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27 Febbraio 2025 11:00

Sakè giapponese: guida al nihonshu e alle sue varianti

Noi lo chiamiamo sakè, ma il suo vero nome è nihonshu: un fermentato che ha fatto la storia della gastronomia giapponese. Bevanda alcolica a base di riso, ne esistono diverse tipologie, ognuna con un suo carattere e un tipo di abbinamento ideale.

A cura di Enrico Esente
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Ne abbiamo sentito tanto parlare e diverse volte siamo stati incuriositi da questo prodotto. Stiamo parlando del sakè, una bevanda alcolica giapponese che affonda le sue radici a oltre mille anni fa, molto conosciuta in tutto il mondo e patrimonio identitario del Giappone. Considerato dall'Unesco come Patrimonio dell'umanità, storicamente le sue origini risalgono alla Cina del quinto millennio a.C. e successivamente è stato esportato in Giappone. Ecco dunque una guida completa sul sakè, che ti aiuterà a capire quali sono le varie tipologie e come le abbinano i giapponesi.

Nihonshu, il vero modo di definire il sakè

Bisogna partire da una definizione tecnica: è incorretto chiamare con il nome di sakè il distillato che tutti conosciamo. In giapponese sakè significa "bevanda alcolica" ed è un termine che si utilizza genericamente per tutti i tipi di alcolici. Il distillato che tutti conosciamo come sakè in realtà si chiama nihonshu ed è una bevanda fermentata il cui processo di produzione è più simile a quello della birra che del vino. Prodotto dalla fermentazione del riso, in patria è spesso protagonista di eventi importanti come cerimonie religiose, festeggiamenti o semplicemente degustato quotidianamente.

Tradizionalmente il nihonshu veniva preparato nei templi e offerto agli dei come parte di rituali religiosi. Oggi è invece una bevanda che si beve comunemente e si sposa benissimo con determinati tipi di alimenti. A differenza di alcuni tra i nostri alcolici come grappa o amaro, che spesso vengono consumati dopo i pasti, il nihonshu è speciale proprio come bevanda di accompagnamento alle diverse portate a tavola. 

Questa bevanda alcolica è composta da quattro elementi: acqua, lievito, riso e koji (un fungo che trasforma l'amido in zucchero). Il processo di produzione inizia dall'acqua che deve essere più pura possibile: più cristallina e incontaminata è l'acqua, più buono sarà il sapore finale del nihonshu. Così come l'uva per il vino, il riso è l'elemento che donerà alla bevanda alcolica tutti i sentori primari a naso e palato. Per questa motivazione esistono diversi tipi di riso sparsi in tutto il mondo, con il quale si può produrre il nihonshu. Il più famoso è il riso sakamai che presenta un cuore amidaceo e una barriera esterna lipidica e proteica, caratteristiche che differiscono dal normale riso da tavola.

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Come si produce il nihonshu

La prima cosa che si fa per produrre un buon distillato è la pulitura del riso. Con quest'azione si va a rimuovere lo strato esterno per eliminare le impurità e ottenere una parte più ricca di amido. Questo viene poi fatto fermentare in alcol grazie all'utilizzo di un tipo speciale di lievito e del koji. Il risultato finale è un bevanda che può variare in dolcezza, secchezza o gradazione alcolica.

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Le diverse varietà del nihonshu

Così come per i vini, anche il nihonshu presenta diverse varietà che si sposano bene con alcuni tipi di piatti.

  • Tra i più popolari troviamo il ginjo e il daiginjo che sono distillati raffinati e delicati che si abbinano benissimo al sushi o al sashimi. Essendo molto pregiati, sono tra i più costosi sul mercato.
  • Il sakè junmai è quello che invece sta benissimo in accompagnamento a carne e verdure grigliate. Il sapore è corposo e terroso e viene preparato senza l'aggiunta di alcol. La qualità di questo distillato dipende dalla pulitura del riso: più basso è il grado di pulitura, più deciso sarà il sapore.
  • Tra le altre varietà troviamo il nigori: sakè torbido e non filtrato nel quale viene lasciato una percentuale residua di riso più alta. Questo conferisce al nigori un aspetto più biancastro e cremoso. Si abbina bene con i cibi piccanti.
  • Il koshu è invece un sakè invecchiato e maturato per diversi anni con un sapore legnoso, secco e fruttato.

Se cerchi una soluzione più economica sul mercato, devi optare per il futsushu che è di qualità inferiore in quanto soggetto a una lavorazione più industriale e con una percentuale maggiore di alcol e zucchero che ne migliorano sapore e stabilità.

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Le temperature adatte per gustare il sakè

Questi tipi di sakè possono essere degustati a diverse temperature: quella ideale dipende dal tipo di bevanda che stai assaporando. Il ginjo e il daiginjo, essendo più raffinati, dovrebbero essere serviti freddi, tra i 5 e i 10 °C. Il junmai va gustato a temperatura ambiente, genericamente tra i 15 e i 20 °C. Il sakè può essere bevuto anche caldo come nel caso del nigori o del futsushu (tra i 40 e i 50 °C) per migliorarne il sapore e coprire eventuali difetti.

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