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29 Aprile 2020 11:00

#ReStart: ripartiamo da qui. La rubrica sul futuro della ristorazione dopo il Covid -19

In questi mesi di isolamento e stop alle attività lavorative a causa del Covid -19 molte cose sono cambiate: il futuro di locali e ristoranti in questo momento è più che mai incerto e fumoso. Non si tratta solo di nuove norme comportamentali da seguire: gli stessi modelli ristorativi potrebbero cambiare, così come le pratiche di convivialità a loro legate. Per questo abbiamo deciso di inaugurare una nuova rubrica: sono molti gli interrogativi che ci si pongono davanti e a cui si deve dare una risposta. Per farlo vogliamo riflettere insieme ai protagonisti del settore: ristoratori, imprenditori, chef, sommelier, pasticcieri, produttori e selezionatori.

A cura di Francesca Fiore
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Il Covid-19 ha scardinato tutte le certezze sul nostro futuro prossimo: fra i settori più colpiti dall’emergenza e dallo stop alle attività lavorative, c’è quello della ristorazione e del turismo. Da pochi giorni abbiamo la data di riapertura dei locali, anche se non è ancora definitiva: quella del 1° giugno 2020. Niente di più all'orizzonte: nessuna indicazione, insomma, sul come si dovrà riaprire. Il settore è nel caos e fra ristoratori, chef e istituzioni il dibattito è decisamente acceso.

Nessuna sicurezza per il futuro, tanti gli interrogativi e un solo punto fermo: la ristorazione dopo il Covid -19 dovrà necessariamente cambiare gran parte della sua fisionomia attuale, quantomeno in una prima fase, che non sembra comunque limitata a pochi mesi.

Come sarà il post Covid

In questo periodo di isolamento sociale, sono diverse le testate di settore (e i protagonisti della ristorazione) ad aver avviato riflessioni e ragionamenti che – purtroppo – poggiano su basi decisamente incerte. È solo negli ultimi giorni che, dalle istituzioni nazionali, sono arrivati timidi segnali di speranza per un settore attualmente dominato dalla paura.

Per questo abbiamo deciso di inaugurare una nuova rubrica – ora che i tempi sembrano più maturi – interrogando proprio quei protagonisti del settore e cercando di stimolare creatività positive che possano focalizzarsi sul futuro della ristorazione. Perché crediamo fermamente che, da un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, si possa trarre energia per rinnovarsi, evitando di “sopravvivere”: un adattamento evolutivo che sia innovativo e funzionale al miglioramento dell’esperienza ristorativa e non solo per il cliente.

Non abbiamo risposte, ma molte domande da porre. E prima di inoltrarci nelle varie sfaccettature del problema di un ritorno alla “normalità” abbiamo bisogno di elencare alcune questioni chiave su cui riflettere anche con voi. La prima questione – quasi inevitabile – è quella dei tempi.

Riaprire o non riaprire: le date della fase 2

La data del 1° giugno, che in totale porta a 3 mesi lo stop forzato per locali e ristoranti, scontenta molti. Mentre la squadra di Vittorio Colao è al lavoro – presumiamo – anche per pianificare le modalità specifiche per la riapertura dei locali e la gestione della clientela nella fase 2, temi su cui in questo momento non si ha alcuna informazione, dalla Fipe (Federazione italiana dei pubblici esercenti) arrivano previsioni preoccupanti. Secondo le ultime stime dell’organizzazione, infatti, nel 2020 “moriranno oltre 50 mila imprese e 350 mila persone perderanno il loro posto di lavoro”. Le perdite stimate ammonterebbero a 34 miliardi in totale dall’inizio della crisi: il tutto in uno scenario in cui i dipendenti momentaneamente in stop, in buona parte dei casi, stanno ancora aspettando la cassa integrazione.

Nel frattempo dal 4 maggio in tutta Italia sarà possibile il delivery (mentre restano varie incertezze per quanto riguarda l’asporto) anche se non sono in molti ad aver deciso di riaprire in questa fase, che potremmo chiamare fase 1 e 1/2, perché non vedono nessun vantaggio nel riavviare quei servizi, almeno in questo momento.

