Dalla bagna cauda al bagnetto verde e rosso, dagli agnolotti del plin al gran bollito misto, fino ad arrivare alle paste di meliga e ai marrons glacés: ecco i 15 piatti tipici della tradizione culinaria piemontese. Ricca e incredibilmente eterogenea, riflette la sua particolare geografia e vede protagoniste le pregiate eccellenze del territorio.
Un territorio, quello del Piemonte, incredibilmente diversificato, formato da una pianura risicola confinante con la Lombardia, da una fascia collinare "pedemontana", da cui provengono alcuni straordinari prodotti tipici (tra tutti il tartufo bianco di Alba e il pregiato "fassone") e, infine, da un settore alpino ricco di laghi e montagne. Questa straordinaria differenziazione geografica ha finito per riflettersi anche sull'offerta gastronomica regionale, altrettanto ricca ed eterogenea: si finisce così per spaziare dalle carni, mangiate anche crude, al pesce di lago, dalla pasta tirata a mano agli infiniti formaggi, tome e robiole, dalle verdure ai brasati cotti dolcemente, fino ad arrivare ai dolci e ai vini, quest'ultimi fiore all'occhiello della tradizione vinicola italiana.
Una cucina che affonda le sue radici nelle abitudini contadine e delle classi meno abbienti e che, al tempo stesso, svela in maniera indiscutibile le sue origini reali e di casa Savoia. Dall'unione di questi mondi così diversi nascono preparazioni complesse, anche molto elaborate, ma tutte succulente e sostanziose. Sintetizzare la cucina piemontese in un numero ben definito di ricette? Come abbiamo appena visto, un'impresa assai ardua, ma non impossibile. Vediamo insieme quali sono i piatti tipici che, più di altri, la rappresentano al di fuori dei suoi confini regionali.
La bagna cauda o bagna caôda è una salsa tradizionale piemontese che si serve bollente e in cui si intingono verdure crude (specialmente cardi, peperoni, topinambur, ravanelli, verza) o meno comunemente lessate (patate, rape…). Si prepara in un apposito tegame, tenuto costantemente caldo sul fornello a spirito, in cui i commensali "pucciano" brevemente i tocchetti di verdura. A base di aglio, olio e acciughe, di questo saporitissimo intingolo ne esistono numerose varianti locali, che riguardano soprattutto: la qualità dell'olio (in origine si usava quello di noce); la proporzione tra olio e burro; l'uso di verdure cotte o crude; l'impiego di aglio tritato, affettato, pestato oppure intero, l'eventuale immersione nel latte per renderlo maggiormente digeribile. Qualunque sia la ricetta con cui viene realizzata, c'è una regola generale che vale per tutti: evitare per almeno un giorno, meglio ancora due, qualunque contatto sociale.
Letteralmente "bagnetto", parola piemontese con la quale si indica una salsa utilizzata per accompagnare il bollito; ne esistono di due colori: da una parte abbiamo il bagnet vert, a base di aglio, prezzemolo, acciughe, mollica di pane imbevuta in un goccino di aceto di vino bianco e olio; dall'altra il bagnet ross, preparato con pomodori da salsa maturi, cipolle, carote, aglio e saltuariamente peperoncino. Saporite e dai colori vivaci e brillanti, si servono tradizionalmente con le pietanze a base di carne e di pesce oppure i tomini, e trasformano i piatti in tavolozze variopinte e cromaticamente sfiziose.
Per la sua stessa composizione, il bollito misto è il piatto della festa familiare o comunque una di quelle sontuose preparazioni da ristorante, dove di solito viene servito in un apposito carrello riscaldante con brodo e salse. Si dice che fosse tra le pietanze preferite di Vittorio Emanuele II, un tempo re d'Italia. Di origine povera, derivante dalla necessità di sottoporre le carni degli animali ormai vecchi (perché inadeguati al lavoro o alla mungitura) a cotture lente e prolungate, ben presto si trasforma in piatto regale e da occasione speciale. Esiste anche quello lombardo ed emiliano, ma il bollito misto piemontese è il più famoso di tutti, nonché il più completo, ricco ed equilibrato. Secondo la tradizione, per essere definito tale, deve comporsi di: punta di petto, costate, polpa di spalla e scamone di bovino adulto; fiocco di punta e codino di vitello; gallina o cappone; testina e zampetto di vitello; lingua di vitellone o di bovino adulto e infine cotechino. Le salse con cui accompagnare le carni sono i bagnet ross e verd e la senape di tipo francese.
