Assoutenti ha chiesto di indire uno "sciopero della pasta": dal 22 giugno, per una settimana, i consumatori non dovranno acquistare pasta contro il caro prezzi. La protesta è rivolta al Governo: negli altri Paesi ci sono accordi tra Stato e distributori per aiutare i cittadini, da noi invece no.
Dal 22 giugno in Italia potrebbe scoppiare uno "sciopero della pasta". Assoutenti ha lanciato un grido d'allarme, una protesta formale contro il governo: sciopero della pasta per una settimana con i consumatori che, per far sentire la propria voce, non acquisteranno neanche un pacco. L'intento è lasciare tutto sugli scaffali per tentare di indurre le aziende a far scendere i prezzi. Un boicottaggio in piena regola: secondo Furio Truzzi, presidente di Assoutenti, "il prezzo della pasta è assolutamente sproporzionato rispetto ai costi di produzione" quindi bisogna intervenire. La protesta è rivolta per lo più al governo però: nelle scorse settimane i nostri politici avrebbero dovuto tenere una riunione per parlare degli aumenti e dell'inflazione. La riunione c'è stata ma hanno deciso di non intervenire se non con la card da 382 euro per le classi meno abbienti. Una scelta incomprensibile per Assoutenti.
Secondo i dati in possesso di Assoutenti ogni famiglia italiana composta da quattro persone spende in media 915 euro in più all'anno in generi alimentari, con un aumento di quasi il 12%. Per questo motivo gli italiani hanno ridotto la spesa alimentare e quasi la metà si è "convertita" al discount. Sono tutti segnali di un malessere vero, tangibile, che non può essere ignorato ed è per questo che si sta pensando allo sciopero della pasta.
Molte colpe le avrebbe il governo perché a differenza degli altri Paesi in Europa non sta facendo nulla per aiutare i propri cittadini. In Francia, ad esempio, c'è un accordo in essere da tre mesi con le catene dei supermercati per ridurre i prezzi degli alimenti di prima necessità. Questo accordo dovrebbe essere prorogato per tutta l'estate.
Anche la Gran Bretagna sta lavorando a un accordo simile per combattere l'inflazione sui prodotti alimentari: nel Regno Unito la situazione è perfino più grave che in Italia perché un tasso di inflazione così alto non si vedeva da mezzo secolo. Ungheria e Croazia sono le nazioni con la più alta inflazione alimentare nell'Unione Europea e ha lavorato con le grandi catene della grande distribuzione imponendo controlli ai prezzi di olio, maiale, farina di frumento e latte. La Spagna, infine, ha lavorato direttamente sulla tassazione: abolita l'imposta sul valore aggiunto dei prodotti essenziali e ha dimezzato le tasse su olio e pasta.