Un prezzo equo del pane si attesta sui 5 euro al chilo secondo Catello Di Maio e Giovanni Mineo, due dei migliori panettieri d'Italia. La cosa che incide di più? La manodopera.
Sta facendo discutere tantissimo il pane a 9 euro al chilo venduto a Milano nella panetteria Ambrogia, scatenando un dibattito davvero acceso sui social e tra gli appassionati di gastronomia. Per quantificare: 9 euro sono quasi il doppio rispetto al costo medio del pane nel capoluogo lombardo. Ma quanto dovrebbe costare davvero il pane? Qual è il prezzo giusto? Ovviamente non esiste una risposta univoca perché molto dipende dalle singole città, dalla materia prima utilizzata e, soprattutto, da ciò che ritiene equo il titolare. Se per un panettiere il proprio prodotto dovrebbe essere venduto a 200 euro al kg non ci sarebbe nulla di male: è il libero mercato, gli imprenditori si prendono oneri e onori di tale scelta. Per capire il processo che porta a questi prezzi (sempre più alti in Italia), abbiamo chiesto a due dei migliori panettieri d'Italia come capire se un prodotto è costoso oppure no.
Secondo Giovanni Mineo, titolare di Crosta a Milano, "Il prezzo non è basso, alto, caro o costoso: deve essere dignitoso, deve restituire dignità a tutte le persone che hanno contribuito a quel prezzo. Con un determinato prezzo sto pagando il lavoro di chi ha fatto il pane, di chi lo ha venduto, di chi lo ha pensato, di chi lo ha consegnato, di chi coltiva il grano, di chi lo macina e così via. Sono tutti lavori dignitosi a cui la dignità va restituita attraverso i soldi".
Facciamo un passo indietro: la polemica nasce da un'intervista del Corriere della Sera a Federica Ferrari e Francesca Gatti, titolari di Ambrogia, una panetteria kosher a Milano: il pane più venduto sarebbe quello da 9 euro al kg e giustificano il prezzo con la qualità degli ingredienti, la filiera corta e la filosofia dietro al prodotto, che viene definito come un'esperienza di gusto e non solo un alimento. Non tutti sono d'accordo. Il critico gastronomico Paolo Manfredi ha definito il prezzo "esagerato" e ha criticato l'utilizzo del "racconto" per giustificarlo. Altri hanno sottolineato che il pane, pur costoso, sia apprezzato da una clientela che ne riconosce il valore. Annalisa Zordan del Gambero Rosso ha difeso le due imprenditrici, affermando che il prezzo è giustificato dalla qualità del prodotto e dalla sua lunga durata. Tra i commenti agli articoli, la maggior parte delle persone ha affermato che la scelta di comprare o meno il pane Ambrogia spetta al consumatore. C'è chi è disposto a pagare un prezzo premium per un prodotto di alta qualità e chi preferisce alternative più economiche. L'importante è avere la consapevolezza di ciò che si compra e fare scelte consapevoli. I commenti negativi sono stati comunque tantissimi e le due imprenditrici si sono viste attaccate su più fronti.
Riteniamo di per sé irrilevante il prezzo del pane di una singola panetteria, in una singola città, però una riflessione sul prezzo del cibo va fatta, soprattutto sul pane. Per secoli il costo del pane è stato il vero metro di giudizio per sapere le condizioni economiche di una nazione: non è un caso che tante rivolte siano nate a causa dei prezzi troppo alti del pane. Lo racconta bene Manzoni ne I promessi sposi ma anche in tempi più recenti abbiamo avuto delle rivolte del pane: in Tunisia negli anni '80 le contestazioni hanno portato a centinaia di morti e migliaia di feriti; la stessa Primavera araba del 2010 è scaturita dalle proteste per il prezzo del pane. Non è cosa da poco dunque.
