Il pulque è una bevanda fermentata a bassa gradazione, tipica del Messico. Quasi sconosciuta fuori dai propri confini, è una delizia che nel Centro America stanno provando a riscoprire e far conoscere.
La mixology ha a lungo ignorato tequila e mezcal, mettendoli nell'angolo dei grandi distillati ma fortunatamente li abbiamo riscoperti e oggi stanno dominando il mercato. In Messico c'è anche un altro prodotto di agave molto importante che per ora è confinato ancora nel proprio Paese d'origine: il pulque. Questo alcolico, noto anche come octli o vino di agave, è prodotto dalla fermentazione della linfa dell'agave, con gradazione alcolica tra il 5 e il 10%. Ha un colore lattiginoso, una consistenza viscosa e un sapore acidulo, è anche leggermente frizzante. Il suo gusto è spesso descritto come terroso, legnoso e con note di frutta e cereali.
Lo sottovalutiamo perché lo fanno i messicani in primis: il pulque è démodé e lo bevono gli anziani, ma se parli con un centroamericano autentico ti dirà che proprio il pulque, (con la tequila), è il vero prodotto identitario del Messico. Il secondo motivo per cui lo ignoriamo è che il pulque non si conserva a lungo, rendendolo impossibile da esportare o quasi. Vediamo la sua storia, come si fa e come si utilizza nei cocktail.
La storia della bevanda risale al periodo mesoamericano, quando era considerata sacra e il suo uso andava limitato a determinate classi elitarie. Le cose sono cominciate a cambiare dopo la conquista spagnola del Messico, raggiungendo il suo apice alla fine del 1800.
Le origini del pulque si intrecciano con la mitologia. Tra i racconti più affascinanti troviamo quello di Mayahuel, dea dell'agave, il cui sangue era rappresentato dalla linfa estratta dalla pianta. Altri miti coinvolgono divinità come Centzon Totochtin e Tlacuache, l'opossum che per primo scoprì l'ebbrezza del pulque. Per gli antichi popoli aztechi, il pulque era una bevanda sacra, consumata durante riti religiosi e cerimonie. Era riservato a sacerdoti, nobili e vittime sacrificali, e si credeva che possedesse proprietà curative. La sua produzione era regolata da rituali ben precisi per garantire la benedizione della bevanda.
Le cose cambiarono con l'avvento dei conquistadores che tolsero tutta l'aura di magia alla bevanda rendendola accessibile a tutti. Gli spagnoli intuirono il potenziale commerciale del pulque ma, al contempo, ne videro anche i problemi e cominciarono a ideare le prime leggi restrittive sul consumo di alcolici. Nel 1800 divenne bevanda ufficiale del Messico: le haciendas dedicate alla sua produzione proliferarono, soprattutto negli Stati di Hidalgo e Tlaxcala. La sua immagine era associata a ogni ceto sociale e veniva immortalata in opere d'arte e fotografie.
Un secolo ricco per i produttori di pulque, terminato nel XX secolo: l'introduzione della birra in Messico e le campagne governative contro l'alcolismo distrussero l'immagine del pulque. A questo contribuì anche la produzione eccessiva messa su nel secolo precedente: il pulque, a differenza di tequila e mezcal, ha una shelf life molto ridotta e quindi, producendone in quantità industriali, si arrivò facilmente al deperimento. La bevanda è anche molto complessa da realizzare e quindi le aziende hanno cominciato a limitare la produzione.
Oggi, il pulque rappresenta solo il 10% delle bevande alcoliche consumate in Messico, concentrandosi principalmente nelle zone rurali. Negli ultimi anni stiamo assistendo a una riscoperta del pulque, trainata da un crescente interesse per le tradizioni e i sapori autentici del Messico. Nuove generazioni di produttori stanno rilanciando questa bevanda millenaria, proponendola in versioni innovative e accostandola alla mixology moderna: ma il lavoro da fare è molto lungo e il primo passo dovrà essere riuscire ad allungare la sua vita.
L'ingrediente principale del pulque è la linfa di agave, una pianta originaria del Centro America, che prospera nelle zone rocciose centrali del Messico. Per la bevanda viene sfruttata la prima fioritura: il suo cuore viene raschiato per estrarre la linfa zuccherina, chiamata aguamiel. Il processo è dispendioso: per avere un'agave "adulta" ci vogliono ben 12 anni e ogni pianta può dare aguamiel solo per un anno prima di morire. Una singola pianta può produrre fino a 600 litri di pulque, equivalenti a 60-70 chili di zucchero.
