Report tenta di fare chiarezza sulla presunta insostenibilità dell'alta cucina e sui debiti dei cuochi stellati. Tanta carne a cuocere in un servizio che parla anche del mondo dei social, della fatturazione dei ristoranti, del mondo del lavoro e del precariato. Ma è davvero come dice la trasmissione di inchiesta della Rai?
Un focus sulla cucina stellata e su tutto ciò che riguarda il mondo della ristorazione nella discussa puntata di Report del 30 gennaio. La redazione di Rai 3 indaga sui milioni di follower e sulle star televisive, sul business che muove migliaia di euro ma che, in sostanza, non porterebbe utili se non a pochissimi nomi. Il servizio passa poi al fenomeno di Salt Bae e a quello dei "giovani che non vogliono lavorare". Un lungo viaggio nei ristoranti stellati con Report che fa i conti in tasca agli chef più famosi d'Italia.
Alcune cose dette in puntata sono risapute, ribadite con un certo modello di narrazione per creare scalpore nel telespettatore. Vero è che il fine dining è costoso, ma c'è una differenza tra "caro" e "costoso" che non dobbiamo mai dimenticare: sfatiamo un grande tabù del Bel Paese visto che, conti alla mano, i prezzi dell'alta cucina sono in linea col servizio offerto.
Questa confusione è dovuta al nome dell'attività: fare un "ristorante" non è un obbligo di "democraticità" della proposta, d'altronde non pretendiamo lo stesso trattamento sulle automobili. Così come esistono Bugatti e Fiat Panda, esistono stellati e ristoranti comuni, anche se entrambe le auto porterebbero alla stessa destinazione. Sta alla curiosità e alla possibilità economica del cliente scegliere l'una o l'altra strada, senza vergogna e senza supponenza alcuna: non c'è una "fazione" sbagliata se al centro della proposta c'è il rispetto della cucina, dei lavoratori e degli ingredienti.
L'apertura del servizio è tutta per Giovanni Maspero, noto imprenditore che qualche anno fa ha aperto "I Tigli in Theoria" sul lago di Como, ristorante che ha presto raggiunto la Stella Michelin. Le ipotesi di reato sono di bancarotta, autoriciclaggio e una serie di reati tributari derivanti soprattutto da inadempienze connesse alle molteplici attività imprenditoriali, per le quali avrebbe accumulato un debito erariale di circa 100 milioni di euro. Oltre al ristorante, Maspero ha infatti anche un piccolo impero della comunicazione che ha problemi addirittura dal 2019, problemi che hanno portato alla confisca dei beni e alla reclusione del fratello di Giovanni, Massimo Maspero, per omesso versamento di Iva e ritenute fiscali. L'imprenditore non ha voluto parlare con Report a differenza di Gianfranco Vissani che, come al solito, non ha peli sulla lingua.
Ad aprire l'intervista è suo figlio Luca che mostra i menu al giornalista e spiega che, a causa del caro bollette, ha deciso di ridurre le giornate di lavoro per risparmiare sull'energia. Padre e figlio parlano poi dell'elevata tassazione che abbiamo in Italia e dei precedenti penali dei due: entrambi condannati a 6 mesi di reclusione (con pena riconvertita in sanzione pecuniaria). Per la famiglia Vissani "non bisogna chiamarla evasione, bisogna chiamarla sopravvivenza". Una tacita ammissione che chiude la prima parte del servizio.
Si passa quindi alla sostenibilità di un locale e prende parola Antonello Colonna, uno dei primi cuochi televisivi della nostra storia. Lo chef, 1 Stella Michelin, parla della differenza rispetto al passato: "Prima la stellina raddoppiava il fatturato, oggi non è più così. Oggi contano più i social". All'interno del suo resort in provincia di Roma lo chef parla "dei costi nascosti che rendono costoso un ristorante: gli arredi, la pulizia, l'ordine, i dettagli, tutte cose che incidono molto. In un locale che ha 20 coperti servono circa 30 persone a lavorarci".
Report chiede un parere anche a Valerio Visintin, giornalista gastronomico del Corriere della Sera, che è molto critico verso il mondo degli stellati: "Lo chef vive per la Stella Michelin". Ma è giusta questa "ossessione"? In realtà in parte è giustificata. Non parliamo del valore intrinseco della Stella, in quanto onorificenza: può far piacere o può non fregar nulla a chi la riceve, a seconda della persona. Parliamo però del valore economico di questo riconoscimento. Secondo una ricerca della JFC di qualche anno fa l'assegnazione di una Stella porta un aumento di fatturato del 50% dopo solo un anno, per la seconda e la terza stella gli incrementi sono meno significativi, ma comunque consistenti: rispettivamente +18,7% per chi passa da 1 a 2 Stelle e +25,6% per chi ottiene la terza Stella. A di là dei benefici diretti, provenienti dai clienti che pagano per il cibo, ci sono poi quelli indiretti, legati alle attività extra-ristorante come i cooking show, gli eventi, i banchetti, le cene private, le consulenze, le sponsorizzazioni".
Oltre all'indotto personale c'è anche un indotto esterno: ogni locale stellato di un piccolo comune porta in media 2.770 pernottamenti ogni anno in una struttura nei pressi del ristorante. L'ossessione per la Stella è quindi giustificata da un innalzamento del proprio valore economico e percepito dal cliente: ti permette di entrare in un circuito d'élite, con clienti da tutto il mondo. Visintin è molto critico anche con il "sistema" della Michelin perché ci sono troppi pochi ispettori dichiarati e perché la guida si "focalizza sempre sul gruppetto santificato". Secondo il "critico mascherato" la guida contiene una percentuale troppo bassa di locali Stellati: "Non è, quindi, una guida, è come se fosse l'Oscar della cucina" secondo il collega del Corriere della Sera.