Cosa sta succedendo in Italia? Il prezzo del pane sta lievitando dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, ormai arrivando a cifre quasi incontrollate. Non parliamo del pane a 9 euro, un unicum nel panorama dell'arte bianca, ma del prezzo medio al supermercato che ormai si aggira attorno ai 5 euro al chilo un po' ovunque. Il primo problema che constatiamo, come conferma unvademecum risalente addirittura al 2009 di Confartigianato, è che il pane ha avuto un prezzo troppo basso per anni, per questo motivo centinaia di panifici sono andati in bancarotta nel III Millennio. Per Catello Di Maio, titolare di Cesto Bakery a Torre del Greco, in provincia di Napoli, "al Sud abbiamo ancora questo problema nella maggior parte dei panifici. Nel resto d'Italia ci sono zone in cui viene venduto il giusto, altre in cui i prezzi sono più alti, ma il costo varia molto in base al tipo di farina che si usa".
Ma qual è il prezzo "giusto"? Secondo Di Maio "è sui 5 euro al chilo ma il ragionamento è ampio. È un discorso etico e ci vuole sensibilità: io capisco i panificatori che usano il grano biologico, la blockchain, e credo che se riesci a vendere il pane a 10 euro fai bene. Lo devi vendere però quel pane, altrimenti è scarto: lo scarto è uno dei fattori che più influenza l'economia di un negozio e non molti panifici lo calcolano". Il pane più economico di Cesto Bakery è venduto "a 3,40 euro al chilo, prezzo che riesco a ottenere perché faccio enormi quantità di quello specifico pezzo. Lo uso come prodotto civetta: le persone vengono da me per il pane e alzo lo scontrino medio grazie ad altre cose con cui margino di più come la crostata, un biscotto o la pizzetta. Grazie a questi prodotti riesco a tirar fuori un 30% di margine dal venduto generale del panificio ma solo col pane non riuscirei". La cosa triste è che, nonostante il prezzo sottocosto anche rispetto alla media italiana, Catello Di Maio ha comunque un problema in città: "Ancora oggi sono visto come il ladro della situazione perché nel raggio di 10 km i miei prodotti costano almeno 1 euro in più dei competitor, in alcuni casi arrivo al doppio".
Con le dovute proporzioni, date dalla differenza tra Milano centro e la provincia di Napoli, Giovanni Mineo vive la stessa situazione: "Il mio entry level è a 6 euro — dice il panificatore palermitano — e il prezzo è invariato dall'apertura di Crosta. Per me questo è il pane del popolo, quello che dovrebbero potersi permettere tutti e che dà dignità ai produttori. Non ho una marginalità altissima ma mi rifaccio con gli altri prodotti, nel frattempo però offro la possibilità a tutti di entrare da Crosta e prendere un alimento sano ed etico. Nonostante ciò la gente ci ha sempre visti come una gioielleria, non capendo che sul pane applichiamo una formula matematica per arrivare al prezzo, non inventiamo nulla. Sono i costi che ho in negozio a fare il prezzo di vendita. Se non lucro, fallisco". Per Mineo il problema è dato "dalla percezione che abbiamo del lavoro del panettiere, più basso rispetto agli altri lavori, quindi gli si possono fare le pulci. Quando andiamo a comprare un vestito griffato lo paghiamo il 500% in più del costo della produzione ma l'abito è uno status symbol, a differenza di un qualsiasi prodotto alimentare". In realtà il pane è stato a lungo visto come stato sociale, non a caso c'era il pane nero dato al popolino e il pane bianco dato all'aristocrazia, la qual cosa è stata vissuta anche da Crosta: "Quando aprimmo vennero diverse persone anziane che ci rimproveravano per il pane integrale, inorridivano quando glielo offrivamo: era il ricordo della guerra a fargli avere questa reazione". Per questo motivo, secondo Mineo, il concetto di "storytelling" applicato al pane di Ambrogia ha comunque un peso adeguato e comprensibile.
