La Fipe ascoltata in Parlamento: "Il settore che rappresento è il più colpito in termini economici da questa emergenza e dal modo in cui è stata gestita". Il direttore della Federazione Italiana Pubblici Esercizi porta alla Camera cinque proposte per ripartire e cinque critiche sulla gestione del lockdown.
"La ristorazione è al collasso", esordisce così alla Camera dei deputati Roberto Calugi, direttore generale Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi. "Perdonatemi, ho un grandissimo senso dello Stato ma il settore che rappresento è il più colpito in termini economici da questa emergenza e dal modo in cui è stata gestita".
Calugi ha riferito alle commissioni lo stato di salute dei ristoratori e messo sotto la lente di ingrandimento tutti i provvedimenti economici stabiliti dal governo, evidenziando le problematiche che comportano. Cinque critiche e cinque proposte per venire incontro al mondo della ristorazione e dell’accoglienza in un intervento da 20 minuti in cui il direttore ha spiegato cosa non ha funzionato nel lockdown imposto a 300 mila imprese, con oltre 1 milione di lavoratori, che chiuderanno il 2020 con 34 miliardi di euro di perdite.
"Solo l’1,4% delle imprese italiane della ristorazione è riuscito ad accedere al credito bancario garantito dallo Stato e questo, insieme al mancato arrivo ai lavoratori dei soldi degli ammortizzatori sociali è il motivo per cui il clima di sfiducia e preoccupazione si sta diffondendo a macchia d’olio" sottolinea Calugi.
La Fipe chiede al Governo di dimostrare "quell’attenzione e quell’orgoglio per il comparto della ristorazione e del turismo italiani. Noi abbiamo messo sul tavolo le nostre richieste e ci aspettiamo risposte puntuali nel merito. Noi oggi sappiamo solo che non apriremo fino al primo giugno, niente sappiamo di aiuti concreti e a fondo perduto per le nostre imprese".
Le richieste principali della FIPE al Presidente Conte e al parlamento sono cinque:
• Prevedere contributi a fondo perduto per il settore, parametrati alla perdita di fatturato durante le 14 settimane di chiusura;
• disporre una moratoria sugli affitti e le utenze per le aziende e i rami d’azienda;
• esentare le imprese dal pagamento delle imposte locali e nazionali, in particolare Imu, Tasi e Tari, per il periodo di chiusura;
• estendere gli ammortizzatori sociali a tutta la durata della crisi, fino al momento in cui le imprese non potranno tornare a operare a regime;
• predisporre un piano chiaro e condiviso per le riaperture.
In particolare l’ultimo punto è stato sottolineato da Calugi perché "gli imprenditori devono sapere quali saranno le misure di sicurezza che dovranno utilizzare e quali i criteri per il distanziamento. Senza queste informazioni come si fa a capire se è conveniente o meno aprire? Noi abbiamo predisposto un protocollo di sicurezza che abbiamo inviato alle istituzioni, aspettiamo delle risposte".
"Non ci siamo proprio" conclude così Calugi, spiegando che "si è intrapresa la strada dei prestiti garantiti, appoggiandosi al sistema bancario e questo si è rivelato un errore, soprattutto per imprese piccole e medie come quelle della ristorazione che vivono di cassa. Non tutto è perduto ma occorre fare presto e invertire subito la rotta, attraverso contributi a fondo perduto a compensazione delle perdite e un piano serio e condiviso sulle riaperture".
• Attualmente, su un campione di 780 imprese del mondo della ristorazione, dei catering e dei locali notturni, solo 10 attività sono riuscite ad ottenere un prestito dalle banche, mentre il 36% degli imprenditori si è sentito rispondere che ci vorranno almeno altre 4 settimane.
• Il secondo problema è rappresentato dagli ammortizzatori sociali: ancora nessun lavoratore ha ottenuto alcuna forma di sostegno al proprio reddito.
• Preoccupa anche il tema degli affitti, affrontato attraverso il credito d’imposta ma limitatamente al mese di marzo. Così come preoccupano gli adempimenti fiscali che al momento sono stati solo posticipati ma non annullati.
• L’ultimo problema sollevato è quello della riapertura, con la data slittata senza alcun confronto con le associazioni di categoria, ma soprattutto senza che sia stato comunicato alcun piano per la sicurezza sanitaria ed economica delle imprese.