Nell'era della critica a portata di mano, quanto vale il giudizio di un critico professionista e quanto pesa nelle nostre scelte? Come si distingue da quello di un cliente casuale? E soprattutto, quanto è lecito fare critiche negative e positive?
Quando si parla di ristorazione è inevitabile parlare di giudizi: quella cena ci è piaciuta, il pranzo in quel locale ci ha delusi, la colazione dell'hotel ci ha fatto impazzire. Noi italiani siamo forse per natura portati a valutare tutto quello che assaggiamo, spesso stretti nelle nostre piccole convinzioni. Se, però, usciamo dal seminato del giudizio personale e soggettivo e ci inoltriamo nell'ambito della critica professionale, tutto cambia o, quantomeno, dovrebbe cambiare. Ma è possibile definire una recensione oggettiva? E quanto il cliente dovrebbe essere influenzato da una critica piuttosto che da un'altra? Nell'era delle votazioni a portata di mano, quanto pesa il giudizio di un critico rispetto a quella di un cliente magari anche "esperto"?
Una volta c'erano le guide, con le loro schede anonime e gli altrettanto anonimi critici. Intendiamoci: a parte casi clamorosi, gli "addetti ai lavori" hanno sempre saputo qual è grossomodo l'identità di chi gira per ristoranti per professione. Del resto, se fossimo cuochi e notassimo un o una cliente soli a un tavolo, con il taccuino degli appunti, avremmo ben pochi dubbi. L'anonimato è sempre stato importante, ma cade nel momento in cui chi assaggia lo fa in modo diverso da un "semplice" cliente. Questo, però, non significa che il cuoco sia preparato all'evento: il critico tendenzialmente si presenta in una sera qualunque, rigorosamente senza farsi annunciare, pagando un conto che verrà poi rimborsato dall'editore per cui lavora. Queste e altre le garanzie di un lavoro fatto con razionalità e distacco: la professionalità del critico, la sua esperienza, la conoscenza di territorio, prodotti, materie prime e tecniche utilizzate, comprese le sperimentazioni e i trend in atto.
Tutto questo avveniva prima del web, prima che chiunque potesse cenare in un ristorante e scrivere quello che pensa sulla base di quella che è poco più che un'impressione. Sembrerà banale, ma davvero la possibilità di esprimere un giudizio su qualcosa, che magari vediamo (o assaggiamo) per la prima volta, ha ribaltato completamente le prospettive all'interno di questo "gioco".
Una recensione può essere oggettiva? Questo è un tema su cui la critica gastronomica dibatte da sempre. La cosa da cui partire, per noi, è la distinzione fra una recensione amatoriale e una professionale. E non si tratta solo di aver frequentato più o meno tot ristoranti, ma di essere addentro alle dinamiche di un settore, ai meccanismi che sorreggono il prodotto ristorante nella sua interezza.
Un cliente che esprime un giudizio – e ben venga che lo faccia – valuta quello che ha appena mangiato o la sua esperienza complessiva, ma lo fa di pancia, senza approfondire lo sguardo, come farebbe chi ascolta un disco per la prima volta o chi osserva un'opera d'arte dopo aver comprato il biglietto per la mostra. Un critico è, invece, in grado di guardare oltre, di valutare l'organizzazione, la capacità di sperimentare e creare, eseguire tecniche complicate o meno, valorizzare il territorio e le specificità della propria offerta. Sa valutare gli abbinamenti in base a uno studio accurato, riesce a cogliere sfumature di sapore grazie all'esperienza del suo palato, ma soprattutto sa valutare il progetto nel suo complesso, l'idea del ristorante. Il suo è un giudizio fortemente orientato verso l'oggettività, concetto magari per qualcuno irraggiungibile, tende verso quell'ideale.
Entrambe le critiche sono benvenute, ma solo una delle due ha un valore professionale. Torniamo dunque alla domanda di cui sopra: quanto pesa il giudizio di un critico rispetto a quella di un cliente magari anche "esperto"? Pesa e deve pesare: nella scelta del ristorante in cui mangiare, ma anche della meta da valutare per un viaggio, la recensione di un critico professionista deve pesare più di quella di un cliente. Per rubare una metafora politica utilizzata qualche anno fa, ma ribaltandola, in questo caso "uno non vale uno". Questo non significa che le recensioni dei clienti non possano fornirci spunti interessanti, anche se meno calibrati.