Un piatto antico e italianissimo che ci riporta immediatamente ai mitici anni Ottanta, periodo storico in cui era "l'antipasto per eccellenza" di qualunque pranzo o cena di festa. Nonostante il suo aspetto un po' vintage, però, il vitello tonnato sta tornando decisamente di moda. Si tratta di una ricetta piemontese, di origine povera, nata probabilmente nel Cuneese all'inizio del XVIII secolo, ma la paternità del piatto viene rivendicata pure dalla Lombardia, dal Veneto e dell'Emilia. Si realizza con uno specifico taglio di carne, il girello di fassone, che viene prima marinato nel vino bianco, insieme agli odori (carota, sedano, cipolla e alloro), e poi lessato in acqua con il suo liquido di marinatura; una volta a cottura, la carne viene tagliata a fettine sottili, generosamente ricoperta con una salsa a base di tonno sott'olio, capperi, acciughe e tuorli sodi, e servita ben fredda come entrée o secondo piatto. Una curiosità: la ricetta originaria non prevedeva la presenza del tonno (probabilmente l'aggettivo "tonnato" stava ad indicare "cucinato alla maniera del tonno"); quest'ultimo fa la sua comparsa nella versione moderna della ricetta, ovvero quella proposta dal celebre Pellegrino Artusi nel suo libro Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene del 1891.
Si tratta di uno dei capisaldi della cucina tipica regionale. Piatto di origine povera, appartenente a quella tradizione contadina in cui "nulla si butta e tutto si trasforma", vede protagoniste le frattaglie di animali di grossa taglia come agnello, vitello o maiale: animelle, cervella e fegato sono le presenze fisse, a cui si aggiungono talvolta polmone, rognone e testicoli. Queste parti meno nobili, insieme a frutta, ortaggi e amaretti, vengono prima passate in una pastella e poi fritte in olio bollente. Per un risultato fragrante e godurioso, da destinare, vista la sua ricchezza e varietà, soprattutto alle occasioni importanti e di festa.
È sicuramente una delle insalate più celebri della gastronomia nazionale e in Piemonte viene servita come antipasto tipico. Nella sua versione moderna è a base di patate, barbabietole, fagiolini, piselli e carote lessati leggermente al dente, conditi con capperi dissalati, acciughe e cetriolini sott'aceto e poi conditi con una maionese non troppo soda. Quasi sconosciuta alla tradizione russa – curiosamente lì viene considerata una preparazione straniera e si chiama "insalata italiana" – l'insalata russa è di probabile paternità francese; la ricetta, nonostante le origini controverse, iniziò a circolare in Italia alla fine dell’Ottocento (comparve per la prima volta nel libro di cucina Il Re dei Cuochi del 1868) e fu poi inserita da Pellegrino Artusi nella sua sopracitata opera di culinaria.
In questo piatto convivono due delle più grandi tradizioni piemontesi: quella risicola, condivisa con la vicina Lombardia, e quella vinicola, vanto e fiore all'occhiello regionale. Ecco, infatti, un primo piatto saporito e dal gusto deciso con protagonista uno dei vini più pregiati delle Langhe, il Barolo, che, robusto e asciutto, è ideale non solo da sorseggiare in accompagnamento a piatti a base di carne ma anche per realizzare un risotto che ne esalti le sfumature e qualità aromatiche. Come prima cosa si prepara un soffritto a base di cipolle, alloro e burro, si aggiunge il riso e si fa tostare leggermente; quindi si sfuma con il Barolo e si porta a cottura, bagnando man mano con un mestolo di brodo di carne bollente. Una volta pronto, si spegne e si manteca il tutto con burro e formaggio grattugiato. Per un'esecuzione impeccabile, si consiglia l'utilizzo di un vino giovane.
Detti anche agnelotti, sono una specialità piemontese di pasta ripiena di carni miste, tipica della zona del Monferrato e delle province di Alessandria e Asti, ma ormai diffusa in tutta la regione. Nati come preparazione per riutilizzare avanzi di carne, gli agnolotti non hanno una ricetta standard, ma ne esistono numerose varianti, secondo le carni disponibili, le abitudini locali e la fantasia di chi li realizza. Nonostante le diverse rielaborazioni, ritroviamo in tutte delle caratteristiche comuni: la varietà delle carni e la presenza nell'impasto di un salume e di una verdura (normalmente scarola, ma a volte spinaci o bietole). Caratteristici della zona delle Langhe e sempre del Monferrato, sono gli agnolotti del plin (o al plin): dei raviolini rettangolari ripieni di arrosto di vitello o maiale, oppure di magro con spinaci e formaggio; il nome significa “pizzicotto” e sta a indicare la peculiare manovra manuale con cui il ripieno viene racchiuso all'interno della sfoglia.
È uno dei primi piatti più tipici della cucina piemontese e in particolare langarola: si tratta di sottili tagliolini all'uovo di un bel colore giallo vivo, corposi e consistenti. Questo grazie alla presenza di un numero davvero considerevole di tuorli (si parla addirittura di 20-30 per chilogrammo di farina e per questa ragione in alcune trattorie locali vengono chiamati "tajarin 30 tuorli"), all'aggiunta di un pizzico di farina di mais e al divieto assoluto di impastare unendo anche dell'acqua: il risultato sarà dunque una pasta dalla tonalità intensa e dal tempo di cottura molto breve (appena 2-3 minuti). I condimenti di elezione sono il tartufo bianco, il sugo di salciccia di Bra (l’insaccato crudo a base di carne bovina e suina) e il ragù classico, ma anche in bianco, semplicemente con burro e formaggio, rivelano tutta la loro bontà.
