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16 Giugno 2024 11:00

Salame Napoli: da dove viene e perché si chiama così

Si tratta della tipologia di salame più popolare in Campania. Ha solitamente una forma allungata, il gusto è dolce ed è perfetto da magiare a fette, oppure come ripieno di gateau di patate, casatiello, tortano e altri rustici sfiziosi.

A cura di Federica Palladini
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Tra i prodotti gastronomici più caratteristici del made in Italy si annoverano i salami: il termine indica una tipologia di insaccato di carne suina, bovina, d’oca (tipo quello di Mortara) o mista che viene macinata in una pasta a grana grossa, media o fine, più o meno grassa, arricchita generalmente da spezie e aromi, poi racchiusa in un budello. Di salame, com’è noto, non ne esiste una sola tipologia, ma a seconda di determinati aspetti, tra cui la zona di provenienza, se ne contano tantissime varietà. Una di queste è il salame Napoli, detto anche “di Napoli”, “tipo Napoli” o “napoletano”, che arriva dalla Campania (non solo dalla città): si gusta, ovviamente, tra due fette di pane come nel più classico degli abbinamenti, ma si utilizza soprattutto in chiave di ingrediente tagliato a cubetti all’interno di ricette della tradizione come il casatiello, il tortano, il gateau di patate, il rustico di pasta frolla e i panini napoletani, per citare i più noti. Andiamo alla sua scoperta.

Salame Napoli: il più popolare della Campania

Quando si parla di salame Napoli si fa riferimento a un salume che affonda le sue radici all'interno dei confini regionali: è il più diffuso e conosciuto, ma non ha un marchio di tutela, anche se in passato è stata presentata una proposta per farlo rientrare nelle Dop italiane, quindi tra i prodotti di Denominazione di Origine Protetta. Da questo punto di vista è paragonabile al salame Milano e al salame ungherese: anch’essi si identificano con la zona di origine (nonostante il secondo sia in realtà friulano), non sono regolati da un disciplinare o protetti e promossi da un consorzio (tipo Finocchiona o Felino), ma sono accomunati da caratteristiche simili.

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Il salame Napoli si differenzia per avere una forma allungata a cilindro con diametro variabile, un bel colore rosso vivo, con le infiltrazioni bianche adipose ben visibili. Le carni di suino impiegate sono fresche, solitamente di spalla, coscia, pancetta, coppa e lombo, macinate a grana medio-grossa, mentre non c’è una razza di maiale italiana specifica da cui si ricavano (come la Cinta Senese). La consistenza è compatta e durante la lavorazione il salame subisce un’affumicatura e una stagionatura non inferiore ai 20-30 giorni. Il gusto nella maggior parte dei casi è dolce, ma in commercio con la stessa etichetta si possono reperire anche varianti piccanti con peperoncino.

La sua storia sembra essere legata a doppio filo a quella di un altro insaccato campano, il Salame di Mugnano del Cardinale, in Irpinia, inserito tra i Pat (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) regionali, che maggio 2024 ha fatto domanda per diventare Igp. Di forma globosa irregolare, se ne hanno già tracce nel XIV: era considerato merce pregiata, per cui si regalava, si usava come pagamento e si consumava durante feste e ricorrenze.

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Salumi campani: niente Dop o Igp

Come tutte le regioni italiane, la Campania ha un forte legame identitario con il suo cibo: un rapporto stretto con il territorio che può venire definito anche per legge (oltre che per cultura e tradizione) con la registrazione Dop o Igp, rafforzando la tipicità. C’è da dire che nella categoria salumi, fino a ora, non è rientrato nessun prodotto (tra salame, soppressata, capocollo, salsiccia, prosciutto…), al contrario di ortaggi, latticini e formaggi superstar, dalla Mozzarella di bufala campana ai Pomodorini del piennolo del Vesuvio, passando per Provolone del Monaco, Limone Costa d’Amalfi, Pasta di Gragnano, Nocciola di Giffoni e molti altri.

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Quello che i piatti non dicono
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