Un episodio di razzismo molto: due clienti scappano dal ristorante perché la cuoca è nera. Non sanno che si sono persi: la chef è la pluripremiata Mareme Cisse, campionessa del mondo di cous cous, presente in numerose guide gastronomiche e membro attivo dell'associazionismo agrigentino.
Un gravissimo episodio di razzismo accaduto ad Agrigento: una coppia è entrata in un ristorante, si è seduta e dopo aver parlato con una cameriera si è alzata ed è scappata via. Li avranno trattati male, penserai, e invece non è così: hanno solo scoperto che la chef del ristorante è nera. A raccontare questo deprecabile episodio è Carmelo Roccaro, presidente della cooperativa sociale Al Karhub che gestisce il ristorante Ginger People&Food di Agrigento, poco distante dalla Valle dei Templi, un luogo in cui storicamente la mescolanza di genti e culture ha fatto la differenza e sempre in positivo. L'episodio è davvero grave: nel 2023 stiamo ancora a giudicare qualcuno dal colore della pelle e non da com'è realmente. La chef del ristorante che questi orrendi avventori hanno definito "una ne*ra" è Mareme Cisse, 42 anni, originaria del Senegal e in Italia da più di 10 anni per ricongiungersi con il marito. In Sicilia si è dedicata anima e corpo alla ristorazione, con risultati eccellenti: campionessa mondiale di cous cous nel 2019, tra le migliori osterie d'Italia per Slow Food e menzionata dal Touring Club per la sua cucina di qualità. Lì dove le persone ci vedono una donna africana, avrebbero invece dovuto vederci una grande cuoca: non sanno che si sono persi.
Il titolare del ristorante è amareggiato e pubblica su Facebook la "Lettera a una sconosciuta" rivolta alla "non-cliente" che ha abbandonato il locale dopo aver saputo che in cucina a comandare c'è una chef nera. Il sospetto ai clienti è venuto perché anche la cameriera è nera, una ragazza italiana di seconda generazione, e quindi volevano accertarsi che non ci fossero altri africani a maneggiare il loro cibo. Razzismo bello e buono, tanto più che il locale si presenta distintamente come una fusione tra Africa e Italia.
Roccaro nel post si rivolge ai due ospiti, una coppia di italiani sui 60 anni. Il racconto non lascia spazio a dubbi: "Sei entrata di fretta, con il tuo compagno, capelli brizzolati, tagliati cortissimi “alla Sinéad”, donna nostrana sulla sessantina circa. Sei stata accolta con il sorriso dalla nostra Karima, addetta di sala, giovane ragazza di seconda generazione, grande lavoratrice, che ti ha fatto accomodare dove volevi tu; dopo qualche minuto ti ho visto alzare da tavola, disturbata, e dirigerti verso l’uscita. Ti sono venuto incontro per capire cosa stesse succedendo ma non mi hai degnato di uno sguardo e, alquanto seccata, non hai neanche risposto al mio saluto e sei andata via, così. Karima mi guardava con gli occhi sgranati e a bocca aperta dicendomi “Dopo avere visto il menù la signora mi ha chiesto se per caso la proprietaria del ristorante fosse una signora neg…di colore. E alla mia conferma si è alzata dicendo che non voleva più cenare qui…". Il titolare è andato incontro agli ospiti ma non ha fatto in tempo a raggiungerli: sono scappati senza guardarsi intorno. Roccaro non osa "giudicare. So solo che ho sentito una grande tristezza nel cuore. Ieri sera ho preso consapevolezza di quanto profondo e radicato sia questo sentire che emerge dal lato oscuro delle persone". La stessa tristezza che stanno sentendo centinaia di italiani per bene che stanno facendo sentire tutto il proprio supporto a Mareme Cisse con post sui social e hashtag di sostegno.
La lettera prosegue con un ringraziamento alla coppia: "Ma, ti sembrerà strano, ieri io ti ho anche ammirato. Ti ho ammirato perché hai avuto la coerenza di dire quello che tante persone, concittadini, amici pensano ma non hanno il coraggio di ammettere. Non importa se si tratta di spazzatura, ma lo hai detto, hai fatto uscire quello che si nasconde dentro di te, sei stata, a tuo modo, sincera. Perché, vedi, noi ci siamo proprio perché esistono persone come te, e non ci disturbano i commenti del tipo “u vidisti? dintra a cucina su tutti nivuri” o i “negri!” urlati dalle auto in corsa davanti al nostro ristorante. Non ci disturbano e ci fanno sorridere perché li avevamo messi in conto e sapevamo che sarebbe stato difficile costruire una comunità diversa da questa in cui viviamo". Non manca la stoccata finale alle istituzioni e ai tanti finti intellettuali che avrebbero dovuto fare rete e "sostenere questo progetto rivoluzionario. Il "povero nero" è bravo e fa bene alla coscienza attraverso le opere di carità "inclusive e antirazziste" dell’uomo bianco italico fin quando fa il lavapiatti o si occupa delle pulizie, cioè rimane al suo posto e non aspira a migliorare la sua condizione sociale. Ma se il nero, grazie al genio che la Natura, per fortuna, dispensa a caso e senza distinzione di sesso o di colore della pelle, diventa uno chef, un capo, diventa più bravo di me o di mio figlio, allora questo non va più bene. Diventa, appunto, troppo".
Il Ginger People&Food viene spesso bistrattato dagli operatori turistici locali ma fortunatamente "viene a trovarci tanta gente da varie parti d’Italia e del mondo, molti ci dicono che hanno prolungato la permanenza in città solo per venire a conoscerci. Ci invitano continuamente in Italia e all’estero per presentare il nostro progetto o far conoscere la nostra cucina, alcune università e giornalisti italiani e stranieri ne hanno fatto un esempio di buone prassi — conclude Carmelo Roccaro — Tutti ci fanno la stessa domanda: ma che ci fate qui? Beh, certamente ci siamo perché questa è la nostra città e per le tante persone che qui ci adorano, ma devo ammettere che adesso cominciamo ad interrogarci anche noi. Certamente non stiamo riuscendo a cambiare il lato nero dell’anima di quelli come te ma forse stiamo facendo emergere quello, più subdolo e profondo, dell’anima di quegli altri. Senza rancore".
Purtroppo il racconto non è nuovo per questo Paese. Il gender gap in Italia è una questione complessa: il nostro è l'ultimo Paese europeo per il lavoro femminile, con un divario retributivo importante e nessun sostegno alle donne che cercano di coniugare vita professionale e privata. Una disparità che aumenta in alcuni settori considerati "storicamente" maschili, come ad esempio la ristorazione. In cucina gender gap vuol dire anche essere messe alla prova ogni giorno, dover subire umiliazioni in silenzio, non avere nessuna possibilità di approdare a un ruolo di potere. Se a tutto questo ci aggiungiamo il colore della pelle allora lo scoglio diventa una vera e propria montagna da scalare.
Qualche tempo fa Victoire Gouloubi, chef di origini congolesi che vive in Italia tanti anni, ci ha raccontato tutti i disagi che deve vivere una donna in cucina, disagi amplificati dal colore della pelle: 20 anni di professione nel nostro Paese, scontrandosi con pregiudizi e veri e propri atti di mobbing, a volte perpetrati quasi inconsapevolmente dai suoi colleghi. Perché la normalità, nelle cucine, è sempre stata questa: "Si dice sempre che le donne in cucina sono fragili, come burro sciolto, ma in realtà non è così", afferma con forza Victoire. Bisogna far sentire il proprio grido e la propria vicinanza perché episodi come quello di Agrigento contro Mareme Cisse non capitino mai più, né in Italia né all'estero.