Il 18 gennaio si traduce nella Giornata Nazionale della Salsiccia. Una specialità che mette d'accordo (quasi) tutti e testimonia a suo modo la verità gastronomica italiana. Ogni Regione, di fatto, può vantare la sua tipologia.
Facile, al giorno d’oggi, dire salsiccia. Uno dei prodotti gastronomici più amati (non ce ne vogliano i vegani) dello Stivale è tra le preparazioni più antiche che, da millenni, popolano la Penisola, contribuendone ad arricchire la varietà gastronomica e unendo idealmente il Paese prima ancora che lo facesse Garibaldi. In occasione della Giornata Nazionale della Salsiccia, un viaggio attraverso le specialità di cui la nostra gastronomia può vantarsi.
Carne di suino (nella maggior parte dei casi), con tagli più o meno grassi (e pregiati), variamente aromatizzata e insaccata in budella di maiale (secondo tradizione) e lasciata a stagionare oppure consumata fresca, previa cottura. Una definizione che probabilmente non rende giustizia a una preparazione così diffusa, nota e apprezzata. La salsiccia appartiene al nostro territorio da tempo immemore: pensate che addirittura gli Etruschi, già nel primo millennio avanti Cristo, erano soliti lavorare il maiale, animale di cui storicamente non si butta via nulla, e per questo non è peregrino pensare che già loro potessero realizzare un’antenata della salsiccia (ma, probabilmente, a loro si deve un insaccato simile all’attuale susianella).
Se non abbiamo però testimonianze certe della realizzazione e consumo di salsicce da parte dei popoli dell’Etruria, siamo maggiormente certi come gli antichi Romani usassero produrle e mangiarle. Testimonianze storiche ci aiutano ad affermare ciò: Cicerone, per esempio, venne stregato da salsicce prodotte in Lucania (l’attuale Basilicata, dove tra l’altro viene fatta risalire l’origine della salsiccia), così come Apicio, nel suo De Re Coquinaria, ne descrive la ricetta. Si trattava, comunque, semplicemente di carne tritata e insaccata in un budello e messa sotto sale, per favorirne la conservazione. La stessa etimologia della parola è un richiamo alla sua preparazione: salsus (salato) e insicia (carne tagliuzzata finemente).
In realtà, nel corso della storia, da Nord a Sud d’Italia sono nate salsicce a base degli animali più disparati: da quelle di cinghiale al cervo, passando per agnello, pollo o cavallo solo per fare qualche esempio. La quantità di spezie, dal pepe al peperoncino per citarne due, rimane ad assoluta discrezione del produttore o di eventuali disciplinari. Negli ultimi anni, per tenere il passo delle tendenze alimentari correnti, hanno fatto la loro comparsa sul mercato anche numerose tipologie di salsicce vegane (per esempio, a base di lenticchie). Non ce ne vogliano i seguaci di una dieta green, ma questa Giornata Nazionale della Salsiccia la celebriamo parlando delle “classiche” del nostro Paese.
Si intende, insomma, come esista una varietà sconfinata di questo prodotto: 0ggi praticamente ogni Regione d’Italia si fregia con vanto delle proprie tipologie, e non è raro trovare ricette diverse (per taglio della carne, spezie, aromi, periodo di stagionatura) anche nel raggio di pochi chilometri. Inoltre questo insaccato collega da secoli l’Italia da Nord a Sud prima ancora dell’unità nazionale: in tutto il territorio, insomma, da secoli vengono prodotte le salsicce, per il semplice fatto che le famiglie contadine possedevano almeno un maiale, animale la cui carne veniva (e viene) declinata nelle preparazioni più disparate.
Ma perché le salsicce sono così amate? Sicuramente si tratta di una preparazione gustosa, ghiotta, proprio per la presenza del grasso animale e di vari tagli di carne più o meno finemente lavorati. Il prezzo non certo dispendioso è un invito ad acquistarla, così come la possibilità di proporla in numerose ricette, in particolar modo quando ancora fresca. Ma, che ve lo diciamo a fare, c’è qualcosa di più buono di una salsiccia stagionata di qualità con un pezzo di pane soffice e appena sfornato?
Fatte queste doverose premesse, quali sono i tipi di salsiccia italiana più noti e diffusi tra le regioni dello Stivale? Ne illustreremo una varietà selezionata, sperando di non fare torto a nessuno con eventuali esclusioni. Sarebbe impossibile, infatti, citare tutte le tipologie presenti sul territorio nazionale.
