proprio prodotto, anche usando come "amo" una semplice "distorsione" del nome originale (come fa il Parmesan), senza bisogno di specificare l'origine della materia prima. Il regolamento Ue che entrerà in vigore ad aprile lascia anche molta flessibilità sul riferimento geografico dell’origine dell’ingrediente primario (da Ue/non Ue, fino all’indicazione del Paese o della regione).

L’origine di un prodotto è sinonimo di qualità?

La domanda che i consumatori devono farsi ogni volta che comprano qualcosa è cosa significhi effettivamente il luogo di produzione. L’indicazione d’origine non è di per sé una garanzia di qualità.

La maggior parte del grano utilizzato per la pasta italiana, ad esempio, non è italiano ma canadese o dell’Europa dell’Est: e questo non da oggi, ma da secoli. Ciò nonostante, la pasta italiana resta un’eccellenza mondiale, pur avendo il grano ucraino o russo anzi, proprio per questo motivo viste le proprietà nutritive della materia prima.

L’informazione sull’origine è però utile a fare pulizia sul mercato di prodotti a rischio, come successe qualche anno fa con lo scandalo del glifosfato nella pasta dovuto alle coltivazioni di grano in Canada, dove è permesso per legge anche prima del raccolto.

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Grande preoccupazione anche per il cosiddetto Italian Sounding, che fa grossi danni all’export Made in Italy: “a parole o con segnali grafici”, indicano di per sé la provenienza del prodotto ma non è sempre vero, come dimostra il Parmesan.

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Quello che i piatti non dicono
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