"Io faccio il margine di contribuzione unitario per prodotto ma è in linea teorica perché devi considerare gli scarti che non sono calcolati" ci dice Di Maio. Per calcolare il costo della materia di un pezzo di pane si parte dalla farina che costa tra l'euro e l'euro e quaranta "ma qui partono i problemi perché il 10% del peso si perde subito in uscita dal forno. Dopo 3 ore pesa ancora di meno perché si disidrata. Il conteggio degli scarti è fondamentale perché non possono essere calcolati né pesati: pensa alla farina per lo spolvero ad esempio. Neanche l'ammortamento delle attrezzature viene mai calcolato". Quest'ultimo fattore è davvero ignorato da tutti: prendiamo ad esempio un'impastatrice che per lo Stato ha una vita media di 5 anni e quindi la fa ammortare in bilancio per cinque anni. Se sei molto bravo puoi farla durare 30 anni ma in questi anni l'attrezzatura si usura ugualmente e va aggiustata: questi costi non sono a bilancio e non vengono calcolati.
In realtà entrambi i panettieri puntano il dito sulla pressione fiscale e il costo del lavoro, uno dei più alti d'Europa: è questo che pesa davvero sul costo del pane. Per Mineo "il costo della materia prima è quasi irrilevante nel pane, ancor di più l'Iva perché noi l'abbiamo al 4% essendo bene primario. Incide molto la quantità di prodotto che si riesce a fare ma soprattutto la quantità dei dipendenti. Il costo del lavoro è la cosa che incide di più su qualunque prodotto a disposizione, soprattutto nell'artigianale". Per il titolare di Crosta non è una questione di manualità: "Vado contro la retorica dell'immaginario collettivo del panettiere. L'artigianato non è tale solo se fatto dalle mani dell'uomo. Un prodotto artigianale è un pensiero che abbraccia il qui e ora, tiene in considerazione tanti fattori, su tutti il fattore umano. Anche un prodotto fatto con l'ausilio delle macchine può essere artigianale".
Andando nello specifico del calcolo possiamo dire che 1 chilo di "farina buona mi costa circa 1,40/1,50 euro — prosegue Mineo — ma ci sono farine che arrivano anche a 5 euro all'ingrosso. Ogni farina ha una resa di 1,3 chili di pane, quindi con 1 kg di farina possiamo fare tra 1,3 e 1,5 kg di pane. Per essere sostenibile dovrei fare il 15% di utile quindi con una farina a 1,40 euro di media lo dovrei vendere di base a 2,60 euro al kg più iva. Dovremmo calcolare l'affitto che un imprenditore bravo dovrebbe tenerlo al 10% dell'utile annuale e saliamo a 3,50 euro al kg. Il problema vero è quindi la manodopera. In un panificio c'è chi scarica la farina, chi la lavora, chi vende il pane, abbiamo il fornaio. Dobbiamo poi calcolare le utenze, la burocrazia, l'invenduto e si arriva a oltre 5 euro al chilo. È un disastro sia per i clienti sia per noi". I prezzi però stanno aumentando, soprattutto al Sud, e questo è dovuto all'aumento del costo del lavoro e alla riduzione del lavoro a nero. Mineo ci spiega che storicamente nella ristorazione esistono due buste paga: una dichiarata e un "fuori busta". Questo giochetto illegale può arrivare a far risparmiare anche il 90% e porta molti ad avere un pane che costa poco: quando qualcosa ha un prezzo basso c'è sempre qualcun altro che paga al posto nostro. Mineo conclude il proprio discorso facendoci notare delle cose che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni, cose a cui non badiamo come le gomme da masticare a 80 euro al chilo o le uova di pasqua a 90 euro al chilo, "cose per me assurde, soprattutto se ci lamentiamo di una cosa buona e sana che ne può costare nove. La grande distribuzione ci ha abituato a sofisticare il prezzo attraverso diverse formule come la shrinkflation, le confezioni da 460 grammi o i prezzi della frutta a mezzo chilo e non a chilo intero. La gente non fa attenzione a queste cose nel supermercato ma butta l'occhio in un panificio perché non può sofisticare nulla, deve scrivere tutto in maniera chiara".