Chi l'ha detto che l'estate è sinonimo solamente di spiaggia, mare e gelato? In questo mini tour del reatino, accompagnati da uno chef del territorio, viaggeremo attraverso alcuni borghi che popolano le pendici del monte Terminillo, scoprendo le specialità gastronomiche locali, le materie prime e i piatti tipici di questo lembo verde di Centro Italia.
Caldo, afa, temperature sempre più alte e un'irrefrenabile voglia di abbandonare la città rovente per una fuga al fresco. Quale migliore soluzione di qualche giorno in montagna, tra natura, passeggiate e (perché no) buon cibo, per ingannare la calura di agosto e concedersi un'evasione all'insegna del verde e delle specialità del Centro Italia.
In questo mini tour del Reatino andremo a ronzare attorno al Terminillo, monte di circa 2200 metri immerso nel verde appenninico laziale, e spostandoci non più di 30 chilometri dalla vetta principale del territorio, scopriremo quali sono i prodotti tipici e i piatti da non perdere a base degli ingredienti simbolo della gastronomia locale. Cerchiamo quindi di darvi qualche dritta su cosa mangiare e dove, viaggiando quasi in cerchio attorno alla cima più alta della zona. Troveremo patate, funghi, tartufi, selvaggina, castagne e tanto altro, materie prime che costituiscono la cultura gastronomica del Reatino.
Siamo a pochi chilometri dal confine con l'Umbria e l'Abruzzo, a poco più di un'ora e mezza di auto da Roma, e questo lembo verde di terra quasi perfettamente a metà tra la costa tirrenica e quella adriatica è scrigno di piccoli borghi (da visitare) custodi di storie centenarie e autentiche prelibatezze gastronomiche. Andremo alla scoperta di alcuni di questi paesi, presentandovi qualche specialità del posto che potete gustare, magari, dopo una bella camminata in montagna o tra le caratteristiche vie della zona. Una mini guida per tutti gli amanti delle alture, della natura e che siano anche delle buone forchette: qui, dove i piatti a base di selvaggina la fanno da protagonisti, le parole d'ordine sono abbondanza, gusto e sapori decisi.
Il Terminillo è una montagna di 2217 metri che dall'alto domina su tutto il territorio del Reatino. La provincia è distante meno di 20 chilometri e i paraggi sono costellati di centri dall'importante valore storico, culturale ed enogastronomico. Sotto i "cieli immensi" di Lucio Battisti, che proprio in questa zona ha trovato i natali (precisamente a Poggio Bustone, dove viene ricordato con una statua dedicata), andiamo a scoprire cosa si può mangiare in un weekend (ma anche tre o quattro giorni, da sfruttare se siete in ferie) all'insegna del fresco montano e della gastronomia locale. Per abbinare alle sane e rigenerative passeggiate a alta quota o tra i borghi del posto un apporto di gusto e sapori autentici, genuinamente montani, tramite i piatti tipici della zona del Terminillo.
Sarete protagonisti di una tradizione che si rinnova, con continuità, dalla fine del 1800, quando cioè qui iniziò a diffondersi il turismo montano. Il Terminillo, fino a quel momento abitato solamente da popolazioni autoctone fatte da boscaioli, contadini e carbonai, si scoprì meta turistica di gente proveniente da tutto il centro Italia. A beneficiarne, nel corso dei decenni, anche i paesi che sorgono alle pendici della montagna, che permettevano ai passanti di ristorarsi e mangiare all'ombra della montagna.
Il consumo di selvaggina in questo territorio è fisiologicamente endemico. Nei monti reatini, popolati da fitti boschi, gli uomini pedemontani erano abituati a cacciare orsi (ora praticamente scomparsi), cervi (sempre più rari) cinghiali, camosci e caprioli. Un retaggio che, inevitabilmente, con la crescita dei flussi turistici è fuoriuscito dalla dimensione domestica fino a coinvolgere le cucine dei ristoranti. Anche oggi, inevitabilmente, gran parte dei piatti e delle ricette "attingono" a piene mani dalle foreste montane. Ma, scopriremo poi, non solamente.
Nella serie di tappe che ci apprestiamo a affrontare verremo in contatto con i prodotti del territorio, in un viaggio nel quale siamo accompagnati da chi queste zone le conosce bene. Abbiamo scelto Enzo Cerroni, giovane guida dell'osteria L'Antico Arco di Poggio Bustone con un passato nelle cucine di Origine a Terni, locale supervisionato da Maurizio Serva, chef del ristorante La Trota (due Stelle Michelin) di Rivodutri: è stato lui a presentarci le materie prime del luogo nelle varie ricette in cui possono essere declinate.
Se siete alla ricerca di cosa poter fare d'estate in zona, oltre alle escursioni e visite ai borghi locali, ecco quindi cosa mangiare di buono nei dintorni del Terminillo e di Rieti. Alla scoperta dei piatti, e dei prodotti, di questo tratto di Sabina.
Il nostro tour inizia proprio nel paese natale di Lucio Battisti. Qui nel 1943 nasceva uno degli interpreti più famosi della canzone italiana e da qui partiamo alla scoperta delle specialità della zona. Il territorio di Poggio Bustone, situato a circa 750 metri di altezza, è rappresentato da una tradizione gastronomica che vede centrale la presenza della selvaggina, che va a condire sotto forma di ragù i primi piatti tipici della zona, specialmente le tagliatelle.
Particolarmente diffuso il salame a base di carne di cinghiale, ma tipica è anche la porchetta di Poggio Bustone. Nonostante non sia proprio vicinissima, forte è anche l'influenza di Amatrice (distante 70 chilometri) e non è raro trovare nelle botteghe gastronomiche locali o nei ristoranti il classico guanciale amatriciano.
