Per non dimenticare cosa accadde nel 1986 ed evitare che situazioni analoghe possano ripresentarsi. Un flashback a 37 anni fa, a quando lo scandalo del vino al metanolo causò 23 vittime, oltre 150 intossicazioni con numerose persone rimaste cieche. Ma che successe proprio in questo periodo di quasi 4 decenni fa?
Correva l'anno 1986. Il mondo, assieme a Top Gun, scopriva pure il primo virus informatico della storia. Nel cielo brillava lucente la cometa di Halley, si conclude il processo per il tentato omicidio a Giovanni Paolo II ed esplode il reattore nucleare della centrale di Cernobyl. Alcuni dei fatti più importanti di quella stagione che sarà ricordata, in Italia così come pure all'estero, per scandalo del vino al metanolo che divenne di drammatico dominio pubblico tra il marzo e l'aprile di quell'anno. Mantenendosi tristemente in cima ai fatti di cronaca anche negli anni successivi (il processo si chiuderà solo nel 1993).
Fu tra la fine di marzo e l'inizio di aprile del 1986 che le prime vittime iniziarono a manifestare i sintomi iniziali di quello che si rivelò un autentico avvelenamento. Un avvelenamento in un primo momento misterioso, di incerta origine, ma che dopo appena qualche giorno venne ricondotto al consumo di vino: per la precisione di un vino rosso prodotto in Piemonte. Un'esigua quantità, anche un paio di bicchieri, bastò per portare alla morte di 23 persone accertate e all'intossicazione di altre 153, alcune con danni neurologici permanenti, nonché alla cecità di altri 19 consumatori. Ma che cosa successe nello specifico? Andiamo per ordine.
Ricordare un fatto affinché non si ripeta più. Proprio in questi giorni sta cadendo il 37° anniversario dello scandalo che indignò l'opinione pubblica italiana e fu capace di tramorire un intero settore, quello enoico, sia per quanto riguardava il mercato nazionale sia per quanto riguardava l'export. Quello del vino ‘tagliato' con il metanolo fu, alla luce dei fatti, la più grande vergogna legata all'agroalimentare italiano.
"Di vino si può anche morire", così si parlava nella trasmissione Di Tasca Nostra nel 1986, affrontando il tema dello scandalo che aveva appena colpito l'Italia. Ma che cosa avvenne? Per quanto accertamenti successivi fecero risalire i primi intossicati all'inizio del marzo '86, fu nella seconda metà del mese che (al tempo) tutto partì. Da quando cioè una donna milanese, fortemente intossicata (e poi rimasta cieca), venne ricoverata in ospedale in seguito a gravi sintomi come vomito, diarrea, dolori intestinali e perdita di conoscenza. Problemi analoghi per un numero crescente di pazienti che, nel giro di pochi giorni, furono costretti al ricovero non solamente a Milano, ma anche in altre parti del Nord Italia tra Lombardia, Liguria e Piemonte. I medici si ritrovarono di fronte a veri e propri sintomi da avvelenamento, ma avvelenamento dovuto a cosa? In breve tempo si scoprì come tutti fossero accomunati dal consumo, poco prima i disturbi iniziali, di vino. Per la precisione di vino rosso piemontese (Barbera) in cui vennero registrati livelli di una sostanza altamente tossica per l'uomo se utilizzata in importanti quantità.
Questa sostanza tossica, che complessivamente causò il decesso di 23 pazienti, era metanolo (chiamato anche alcol metilico) aggiunto al vino scadente per alzarne la gradazione alcolica e poterlo così rivendere al pubblico a un prezzo più elevato. Vennero però usate dosi di molto superiori ai limiti già fissati all'epoca: se per legge in un litro di vino non si potevano superare gli 0.2-0.3 ml di metanolo, nelle bottiglie sequestrate i livelli erano estremamente maggiori (in alcune sfioravano i 7 grammi per litro). Basti pensare come in condizioni ‘standard' avrebbero causato effetti analoghi all'uomo ben 10 litri di vino e non un paio di bicchieri come nel caso dei poveri malcapitati consumatori di quello specifico Barbera. Un dato, emerso successivamente, mette la pelle d'oca: dalla metà di dicembre 1985 al marzo 1986 in Italia venne impiegata complessivamente una quantità di metanolo di circa 2 tonnellate e mezzo.