Negli ultimi dieci o quindici anni il mondo della gastronomia è cambiato tantissimo: il potere di esprimerci su qualsiasi cosa in qualsiasi momento ha ribaltato le dinamiche di potere. Prima di questo gigantesco mutamento c'erano le guide, che menzionavano solo i locali meritevoli di essere selezionati, e poi c'erano le testate giornalistiche – poche in verità – che potevano decidere se fare recensioni, se farne solo di positive o se esprimere un giudizio in ogni caso. Di fatto la questione è ancora aperta: è bene recensire un ristorante sempre e comunque, oppure darne visibilità solo se meritevole? Per noi la scelta è la prima: se sono inviato da un giornale a valutare un ristorante, lo devo fare in ogni caso, mettendo l'accento su quello che mi ha particolarmente colpito e valutando anche quello che ho ritenuto carente. Il punto non è recensire, ma come recensire. Poi ci sono le guide, che si basano su un altro sistema: ti faccio entrare nella mia selezione solo se lo meriti, se ancora non lo meriti ti ignoro. Ma si parla, appunto, di un tipo di pubblicazione diversa, che segue tempi e ritmi molto differenti da quelli dei magazine on line.
Qualunque sia la scelta, se si esprime un giudizio negativo su una cena bisognerebbe sempre prima pensare che dietro quei piatti ci sono soprattutto lavoratori e lavoratrici. Al di là del nome del cuoco o del singolo cameriere che ci ha serviti, è bene tenere a mente che il ristorante è un meccanismo fatto da tanti ingranaggi la cui armonia è fondamentale. I motivi per cui qualcosa va storto possono essere tanti e, molto spesso, solo legati al "fattore umano".
Premesso questo, il punto è: come recensire negativamente un locale senza eccedere? Il rispetto del lavoro altrui è una condizione basilare per un mestiere come quello del critico, soprattutto dal momento che le recensioni on line dei clienti (non sempre ben distinguibili da quelle dei professionisti, ahinoi) possono essere usate come "strumento" per condannare un'insegna. Toni ironici e fuori luogo, valutazioni non motivate in maniera approfondita, foto fatte male o costruite ad arte, toni tranchant: tutto questo ci deve far capire che non c'è molto di professionale in quella recensione.
Al contrario, valutare e criticare tenendo presente il lavoro altrui, motivare le nostre critiche in maniera cristallina, considerare l'offerta anche in base al contesto e al progetto, questo è quello che deve farci capire la differenza fra un giudizio espresso di pancia e una critica motivata. Il punto è che una critica deve essere costruttiva, soprattutto per il locale: e più si sale di prezzo, di offerta e di prestazione, più la critica deve essere attenta.
Nell'era delle tempeste abbiamo a maggior ragione bisogno di una bussola: se i giudizi sono disintermediati e non c'è più grande differenza, almeno in apparenza, fra le varie recensioni, dobbiamo imparare a fidarci dei professionisti in particolar modo. In tutte le prestazioni che non siano intellettuali succede: mi fido del mio idraulico quando mi consiglia quali sanitari comprare. Perché non mi fido di un critico quando mi suggerisce in quali ristoranti mangiare? Perché un professionista è più credibile, o meno corruttibile, dell'altro? E qui si apre un tema nuovo, quello della credibilità, che sul web si conquista e si perde in un batter d'occhio.
In ogni caso, oggi più che mai dovremmo imparare a fidarci di chi è esperto e a valutare anche in base ai nostri gusti, ma tenendo presente il suo prezioso giudizio, senza farci annebbiare dall'egocentrismo imperante che ci fa pensare di essere critici navigati dopo il primo morso. E, allo stesso tempo, i critici dovrebbero essere più rigorosi che mai con se stessi, garantendo trasparenza massima sul giudizio che esprimono e tracciabilità anche delle relazioni che hanno. Tutto questo vuol dire fare informazione in maniera seria, senza accontentarsi delle valutazioni sommarie e spesso modaiole che chiunque con un minimo di visibilità – ma probabilmente senza gli strumenti – può esprimere.