Sono i piatti a base di maiale, cinghiale o capriolo i veri "re" di questi monti. Per aprirvi lo stomaco a Poggio Bustone potete gustare focacce o panini farciti con formaggi o latticini locali (come la mozzarella di bufala) e salumi. Tra i primi piatti più diffusi in zona ci sono però le pappardelle al ragù di animali selvatici, per lo più caprioli, lepri o cinghiali, insaporiti ulteriormente da una spolverata del pecorino di Amatrice. Un primo piatto dal gusto deciso e inconfondibile, che da queste parti viene particolarmente apprezzato anche d'estate, specialmente dai turisti.
Due piatti che raccontano un territorio sia nella sua parte "addomesticata", fatta di allevamenti, sia in quella più selvaggia, verace che si esprime tramite la cacciagione che popola i boschi della zona.
"Fritta, lessa o rescallata, a Leonessa si mangia la patata". Con questo detto locale ci spostiamo più a nord est rispetto a Poggio Bustone, pur mantenendo una distanza di poco più di 20 chilometri dal Terminillo. Leonessa, 900 metri s.l.m., è famosa nella zona, ma non solamente, per l'autoctona varietà di patate, protagonista della sagra locale che qui si tiene dal 1989. Oggi le tipologie che maggiormente identificano questo territorio sono tre: Marfona, con buccia bianca e pasta gialla, Agria, anch’essa a buccia bianca e pasta gialla, e Désirée, a buccia rossa e pasta gialla.
Un tempo molto più diffusa e coltivata rispetto a oggi, la patata di Leonessa sopravvive nelle cucine delle case o dei ristoranti della zona, apprezzata dagli chef per la sua capacità non assorbire acqua in eccesso durante la cottura. Caratteristica che la rende particolarmente adatta per realizzare gnocchi a regola d'arte.
Da Leonessa, poi, si può raggiungere il Terminillo attraverso la Vallonina, vallata caratterizzata da una ricca presenza di funghi porcini e tartufo nero. Quale miglior condimento quindi per gli gnocchi di patate rosse (ovviamente di Leonessa) arrosto? Un abbinamento dall'importante esplosione di sapori e per veri truffle lovers.
Proseguiamo il nostro tour spostandoci verso il confine con l'Abruzzo. Antrodoco, comune di poco più di 2000 abitanti, dal punto di vista gastronomico è famoso per il caratteristico marrone antrodocano a marchio Igp, frutto di castagneti secolari e di una tradizione qui consolidata e viscerale che risale al 500, quando alcune famiglie locali impiantarono nella zona un innesto presente in Toscana. Questo frutto cresce tra i 700 e i 1000 metri di altezza e in passato, soprattutto sotto forma di farina, rappresentava una delle primarie fonti di sostentamento della popolazione locale. Non a caso, infatti, il castagno qui veniva chiamato "albero del pane". La coltivazione del marrone a metà del ’900 è stata messa in grave pericolo da un'industrializzazione sempre più invasiva, ma i produttori della zona negli anni ’70 hanno saputo fare fronte comune per recuperare e salvare numerose piante che altrimenti sarebbero andate perse.
Nonostante non sia raro trovare i marroni abbinati al pesce, come il baccalà, hanno una discreta diffusione volatili come piccioni o faraone arrosto con ripieno di marroni. Caratteristica la crema spalmabile a base di marrone antrodocano, così come la zuppa di castagne, il pane con farina di castagne o il castagnaccio, dolce particolarmente diffuso qui come anche nella bassa Maremma.
Spezziamo il ritmo dettato da questa sfilza di piatti di terra e a base di carne recandoci sulle sponde di laghi e fiumi della zona. Il lago Lungo e di Ripasottile intervallano le alture del territorio, con il fiume Velino che si snoda tra i borghi locali. Queste acque sono popolate (anche) da una varietà di trota chiamata "reatina", a denominazione Igp, che deriva dalle specie iridea e fario. Da disciplinare, la trota reatina al momento dell'immissione al consumo deve avere un peso di almeno 300 grammi e un'età compresa tra i 12 e i 26 mesi.
Un prodotto importante per quest'area geografica, e non a caso a Rivodutri si chiama "La Trota" l'unico ristorante due Stelle Michelin a livello europeo che basa la sua cucina sul pesce d'acqua dolce. Qui la trota (fario) viene proposta con foie gras, pesca e vaniglia, ma tra le ricette localmente più diffuse (e popolari) ci sono quelle con il pesce sott’olio alle erbe aromatiche o in crosta di patate.
Chiudiamo questo mini tour delle ricette tipiche della zona recandoci in città. A 19 chilometri dal Terminillo sorge Rieti, città che va a chiudere il nostro menu con un identitario primo piatto rustico, molto saporito e fresco, a base di fregnacce (pasta realizzata solo con acqua e farina) e sugo alla sabinese di prezzemolo, maggiorana e pelati con soffritto di gambi di prezzemolo, alici e peperoncino.
Un piatto di estrazione popolare, povera, che si basa su quel poco che le famiglie avevano a disposizione e potevano recuperare dalle dispense. Oltre a acqua e farina per fare la pasta (i più fortunati potevano contare anche sulle uova, ingrediente che compone però i maltagliati) ecco quindi olio, una spolverata di pecorino e, chi poteva, un paio di acciughe. Il pomodoro pelato sarebbe arrivato solamente a cavallo tra ’800 e ’900, a codificare e perfezionare una ricetta che oggi come 100 anni fa viene realizzata come tradizione vuole. Da tutti questi ingredienti ne esce un piatto fresco, estivo, particolarmente gustoso e invitante anche qualche minuto dopo la scolatura, quando la pasta si fa più tiepida e gli aromi del condimento riescono a sprigionarsi al meglio.
Foto cover: Officina Visiva