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La questione del delivery ha sollevato diversi dibattiti negli ultimi due mesi, dall’effettiva possibilità per chi produce cibo di osservare le norme prescritte nella fase emergenziale, alle critiche di chi sostiene che il delivery non possa comunque sostenere i costi attuali dei ristoratori, né coprire una parte abbondante della produzione, ma solo permettere una sopravvivenza momentanea.

Fase 2 dal 1° giugno: come potrebbe essere?

La riapertura non è ancora ufficiale, ma molto probabile: per il resto si brancola nel buio. Per il 1° giugno, presumiamo che il problema del delivery sarà già superato: sicuramente qualcuno continuerà a portare avanti il servizio di consegna a domicilio, pur avendolo osteggiato in passato, per diversificare le entrate il più possibile. È altrettanto probabile però  che il nuovo modo di concepire il pasto possa spingere all’apertura di format diversi, come quello delle ghost kitchen, o dark kitchen, cucine messe in piedi per l’esclusiva preparazione di piatti da asporto, anche in versione gourmet.

Ma come potrebbe essere la famosa fase 2 per chef, ristoratori, proprietari di bar, pub, enoteche e locali con servizio al tavolo che decidono di riaprire? Fermo restando che in molti invocano test sierologici rapidi per analizzare le condizioni di salute del personale e forse anche la tanto discussa app di tracciamento, sono diverse le soluzioni proposte per far ripartire i ristoranti in sicurezza.

Disinfezione dei locali e abbondanza di presidi igienici a parte, saranno sicuramente obbligatorie le norme di distanziamento sociale, cosa che porterà a un dimezzamento, in alcuni casi, dei coperti. Tavoli più distanti – come già succede in Cina – significa numeri più bassi: le conseguenze di questo sono diverse in base alle tipologie di locale. Un locale di fine dining che riduce i tavoli da 20 a 10 avrà lo stesso mancato incasso di coloro che hanno invece puntato su tanti coperti, con ristoranti o pizzerie da 100 o 150 posti a sedere? È possibile, dunque, che saranno i ristoranti di fascia “media” e con molti coperti ad essere più penalizzati da questa misura inevitabile?

#ReStart: ripartiamo da qui. La rubrica sul futuro della ristorazione dopo il Covid -19

All’orizzonte anche qualche proposta stravagante – quantomeno per le nostre abitudini sociali – che difficilmente potrà essere applicata, come i separatori di plexiglas fra i clienti.

Al di là di queste riflessioni, i ristoratori si troveranno comunque a fare i conti con le paure e le incertezze dei clienti, che siano di natura sanitaria o economica. Qualcosa che potrebbe portare a diversi e profondi cambiamenti nel nostro modo di pensare, di usufruire e di godere del pasto fuori casa.

Sia chiaro, non stiamo ipotizzando un cambiamento epocale e irreversibile: crediamo infatti che i ristoranti torneranno a essere popolati. Quando e come non lo sappiamo ancora: a cambiare saranno abitudini, tempi e modalità, tutti aspetti ancora da indagare, anche dal punto di vista comportamentale e dell’impatto psicosociale.

La spending review dei ristoranti

In questa situazione, data anche la confusione sugli aspetti economici e sul sostegno che potrebbe arrivare dalle istituzioni – altro tema scottante di cui parleremo più avanti in maniera approfondita – è inevitabile che si corra ai ripari, programmando tagli e riduzione del budget per molte attività, cosa che qualche ristoratore sta facendo in maniera preventiva, anche “minacciando” chiusure con largo anticipo.

I primi tagli riguarderanno purtroppo il personale ed è possibile che i meno colpiti, in questo caso, saranno più i ristoranti già abituati a una gestione familiare, o con personale ridotto.