Sul sito di SlowFood è consultabile inoltre un articolo datato 2016 in cui l'autore cita una fonte che per parecchio tempo, in passato, aveva lavorato nel mondo del vino: "… in quegli anni il metanolo lo usavano tutti, era diventata una cosa di moda, com’è stato poi per i trucioli di legno, per la gomma arabica… Tutti sapevano che faceva male, molto male, e pertanto se ne usava pochissimo, cercando di stare nei limiti di legge. Peccato però che lo usavano tutti, senza sapere l’uno dell’altro, e da lì nacquero i problemi…". Magari non lo usavano proprio tutti, ma in molti si rivolsero a questa pratica scorretta approfittando il più delle volte delle carenze nel sistema dei controlli alimentari.
"Bottiglie dal poco prezzo ma dall'effetto sicuro", diceva invece in Rai Enzo Biagi riferendosi alle conseguenze subite da chi si era sfortunatamente ritrovato a bere il vino contaminato. Un vino, hanno poi scoperto le indagini, imbottigliato dall'Azienda Odore ma acquistato precedentemente da un'altra cantina, Ciravegna, il cui nome all'epoca da alcuni veniva associato alla scorretta pratica di maggiorare il grado alcolico di vini scadenti per poterli rivendere a un prezzo più alto. Non solo, emerse come spesso non si trattava nemmeno di vino, ma di mosto il cui tenore alcolico era stato innalzato dall'aggiunta incontrollata di metanolo. E questa non fu nemmeno la parte peggiore: dalle indagini si scoprì come la cantina Ciravegna fosse solamente la punta di un enorme iceberg sommerso, con tante persone coinvolte in una fitta rete criminale che si occupava di produrre e vendere – a nero, in tutta Italia – metanolo, maggiormente utilizzato per correggere il vino rispetto al più costoso, e tassato, zucchero (che può essere usato per analogo scopo, in fase di vinificazione). In tutto il Paese, nel giro di pochissimo tempo, venne sequestrata una grande quantità di bottiglie riconducibili alle aziende più o meno direttamente coinvolte.
L'accaduto causò, comprensibilmente, una psicosi collettiva a livello nazionale, ma non solamente. Mentre in Piemonte veniva riversato del vino rosso contaminato in fiumiciattoli e corsi d'acqua, in tutto il Paese si bloccò praticamente il commercio del vino. Ne pagò le conseguenze pure l'export: nel giro di pochissimi giorni, praticamente, nessuno voleva più il vino italiano. Beffa nella beffa, al termine delle indagini i colpevoli (tra cui i principali, Giovanni e Daniele Ciravegna), vennero condannati (oltre a un periodo fino a 16 anni di carcere) a risarcire le vittime e le loro famiglie. Tutti, però, si dichiararono nullatenenti e non una lira fu corrisposta a chi pagò con la salute le conseguenze di questo scandalo. Fu la pagina più buia della storia del vino italiano.
Melior de cinere surgo, direbbero i latini. Dalle ceneri risorgo migliore. Questo fatto di cronaca, per quanto abbia macchiato il nome e la reputazione del vino italiano per tanti anni, ha da un lato permesso a tutta l'industria enoica del nostro Paese di elevarsi, migliorarsi da un punto di vista qualitativo. Se negli anni dello scandalo il consumo pro capite annuo di vino si assestava di 60 litri, ora questo numero si è ridotto di circa la metà. Si beve di meno ma si beve, tendenzialmente, meglio, considerando anche come fino a quel momento il vino era perlopiù inteso come bevanda da tutto pasto, mentre i prodotti di maggiore qualità erano veramente di nicchia.
Dalla fine degli anni Ottanta in avanti gran parte dell'industria, per riprendersi, decise di intraprendere una strada nuova, qualitativa, anche in concomitanza con nuovi e più serrati controlli, certificazioni, fiere ed eventi di settore, guide e classifiche varie. Tutti aspetti che hanno contribuito a rendere l'Italia il primo produttore di vino al mondo con 49.066.000 ettolitri annui (staccando la Francia con 46.944.000 ettolitri e la Spagna con 46.493.000 ettolitri), arrivando a far conoscere e far apprezzare i propri prodotti in molti Paesi esteri. Senza dimenticarci, poi, dell'indotto complessivo annuo derivato dal turismo enogastronomico: un giro d'affari di 2 miliardi di euro. Inutile dire come oggi i nostri vini siano anche tra i più apprezzati a livello internazionale.