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28 Maggio 2024 11:00

Salame d’oca di Mortara: cos’è, come si fa e come si usa in cucina

Si tratta di un insaccato a base di carni d'oca e suino la cui origine risale al '400, ai tempi del Ducato di Milano, vera e propria specialità gastronomica di questo comune del pavese che dal 1967 le dedica anche una sagra.

A cura di Federica Palladini
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La provincia di Pavia non è famosa solo per le sua grande tradizione del riso: anche per quanto riguarda gli insaccati, infatti, si possono trovare delle vere eccellenze, come il salame d’oca di Mortara, un prodotto che racconta il legame tra il territorio lombardo di appartenenza e questo animale da cortile, che viene allevato in zona fin dal ‘400. Si tratta di un salame che rispetto a quello di Varzi Dop, altra tipicità locale, si ricava dalle carni del volatile e nel 2004 ha ottenuto il marchio Igp. Dal 1967, a settembre, c’è una sagra dedicata che lo mette al centro di piatti semplici e gustosi, come il risotto, senza dimenticare l’iconico duo pane e salame.

Che cos’è e come si fa il salame d’oca di Mortara

Il salame d’oca di Mortara prende il nome dall'omonimo comune della Lomellina, diventato celebre anche fuori dai confini regionali proprio per essere la patria di questa specialità gastronomica che si realizza secondo quella che viene definita l’ "antica ricetta", visto che il mestiere passa ancora adesso tra "maestro" e "allievo". Non esiste una ricetta universale, nonostante la produzione, per rientrare all’interno dell’indicazione geografica protetta, deve seguire le regole sancite dal disciplinare, che coinvolgono tutta la filiera. Il salame è composto da carni che sono per un terzo parte magra dell’oca e due terzi suino (parti magre e grasse suddivise in uguali percentuali): si macinano insieme e si ottiene una pasta che viene arricchita da sale, spezie e aromi (qui ogni produttore mette la sua signature). Al posto del budello, la sacca in cui il salame si forma deriva dalla pelle dell’oca, prelevata dal collo, dal dorso o dal ventre, che viene cucita con apposite macchine. Una volta realizzata l’imbottitura, il salame è fatto asciugare e poi cotto in acqua a bassa temperatura (non superiore agli 80 °C). Si lascia, infine, raffreddare.

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Le origini del salame d’oca di Mortara

La storia parte dai tempi di Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, duca di Milano, che tra il XV e il XVI secolo bonificò i terreni della Lomellina e accolse qui una folta comunità ebraica. Le oche erano già un animale da cortile molto diffuso e, complice l’impossibilità di mangiare maiale per dettami religiosi, divennero la carne prescelta di questa popolazione. Il salame d’oca originale, quindi, non aveva l'aggiunta di suino e per questo si guadagnò nel tempo l’appellativo di “ecumenico”, in quanto poteva essere consumato dai cattolici, dai mussulmani e dagli ebrei: ancora adesso, seppur con minor frequenza, è possibile trovarlo. La contaminazione con il maiale, invece, pare sia arrivata sempre dai salumieri dell'epoca per soddisfare anche il gusto degli abitanti locali, abituati a insaccati più saporiti.

Salame d’oca di Mortara: gli usi in cucina

Il salame d’oca di Mortara è dolce e delicato, con un colore che tendenzialmente vira più al rosa che al rosso acceso, complici appunto le carni del volatile. Si può quindi presentare a fette all’interno di un tagliere di salumi e formaggi, come farcitura del classico panino, oppure in veste di secondo, da accompagnare a verdure cotte (tipo gli spinaci), il purè e la polenta (sfiziosa quella grigliata). Nei primi piatti dà un tocco di sapidità in più al risotto, magari allo zafferano: lo si taglia a cubetti e si guarnisce alla fine. Nelle ricette è più facile che venga usata la pasta di salame d’oca, ovvero l’impasto a crudo, che si impiega come una salsiccia fresca per condire pastasciutte, dare carattere a soffritti e sughi. Un abbinamento particolarmente riuscito è quello con la Bonarda, vino rosso dell’Oltrepò pavese: con la pasta di salame è perfetto nei risotti, con il salame, invece, in un bicchiere per brindare.

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Le modifiche al disciplinare

Nel 2023 il disciplinare ha subito una revisione, ancora non approvata definitivamente dal Ministero, che riguarda soprattutto l’aggiornamento degli articoli dedicati alla provenienza e all’alimentazione degli animali. Nel precedente regolamento, le oche dovevano essere “nate, allevate e macellate nell’ambito dei territori delle seguenti Regioni: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia”, mentre nel nuovo si chiede l’eliminazione del riferimento alla nascita. Questo perché la maggioranza delle uova arrivavano da un allevamento del Ravennate che ha subito gravi danni dall’alluvione e dall’aviaria, così come dichiarato dalla presidente del Consorzio Mariella Corsico. Rispetto al nutrimento, invece, dati i cambiamenti dovuti alle modalità di allevamento moderno, è prevista l’introduzione di “mangime finito, opportunamente integrato con apporti proteici e vitaminico-minerali” oltre alle granaglie e ai foraggi verdi.

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