Altri tagli potrebbero riguardare l’approvvigionamento: i fornitori più lontani, i prodotti più costosi e difficili da reperire, le materie prime che hanno bisogno di maggiore lavorazione. Ci auguriamo che a subire tagli non sia la qualità delle materie prime, ma piuttosto la varietà, cosa che è sicuramente una conseguenza negativa per il cliente. Ma lo sarebbe di più nel primo caso: è sempre preferibile un minor ventaglio di opzioni di alto valore, piuttosto che un parterre ampio di piatti scadenti.

Questi tagli potrebbero portare a una semplificazione o, comunque, a una ristrutturazione del menu: privilegiando ad esempio i menu degustazione, cosa che comporta una maggiore efficienza organizzativa ed economica, data la serie di piatti organizzati e un ventaglio di scelte limitate. Al contrario, il menu alla carta potrebbe essere archiviato: un trend già in atto da tempo, ma che a causa delle esigenze post emergenza potrebbe subire una decisa accelerazione.

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Saltare la fase 2: l’idea di alcuni ristoratori

In questo mare di incertezze, c’è anche chi pensa di saltare direttamente la fase 2 e passare alla fase 3. Ad esempio Pasquale Naccari, ristoratore di origini calabresi e proprietario de Il Vecchio e Il Mare, pizzeria di alta qualità di Firenze, che in un video diventato virale ha definito un “bluff” la fase due; oppure Gianfranco Vissani, star della cucina in tv che non ha bisogno di presentazioni, che l’ha invece annoverata tra i “film”: sono solo alcune delle voci più effervescenti del settore, che però mostrano quale sia il livello di sfiducia sulla possibilità di applicare effettivamente le nuove misure contenendo le perdite. Al di là delle boutade di alcuni, la Fipe stima che il 40-50% dei ristoranti potrebbe non riaprire in questo periodo “di mezzo”.

Oltre chi non potrà implementare tutte le misure necessarie per la sicurezza dei clienti, e resterà quindi chiuso, non sono pochi i ristoratori che esprimono una preoccupazione per un modello di ristorazione che elimina quasi l’aspetto della convivialità, almeno in un primo periodo. C’è però da dire che in questo momento fumoso, la situazione potrebbe spingere molti imprenditori della ristorazione e chef a ideare progetti alternativi, che non si limitino necessariamente all’aspetto puramente ristorativo, puntando su idee innovative e dal respiro più ampio.

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Il futuro della ristorazione e la “bolla gastronomica”

Se è vero che le questioni aperte sono molte, è altrettanto vero che un periodo così duro potrebbe permettere anche cambiamenti positivi, come abbiamo già detto, portando in dono idee nuove e un po’ di ossigeno al settore.

Ma potrebbe farlo anche in un altro modo: ad esempio “sfrondando” un sottobosco inutile – ma anche dannoso – che da anni si crea periodicamente nel settore della ristorazione. Ristoranti, bar e attività di vario tipo che si aprono per i motivi più disparati, ma senza la necessaria competenza né le risorse adatte. È da qualche anno che si parla ormai di “bolla gastronomica” per sottolineare le dimensioni ipertrofiche di un settore che negli ultimi tempi è cambiato moltissimo: secondo le Camere di Commercio, nel 2019, sono state registrate quasi 400 mila attività, in pratica un locale ogni 150 persone. La spesa degli italiani per i consumi fuori casa, sempre nello stesso anno, è stata pari a 86 miliardi di euro, ovvero 1400 euro a persona. Cifre che nel 2020 cambieranno irrimediabilmente.

Al di là delle distorsioni di un settore in perenne evoluzione, per tutti quei ristoratori che conducono imprese sane e che hanno difficoltà a procedere dopo lo stop (si pensi ad esempio a un locale in fase di ristrutturazione, o anche a una semplicissima apertura molto recente) le risposte dovrebbero arrivare, almeno in parte, anche dalle istituzioni.

Ma anche i protagonisti del settore possono fare molto, in questo momento di crisi: ipotizzando ad esempio soluzioni nuove a problemi che ormai conosciamo bene, creando modelli di fruizione alternativi, lanciando nuovi input per implementare l’innovazione e il progresso di tutto il comparto.

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