In dialetto piemontese, il bicerin è il "bicchierino" ma anche il nome di una storica bevanda calda preparata con caffè, cioccolato fondente e latte, e servita nei classici bicchierini tondi di vetro che consentono di ammirare la golosa stratificazione degli ingredienti. Tipico della città di Torino, il bicerin è l'evoluzione della settecentesca bavarèisa, una gustosa bevanda a base di caffè, cioccolato e crema di latte, dolcificata con sciroppo. Nel 2001 è stata riconosciuta come "bevanda tradizionale piemontese" e, nonostante venga servita in diversi bar della città, la ricetta originale è custodita esclusivamente dal Caffè Al Bicerin dal 1763, celebre pasticceria torinese.
Dalle origini molto antiche, addirittura risalenti al XIII secolo, quando veniva consumato nei banchetti nobiliari, il bonet è un dolce al cucchiaio tipico delle Langhe a base di uova, zucchero, latte, cacao, liquore (solitamente rum) e amaretti secchi. Si realizza con la medesima tecnica utilizzata per i dolci al cucchiaio casalinghi come il crème caramel e il budino e, nella sua versione originale, chiamata "alla monferrina", non era previsto l'impiego del cioccolato (che fu introdotto in Europa nel XVII secolo dopo la scoperta dell'America). La ricetta moderna, ovvero quella "cioccolatosa", è la più riprodotta e amata in assoluto. In merito all'etimologia del nome, esistono diverse correnti di pensiero: tra le più accreditate, vi è quella che sostiene che il termine bonèt (letteralmente cappello o berretto tondeggiante) stia a indicare la forma dello stampo in cui viene cotta questa morbida delizia.
I baci di dama sono dei deliziosi dolcetti tipici di Tortona, elegante cittadina in provincia di Alessandria; realizzati per la prima volta nell'Ottocento, erano originariamente prodotti con le nocciole piemontesi, più facili da reperire e meno costose delle mandorle. Oggi si preparano con una pasta frolla ottenuta riducendo in polvere le mandorle, pelate e leggermente cosparse di zucchero, a cui vengono aggiunti farina, burro, altro zucchero, scorza di limone grattugiata ed eventualmente uova; l'impasto viene modellato in tante palline che, una volta cotte in forno, vengono poi unite con una lieve farcia al cioccolato, a simulare l'atto del bacio vero e proprio. Leggenda vuole che siano stati realizzati nel 1852 da un cuoco di casa Savoia: i deliziosi dolcetti piacquero talmente tanto a Vittorio Emanuele II che, da allora, vennero serviti sulle tavole reali d'Italia e d'Europa.
Tipiche di Mondovì e della provincia di Cuneo, le paste di meliga sono dei frollini a base di farina di frumento, mais, burro, zucchero, miele, uova e scorza di limone grattugiata; pochi e semplici ingredienti per un piccolo capolavoro di pasticceria secca friabile e dal sapore rustico. Di origine molto antica, sembra siano nati un po' fortuitamente quando, a causa dell'aumento del prezzo del frumento, i fornai iniziarono ad aggiungere alle loro preparazioni la farina ricavata dal mais a grana fine, non utilizzabile per la polenta ma destinata al confezionamento dei dolci. E il resto fu storia.
Parliamo di Piemonte e non possiamo evitare di menzionare uno dei prodotti più tipici e pregiati del territorio: la Tonda Gentile delle Langhe, una varietà di nocciola Igp prodotta solo in alcune aree delle province di Cuneo, Asti e Alessandria. Frutto dalla forma tipicamente tonda, con guscio sottile, dall'aroma intenso e dal gusto delicato, è protagonista della "torta Cortemilia", meglio conosciuta come torta di nocciole, una delizia gluten-free dalla consistenza piuttosto asciutta e friabile. Di origine contadina, viene tradizionalmente accompagnata a un vino dolce o a una crema zabaione realizzata con il Moscato o il Barolo; un tempo veniva preparata in occasione delle festività natalizie con le nocciole avanzate dal raccolto estivo e non era insolito che venissero aggiunti anche del rum e della farina; più tardi la ricetta fu codificata dalla Confraternita della Nocciola e venne stabilito che il dolce dovesse contenere solo burro, zucchero, uova e almeno il 35 per cento di questo prezioso ingrediente.
I marrons glacés sono una raffinata specialità dell'arte confettiera: i marroni, una varietà di castagne molto pregiata, di dimensioni maggiori e dal sapore più dolce rispetto al classico frutto selvatico, vengono prima sciroppati e infine ricoperti con una sottile glassa di zucchero che va lasciata cristallizzare per diversi giorni. La lavorazione, piuttosto lunga e laboriosa, vale l'attesa e la fatica. Nati intorno al Cinquecento, a contendersene la paternità sono i piemontesi e i francesi: da parte italiana il merito viene attribuito a un cuoco del Duca di Savoia Carlo Emanuele I (il primo ricettario in cui vengono citati è il Confetturiere Piemontese, stampato nel 1766); secondo i francesi, invece, furono realizzati per la prima volta da François Pierre La Varenne, celebre cuoco ed esponente del movimento della Nouvelle Cuisine seicentesca.