Il prosciutto crudo nasce come antichissimo metodo di conservazione del maiale e risale addirittura a 3000 anni fa. Oggi è uno dei prodotti italiani più amati, celebrati e venduti al mondo. Impariamo a conoscerlo meglio: come si produce, il ruolo della stagionatura e tutti i segreti per la degustazione e la scelta.
Il prosciutto crudo è uno dei primi alimenti che incontrano gli italiani nel corso della propria vita. Molti cominciano ad avere familiarità col cibo toccando fette di un meraviglioso prosciutto rosso porpora, costeggiato da un bellissimo strato di grasso bianco perla. Pur conoscendo il sapore di questo alimento tanto bene, pur avendolo completamente interiorizzato, sono in molti a non conoscere i retroscena dietro questo salume simbolo stesso dell’Italia.
Il prosciutto crudo è un salume che si ottiene dalla salatura a secco della coscia di maiale, in particolare da animali che raggiungono un peso che si aggira attorno ai 150 kg. Il microclima che c’è nelle determinate zone di produzione è la principale differenza che c’è tra i prosciutti in Italia e di conseguenza in quelli esteri.
Le prime notizie sulla produzione di questo salume risalgono alla civiltà etrusca, tra il VI e il V secolo a. C. per poi spostarsi nell’antica Roma. Molti hanno sentito parlare dei "Ragazzi di via Panisperna", il gruppo di fisici composto da Ettore Majorana, Enrico Fermi, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti, Edoardo Amaldi ed Emilio Segrè che diedero avvio alla creazione del primo reattore nucleare. Bene, via Panisperna è storica anche per un’altra ragione: qui i Romani realizzavano e vendevano i prosciutti all’epoca di Giulio Cesare. Panisperna è infatti una parola composta da panis, pane, e perna, coscia di maiale.
Questo dettaglio ci fa capire che il prosciutto è un alimento fondamentale per i Romani. La centralità del prosciutto nella dieta degli antichi è probabilmente dovuta agli scritti di Ippocrate, il medico più famoso dell'antichità. Secondo lo studioso greco il prosciutto (così come tutta la carne di maiale) "fornisce più energia al corpo". Dopo Ippocrate sono stati in tantissimi a descrivere le proprietà di questo salume molto venduto a Roma, molto esportato per tutto l’Impero e parte dell’alimentazione dei legionari. La conservazione a lunga durata permetteva al prosciutto di essere una provvista eccellente e duratura per i soldati.
Grazie ai Romani la tecnica della salatura si espande per tutta Europa ma bisogna attendere l’epoca longobarda per una vera tecnica di stagionatura della carne. Con le invasioni barbariche il suino diventa una delle risorse più importanti dei villaggi. I prosciutti, le spalle e le pancette si trasformano in moneta di scambio. I maiali sono così importanti che per larga parte del Medioevo i boschi si misurano in base alla capacità di nutrire i suini al pascolo. Nel Basso Medioevo i mestieri legati alla trasformazione delle carni fioriscono perché riescono a nutrire sia la nobiltà con i tagli ricchi sia le classi povere con i pezzi meno pregiati.
Dalla scoperta dell’America in poi il maiale è diventato il protagonista dei grandi banchetti e lo studio sulla sua conservazione, per quanto ancestrale, fa numerosissimi passi avanti. Le prime salumerie nascono all’inizio dell' ’800: da questo momento la fama del prosciutto crudo e di tutti i salumi italiani si diffonde a macchia d’olio per tutta l’Europa.
Per la conquista del mondo intero bisogna attendere invece la fine della I Guerra Mondiale. Tra il 1861 e la Grande Guerra, in Italia avviene la cosiddetta "grande migrazione", il triste fenomeno che ha costretto 9 milioni di italiani a lasciare la propria terra e dirigersi verso le Americhe sperando in un futuro migliore. Dopo la fine del conflitto moltissimi italiani di prima e seconda generazione cominciano a importare prodotti dalla madrepatria per venderli in America. Il prosciutto crudo è uno dei salumi preferiti dai novelli imprenditori grazie alla sua shelf life e conquista tutto il continente, dal Canada all’Argentina, risultando ancora oggi uno dei prodotti più venduti al mondo.
Il prosciutto crudo si ottiene tramite salatura e successiva stagionatura della coscia del maiale tant’è che questo taglio di carne è chiamato anche "prosciutto".
I prosciutti crudi si dividono in due grandi gruppi: i prosciutti ai quali viene asportato lo zampino e parte dello stinco (ad esempio il prosciutto di Parma) e i prosciutti "interi", cioè che conservano tali parti anatomiche (ad esempio il prosciutto di San Daniele). Per questi due prodotti esiste un disciplinare molto dettagliato che regola il trattamento della carne, la selezione delle razze suine, la qualità e la quantità della loro alimentazione dalla nascita al raggiungimento del peso e dell’età per il macello.