Tradizionalmente composta da tagli magri di suino (20-30%) e soprattutto carne di bovino (70-80%), la salsiccia braidese un tempo era esclusivamente a base bovina, perché nel vicino comune di Cherasco viveva un’importante comunità ebraica che si approvvigionava a Bra di carni rigorosamente non di maiale. Oggi la salsiccia di Bra fa parte dell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (Pat) del Piemonte. Si tratta di un prodotto realizzato esclusivamente nel piccolo comune in provincia di Cuneo, solamente dai macellai membri del Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione della Salsiccia di Bra.
Ghiotta tipicità del Trentino Alto Adige è la Hirschwurst, salsiccia a base di carne di cervo (macinata a grana medio-fine) affumicata e stagionata in media per tre settimane dopo un periodo di asciugatura a una temperatura piuttosto alta (20 °C) della durata di circa 10 giorni. Paradossalmente (considerato il tipo di alimento di cui stiamo parlando) la Hirschwurst rappresenta una salsiccia “fit” (le virgolette sono comunque d’obbligo). La carne di cervo, infatti, è molto proteica e poco calorica: circa 90 calorie per 100 grammi di prodotto, con un alto tasso di proteine (circa il 93%) a fronte di circa il 7% di grassi. Meno sensi di colpa, insomma, per un eventuale sgarro.
Prodotto nell’elenco dei Pat siciliani, la Pasqualora è un tipico insaccato regionale citato anche da Virgilio nelle Georgiche (I secolo a.C.). Prende il nome dall’usanza di macellare e lavorare la carne di maiale durante la settimana di Pasqua, per consumarla poi nel corso dell’estate. Un prodotto fatto da 100% carne di maiale e condito con pepe, sale, peperoncino, vino bianco e finocchio selvatico. A Partinico in particolare, provincia di Palermo, si produce una Pasqualora entrata anche nell’Arca del Gusto di Slow Food. Una delle particolarità di questa salsiccia così radicata nel territorio? Oltre a una storia particolarmente antica, il fatto che assieme alla carne bovina è presente anche quella ovina. Gli allevamenti di pecore sul territorio stanno però man mano scomparendo, e questo comporta un pericolo per questa specialità, che deve essere salvaguardata.
Salsiccia, o come la chiamano qui sausizza o zazicchia, calabrese a marchio Dop. Ottenuta dalla macinazione delle carni della spalla e del sottocostola del maiale, viene aromatizzata con sale, pepe, peperoncino rosso piccante (e non poteva essere altrimenti) rigorosamente calabrese, nel rispetto delle antiche tradizioni legate alle famiglie contadine. Il periodo di stagionatura non scende al di sotto dei 30 giorni.
Non potevamo non citare Norcia in un approfondimento del genere. Non a caso la pratica di lavorazione delle carni di maiale, per l’appunto chiamata norcineria, prende il nome da questo antico borgo umbro, incastonato tra le alte vette dei poco distanti monti Sibillini (in particolar modo il Monte Vettore). Selezionati qui i migliori tagli (per lo più magri, come spalla e coscia) di suino o cinghiale, ai quali si aggiunge una piccola percentuale di pancetta, declinati nelle preparazioni più disparate. Si va, infatti, dalla classica salsiccia a, per esempio, l’iconico Coglione di Mulo (replicato dai macellai di Norcia, ma originario della non lontana Campotosto).
Impossibile non passare anche per la Campania, patria di salsiccia e friarielli. Qui, in particolare, tra le preparazioni più note c’è la cervellatina; un tipo di salsiccia fresca, quindi da consumarsi cotta, fatta con carne di suino mista, tradizione vuole, a un trito di cervella. Al giorno d’oggi, sebbene il nome non sia mutato, non si è più soliti utilizzare il trito di cervello di suino, bensì esclusivamente carne di maiale, sia grassa sia magra, pepe e spezie essiccate (tra le quali il peperoncino).
Il nostro viaggio termina, idealmente, proprio lì dove è cominciato tutto. Le origini della salsiccia, come detto in apertura, vengono fatte risalire in Lucania, colonia romana sin dal III secolo avanti Cristo che riforniva di questa specialità l'Urbe. In particolar modo la salsiccia lucanica di Picerno, realizzata esclusivamente con carni di maiale e aromatizzata con il finocchio selvatico, dal 2018 è riconosciuta dal marchio Igp.