Gli stellati sono lo 0,2% dei ristoranti italiani e portano un fatturato di 327 milioni di euro annui totali. Questo fatturato arriva grazie ai prezzi che Report reputa salati e sottolinea come l'alta cucina sia insostenibile dal punto di vista economico. La cosa non vale per tutti: "Cannavacciuolo è uno fortissimo — dicono in trasmissione — perché realizza ricavi per 14 milioni di euro all'anno, è una media azienda. 12 milioni li fa il ristorante, il resto li fa la televisione: 2 milioni e 700 mila euro solo con la Tv. A Cannavacciuolo vanno i nostri complimenti".
Parole al miele anche per Massimo Bottura, Heinz Beck, Bruno Barbieri (che non ha un ristorante), diverso il discorso per Bastianich (che non è un cuoco) e per Carlo Cracco. In particolare lo chef veneto fattura 3,3 milioni di euro ma è in perdita per oltre mezzo milione di euro: complessivamente le società di Cracco hanno accumulato ben 16 milioni di euro di debiti.
Il problema principale di Cracco è il ristorante in Galleria: per i 5 piani presi dall'ex giudice di Masterchef l‘affitto costa 1 milione e 200 mila euro all'anno. Una cifra che potrebbe sorprendere, ma in realtà non è tanto: Cracco in Galleria ha un'estensione di 1.118 metri quadrati. Solo per fare un paragone, Prada paga quasi 2,3 milioni all'anno per soli 400 metri quadri in più; Dior paga addirittura 5 milioni per 253 metri quadri ( la cifra tuttora più alta, in relazione alle dimensioni del negozio, mai pagata al Comune per avere un affaccio in Galleria Vittorio Emanuele). Ciononostante il costo per Cracco resta proibitivo in relazione a quanto incassa: accumulare 16 milioni di euro di debiti, la metà solo per la Galleria, quindi evidentemente c'è un buco di informazione a cui Carlo Cracco non ha voluto rispondere. Perché continua a spendere così tanto per un ristorante che accumula milioni di debiti?
Si fa un salto carpiato per finire in Turchia, la terra di Nusret Gökçe, soprannominato Salt Bae: un macellaio, uno chef, più banalmente un intrattenitore gastronomico che dopo un video su Twitter di qualche anno fa è diventato un fenomeno mondiale. C'è il classico elenco dei prezzi del suo menu ma Antonello Colonna stoppa tutti dicendo che il "problema" sono i clienti, perché pagano per questo show. Non c'è nulla di male in tutto questo: finché c'è un cliente che paga ed è soddisfatto.
Ultima e più corposa fase del servizio riguarda il problema dei salari, problema che abbiamo ampiamente trattato anche noi. Si parte da un ristorante in provincia di Caserta: un simbolo ammonitore usato da Report per far diffidare chiunque si abbagli dai locali che con 35 euro propongono menu pantagruelici. Questi menu non solo sono quasi sempre di scarsa qualità, ma nascondono sempre una magagna molto più grave: le condizioni dei lavoratori. Magari non siamo noi a pagare in prima persona ma è il ragazzo che ci lavora in condizioni pietose. Dobbiamo pensare che quel ragazzo potrebbe essere nostro fratello o nostro figlio, probabilmente avremmo una percezione diversa.
Le condizioni di lavoro nel mondo della ristorazione sono a dir poco vergognose: contratti fatiscenti o inesistenti, con tanti giovani sognatori sfruttati in nome di questo loro sogno. Report ha interpellato Borghese per l'infelice intervista del 2022 in cui dice che i giovani non hanno voglia di lavorare e che pochi vogliono fare sacrifici. Il cuoco romano smentisce parzialmente la dichiarazione, dicendo che è stata travisata, ma conferma la poca propensione al sacrificio dei giovani cuochi, almeno a suo dire.
In realtà torniamo a dire che in Italia abbiamo un problema enorme di accesso al mondo del lavoro. Il mondo del giornalismo è un esempio di come i diritti dei lavoratori vengano calpestati: una grossissima fetta del mercato è in mano a precari, tirocinanti, giovani sognatori disposti a fare di tutto (incluso lavorare gratis) pur di avere il tesserino. Non è una cosa legale, ma succede ed è il classico "segreto di Pulcinella".
Ci sono esempi ancora più palesi perché giustificati dalla legge: i tirocini universitari sono gratuiti perché fanno parte del percorso di studi ma si tratta di lavori a tutti gli effetti, infatti nel resto d'Europa sono pagati. Emblematici i casi degli psicologi e degli avvocati: oltre un anno di praticantato a costo zero o quasi. Discorso simile per i medici: gli specializzandi hanno uno stipendio che varia a seconda della specializzazione ma con un monte ore molto alto e, soprattutto, con tutte le responsabilità di un medico strutturato. Quindi possiamo dire che sì, il lavoro nella ristorazione ha un problema che è sotto la lente d'ingrandimento grazie alle star, ma questo problema è tristemente condiviso dalle altre professioni. Finché la classe dirigente non deciderà di rivolgersi alla nuova generazione sarà difficile invertire la rotta se non affidandosi a piccole realtà isolate sparse in Italia, spesso però abbandonate dalle istituzioni perché un pesce piccolo non viene ritenuto importante.