A dispetto di tanti altri prodotti di eccellenza italiani, la lavorazione del prosciutto è abbastanza semplice e si divide in quattro fasi:
Abbiamo detto che il taglio di carne che indica la coscia dell'animale è chiamato "prosciutto". In nessun caso può essere utilizzato il termine "prosciutto crudo" per definire specialità salate ottenute da altre parti anatomiche del suino, ivi compresa la spalla. Una cosa importante da tenere a mente è che nessuno dei due è migliore dell’altro, sono semplicemente diversi anche se il prezzo indicherebbe altro.
La differenza anatomica più importante è che la spalla si ottiene dalle zampe anteriori, il prosciutto dalle zampe posteriori. Per loro stessa costituzione le zampe posteriori sono più grandi quindi nel prosciutto c’è più carne, ha una resa maggiore. Anche la stagionatura è diversa: la poca carne della spalla accelera il processo di stagionatura che non deve essere lungo anche per una questione di sapore. La carne della spalla è più vicina all’osso e questo rende il sapore del salume molto più intenso, più adatto a palati abituati a sapori forti rispetto al prosciutto, la cui stagionatura è fondamentale per le sue proprietà organolettiche. Il costo diverso dei due prodotti non è indice di una qualità maggiore nell'uno piuttosto che nell'altro: è solo una questione di tempo. Per fare un crudo ci vuole almeno un anno, per la spalla bastano pochi mesi.
Per il prosciutto crudo vale la regola del carpe diem: cogli l’attimo. Non è vero che un prosciutto stagionato 36 mesi sia necessariamente migliore da uno di 24. Questa prelibatezza è un elemento vivo, con caratteristiche singole e intrinseche. Ogni prosciutto è diverso per forma, peso, grasso e tutte queste caratteristiche danno una risposta diversa allo stesso metodo di stagionatura. Pensate al vino: alcuni vini hanno bisogno di tanto tempo per dare il meglio, altri meno, stessa regola vale per il prosciutto.
Man mano che aumenta il tempo di stagionatura il sapore di un buon prosciutto si allontana sempre più dalla "carne cruda", per sviluppare quegli aromi che sono la gioia delle nostre papille gustative. Parallelamente aumenta il prezzo, per via del processo di lavorazione che richiede una maggiore permanenza nelle sale di stagionatura. In contemporanea avviene la progressiva perdita di peso: se dopo un anno il calo è di circa il 32%, dopo 18 mesi si arriva al 34% e dopo 24 mesi è del 38% circa. La stagionatura è importantissima per il salume ma, più della sua durata, dovremmo fare attenzione al metodo con cui è stata eseguita, al relativo disciplinare di produzione e infine ai marchi di cui ci fidiamo.
In Italia esistono ben 31 varietà diverse di prosciutto crudo, prodotte dalla Valle d’Aosta alla Sicilia: ma sono solo 12 quelli riconosciuti con un marchio Dop o Igp.
Le Dop più importanti sono 2: prosciutto di Parma e il San Daniele. L’Igp più nota è invece quella di Norcia:
Il consumatore come può destreggiarsi tra 31 varietà diverse solo in Italia, escluse le decine di prosciutti provenienti dalle altre parti del mondo? Scegliere un prosciutto crudo (o cotto) può sembrare semplice, ma ci sono delle differenze che si possono notare sia a occhio nudo sia al sapore senza dover essere necessariamente esperti assaggiatori.
Uno dei primi suggerimenti da tenere a mente quando andiamo al supermercato è sicuramente valutare i riconoscimenti ottenuti. I prosciutti di media o bassa qualità spesso non dispongono di certificazioni precise (come Dop o Igp) ma sono semplicemente definiti "nazionali". Con questo non diciamo che i prosciutti nazionali siano pessimi, ma con un prodotto certificato le possibilità di trovare salumi di qualità è maggiore.
Una volta arrivati al bancone della salumeria, per essere certi di ciò che stiamo acquistando, dovremmo chiedere al salumiere una fettina di crudo da assaggiare. Per prima cosa bisogna sentire l’odore che emana: solitamente un buon crudo ha un aroma stagionato, dal leggero sentore di salsedine, mentre il grasso ha un odore simile al burro. Al gusto un buon crudo deve avere il giusto equilibrio tra dolcezza e sapidità. A sua volta la sapidità deve invece risaltare nel retrogusto, lasciando al contempo una nota dolce sul palato. Se percepiamo un aroma strano oppure un sapore ferroso all’assaggio il consiglio è di cambiare prosciutto.