La linfa viene fermentata in tini di legno o vetro resina, utilizzando un batterio specifico. La fermentazione dura da 7 a 14 giorni ed è un processo delicato che richiede maestria ed esperienza. Due volte al giorno, il tlachiquero, esperto conoscitore dell'agave, raccoglie l'aguamiel. In passato utilizzava una zucca allungata come strumento, oggi un più pratico paletta d'acciaio. Le foglie della pianta vengono piegate per proteggere il succo da insetti e sporco, mentre la zona di raccolta viene regolarmente raschiata per stimolare la produzione. L'aguamiel raccolto viene trasportato al tinacal, un edificio speciale dedicato alla fermentazione. Qui, in tini di legno, quercia, plastica o vetro resina che possono contenere fino a 1000 litri, il succo viene unito al semilla o xanaxtli, il fermento di pulque maturo che avvia il processo di trasformazione. Tutto il processo dura circa due settimane ma è molto delicato perché temperatura, umidità e qualità dell'aguamiel sono solo alcuni dei fattori che possono influenzare il risultato finale. Poco prima del suo apice fermentativo, il pulque viene imbottigliato e spedito al mercato. La fermentazione continua anche nelle bottiglie, rendendo il pulque un prodotto vivo e in continua evoluzione che deve essere consumato entro un breve periodo per preservarne le sue caratteristiche organolettiche.
Le produzioni più ligie alla tradizione tengono vivi anche tutti i rituali di canti e preghiere che accompagnano la fermentazione: tutto rigorosamente al maschile perché donne e bambini sono banditi dai luoghi di produzione del pulque.
Pulque, tequila e mezcal, sono nomi che evocano il Messico e la sua ricca tradizione distillatoria. Provengono tutte dalla stessa pianta, l'agave, ma ognuna di queste bevande vanta un carattere e una storia unici.
La prima differenziazione è proprio storica: il pulque è il "nonno" di tutti, il più antico. Anche gli ingredienti sono diversi perché la tequila è prodotta esclusivamente dall'agave blu coltivata in specifiche zone del Messico. La sua produzione è regolata da rigide norme che ne definiscono le caratteristiche; il mezcal ha oltre 30 specie di agavi utilizzabili e si può produrre in tutto il Messico; il pulque invece si ottiene dalla linfa non zuccherata estratta da diverse specie di agave. Alle nostre latitudini facciamo un discorso simile sulla pasta: non è il grano la sua materia prima ma la "farina di grano duro", com'è indicato su ogni confezione.
Anche la produzione è molto differente tra le tre preparazioni:
Infine c'è il gusto che quello del pulque è unico nel mondo degli alcolici: può variare da dolce e fruttato a più acido e speziato, con una consistenza leggermente viscosa e una leggera schiuma. È legnoso, ostico, con forti note di cereali. Anche se in Messico lo associano al vino, in realtà somiglia a una birra acida. La tequila ha un sapore pulito e raffinato, con note di agave, agrumi, pepe e spezie. Il suo invecchiamento in botti di legno può conferire note di vaniglia, caramello e cioccolato. Il mezcal ha un sapore complesso e intenso, con note di fumo, terra, agave, frutta secca e spezie. Il suo gusto varia molto a seconda dell'agave utilizzata, del metodo di cottura e della distillazione. Vediamo quindi tre prodotti che hanno radici nell'agave ma che hanno gusti e produzioni totalmente differenti.
Il pulque non è molto utilizzato nei bar, né in Messico né altrove. La maggior parte del pulque si consuma "al naturale" e in dei locali appositi: le pulquerias che oggi sono molte meno rispetto a un tempo e si sono convertite in "bar classici" in cui si serve un po' di tutto. Questi bar erano capillari in tutta la nazione fino a una sessantina di anni fa e fungevano da luoghi di consumo in primis ma anche da centri di socializzazione e cultura. Erano bellissimi, avevano nomi suggestivi e murales che decoravano le pareti, ispirati all'arte azteca e Maya. Diego Rivera, uno dei più importanti pittori della storia latinoamericana, affermava che una delle espressioni più genuine della pittura del suo Paese si trovava proprio sui muri di queste pulquerías.
Come con tutto ciò che riguarda il pulque anche qui c'erano dei riti imprescindibili. Una pratica comune all'interno di questi locali era quella di spargere segatura sul pavimento. Questo rituale era legato alla credenza di dover versare una piccola quantità di pulque a terra per placare la sete di Madre Terra. Le pulquerías, in un certo senso, funzionavano come circoli privati, dove i nuovi arrivati venivano spesso ignorati o osservati con curiosità. Solo la frequentazione regolare e un consumo considerevole di pulque garantivano l'accettazione nel gruppo.
Tradizionalmente si serviva in grandi botti ghiacciate e consumato in bicchieri particolari chiamati jicaras, ricavati dalla metà di una zucca. Il barista, conosciuto come jicarero, era il maestro di cerimonie del locale e al momento del brindisi si gridava "cruzado!", ovvero "alla salute". Oggi esistono diverse tipologie di bicchieri, quasi tutti realizzati in vetro soffiato a mano, di colore verdastro, che variano per capienza: dai macetas (vasi di fiori) da due litri ai tornillos (viti) da un ottavo di litro. Il pulque può essere gustato al naturale o con l'aggiunta di succhi di frutta o verdura, dando vita ai pulque curado, con sapori che spaziano dalla mandorla al melone, fino al sedano.
È molto difficile utilizzarlo nei cocktail sia per il suo sapore pungente sia perché ha un punto di conservazione davvero limitato, quindi è difficile da esportare e da far conoscere agli appassionati del resto del mondo.