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6 Novembre 2023 13:00

Saor, scapece e colatura: cosa sono e come si usano in cucina?

Marinature e fermentazioni sono metodi di conservazione del cibo dall'origine antichissima, entrambi diventati nel tempo sinonimo di piatti e alimenti tradizionali molto apprezzati in tutta Italia (e non solo).

A cura di Federica Palladini
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Il progresso tecnologico nel corso dei secoli è stato un grande alleato anche in cucina, rivoluzionando il rapporto con il cibo in modo radicale, soprattutto quando si ha avuto la possibilità di conservarlo senza troppa fatica: un’invenzione relativamente recente – e di conseguenza una conquista – è quella del frigorifero (seguito dal congelatore), se confrontata con l’immenso arco di tempo dove preservare gli alimenti non era così semplice come aprire uno sportello.

Saor, scapece e colatura fanno parte di quelle tecniche che una volta si usavano per conservare svariati alimenti e che ora vengono messe in pratica per preparare diversi piatti cari alla tradizione. Realizzare sott’oli, marinature, fermentazioni, così come al contrario essiccazioni all’aria o sotto sale, non erano pratiche di tendenza lanciate o riscoperte da chef e ristoratori, ma gli unici modi per avere a disposizione il cibo per lunghi periodi.

Saor: ovvero insaporire le sarde come i veneziani

Si gustano come antipasto nelle osterie e nei ristoranti, in veste di cicchetto nei bacari e sono tra i piatti che non devono mancare alla festa del Redentore, quando si cena in attesa dell’attesissimo spettacolo pirotecnico che illumina la laguna: le sarde in saor sono un simbolo di Venezia e della Serenissima. Un piatto che nasce come cibo dei pescatori e dei naviganti già nel ‘300: il pesce veniva prima fritto e poi marinato a caldo in aceto di vino bianco e cipolle bianche (coltivate diffusamente nell’area di Chioggia, le stesse del fegato alla veneziana o dei bigoli in salsa), disposto a strati in contenitori di terracotta, e portato sulle imbarcazioni visto che si conservava per molto tempo.

Un saor basic che diventa nei secoli pietanza da “signori” nel momento in cui al “sapore” – tradotto dal veneto – si uniscono uvetta sultanina, pinoli e anche spezie (ora scomparse dalla ricetta, come chiodi di garofano, pepe, cannella) provenienti dai ricchi scambi a Oriente, che ingentiliscono il gusto del piatto.

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Le sarde in saor veneziane

Preservare il pesce di laguna è un’arte che univa tutto il Delta del Po: pesci, crostacei e molluschi del territorio venivano spesso preparati in una salamoia di acqua, sale e aceto e poi chiusi in barattoli, così che si potessero mantenere per mesi. Il saor, invece, riscuote un successo trasversale anche in versione vegetariana, con l’utilizzo della zucca, cotta al forno o in padella e condita nel medesimo modo.

Scapece: dalla carne persiana alle zucchine della cucina napoletana

Se del termine saor la provenienza è piuttosto chiara, si potrebbe invece scrivere un saggio filologico sul nome scapece, dato che le origini sono piuttosto incerte e divisive. C’è per chi è chiarissimo il rimando allo spagnolo escabeche, che indica una salsa a base di aceto, e che arriva da una specialità persiana con carne e aceto chiamata sikbâg, pronunciato in arabo volgare iskebech; e chi, invece, lo riporta all’antica Roma, precisamente a esca Apici, ovvero cibo di Apicio, in riferimento al famoso cuoco e gastronomo Marco Gavio Apicio, vissuto approssimativamente tra il I e il II secolo d.C., che suggeriva l’uso dell’aceto per conservare diversi cibi.

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Le zucchine alla scapece campane

Quel che è certo è che ancge lo scapece è una tecnica di preservazione che contempla la frittura in olio extravergine d’oliva e la marinatura in aceto. Particolarmente celebri sono le zucchine alla scapece, aromatizzate con menta e aglio, un piatto diffusissimo nel napoletano che ricorda le versioni del pesce e delle verdure in carpione del Nord Italia, specialmente Piemonte, con l’aggiunta di cipolle e salvia. Meno conosciuta, ma altrettanto tradizionale, presente in sagre e feste paesane, è la scapece gallipolina, dove pescetti piccoli come i latterini vengono conservati in strati costituiti da pane raffermo imbevuto di aceto e zafferano: una tecnica che rappresenta a pieno titolo il melting pot culturale dovuto alle tante dominazioni subite (nel bene e nel male) dal Sud Italia.

Anche la burrida, piattoa base di pesce tipico di Liguria, Provenza e Sardegna, segue un principio simile: ha come protagonista il gattuccio che viene cucinato in acqua e aceto, poi ricoperto da una salsa fatta con fondo di cottura e i fegatini del pesce e infine fatto riposare per 2 giorni così da marinarlo bene.

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La burrida, piatto tipico in Sardegna. Liguria E Provenza

Colatura: si parte con il garum e si arriva a un’eccellenza Dop

Dalle marinature alle fermentazioni il passo è breve. Ad accomunarle qui ci sono il fatto di essere entrambe delle tecniche antichissime di conservazione e in secondo luogo il pesce, uno degli alimenti più usati allo scopo. La colatura di alici, infatti, è una fermentazione in botte che ha il suo epicentro di eccellenza a Cetara, dove questo prodotto nel 2020 è diventato ufficialmente una Dop riconosciuta dalla UE.

La sua origine si fa risalire ai tempi dei Romani, come diretta discente del garum, ovvero una salsa liquida derivante dalle interiora dei pesci che veniva utilizzata come condimento dai legionari: la colatura di alici che gustiamo ora si produce perlopiù come nell’800, con il pesce eviscerato, unito ad acqua e sale in una botte (chiamata terzigno), pressato con dei pesi e lasciato fermentare per 12-18 mesi, fino a quando si pratica un foro da cui fuoriesce il prezioso succo, che concentra tutte le proprietà organolettiche delle alici. La colatura è perfetta per arricchire primi piatti, come gli spaghetti aglio, olio e peperoncino.

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La colatura di alici campana

Ricollegandoci al garum, sono da citare un altro paio di alimenti che lo richiamano nella sua funzione di insaporitore: la sardella calabrese e il miso di pomodoro. La sardella, detta anche caviale dei poveri, è una gustosa conserva di pesce realizzata con bianchetti freschi e peperoncino, che difficilmente supera i confini regionali della Calabria, mentre il miso di pomodoro è una ricetta dall’allure internazionale, che vede la fermentazione di questo ortaggio a opera degli chef giapponesi, capaci di portare con questo metodo di conservazione un prodotto tipicamente italiano a punte di gusto inaspettate.

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Quello che i piatti non dicono
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