Sono quei piatti semplici, gustosi e sostanziosi che nascono per necessità: arrivano dalla tradizione contadina e popolare e spesso rispecchiano il meglio della gastronomia tricolore: ecco 15 ricette della cucina povera note e meno famose da fare a casa.
La cucina povera italiana è il risultato dell’ingegno (il più delle volte quello contadino) dato dalla necessità di sfamarsi avendo a disposizione pochi e semplici ingredienti facili da reperire, recuperando avanzi e mettendo a punto soluzioni alternative in caso di mancanza della materia prima. In tempi passati in cui nulla poteva essere sprecato – filosofia che andrebbe sempre di più riposizionata al centro dal momento della spesa a quando ci si mette ai fornelli – il pane raffermo diventava protagonista di piatti come la pappa al pomodoro e le verdure dell'orto arricchivano zuppe sostanziose tipo la scafata. La carne era un lusso e veniva utilizzata fino all’ultimo scarto: ce lo insegna la trippa, così come i mondeghili, e quando mancava, allora bisognava inventarsi qualcosa di nutriente, per esempio le pallotte cacio e ova abruzzesi. Insomma, le ricette regionali che arrivano dall’arte di arrangiarsi sono davvero tante, alcune molto note e altre meno, che vale però la pena di riscoprire: ne abbiamo selezionate 15, perfette per essere replicate home made.
Ecco subito un esempio di piatto nato per necessità. Siamo in Abruzzo, dove le pallotte cacio e ova vengono messe a punto dai contadini per far fronte alla scarsità di carne, in particolare durante i periodi di guerra e di carestia. La ricetta originale le voleva solo con uova e formaggio Rigatino (un pecorino semistagionato): il pane come ingrediente viene aggiunto in seguito e rende il semplice piatto anche una gustosa idea anti-spreco.
Non una piadina, non una crespella: i borlenghi sono una specialità dell’Appennino modenese, sottile e croccantina, preparata con una pastella liquida di acqua, farina e sale, chiamata “colla”. Nati come pasto povero delle campagne (c’è chi li colloca nel Medioevo e chi addirittura nel Neolitico), vengono tradizionalmente farciti con un battuto di lardo, aglio e rosmarino cosparso di parmigiano, per un risultato molto saporito.
Inizia la sua storia tra le malghe del Friuli, per la precisione quelle delle Carnia. Il frico rappresenta la perfetta esaltazione del formaggio Montasio, che si utilizza in stagionature diverse: viene mescolato con patate e cipolle, creando un composto sostanzioso che dopo la cottura in padella resta morbido all’interno, mentre l’esterno è caratterizzato da una piacevole crosticina. Un tempo, questa icona della cucina friulana era un modo di impiegare i tocchetti di formaggio avanzati, e si accompagna ancora alla polenta.
Arriva dal mestiere dei carrettieri questa pastasciutta tipica della Sicilia, che ha anche una sua versione laziale (con aggiunta di funghi e pomodoro). Si tratta di un piatto di spaghetti conditi con ingredienti semplici e capaci di durare, perfetti quindi per dare sostentamento nei lunghi viaggi per consegnare le merci: bastano olio extravergine d’oliva, aglio, peperoncino, pecorino e prezzemolo per realizzare un piatto veloce e appagante, dove a essere cotta è solo la pasta.
Nessuno spreco si ha nella famosa panzanella toscana e in piatti probabilmente meno noti, ma che seguono lo stesso principio, come la cialledda lucana e pugliese. Il pane raffermo viene ammorbidito con acqua e aceto, e poi arricchito dalle verdure dell’orto, come pomodoro, cipolla, cetrioli e qualche fogliolina di basilico: completano il tutto un pò di sale e un giro d’olio extravergine d’oliva. Originariamente era un’insalata consumata dai contadini nei campi, oggi è un’idea fresca e leggera ideale per l’estate.
Sempre per la serie “in cucina non si butta via nulla”, in quel di Milano sono famosi i mondeghili, irresistibili polpettine di carne di cui il nome probabilmente deriva dalla dominazione spagnola della città (tra il XVI e il XVII secolo), prima dal termine arabo al-bunduc (polpetta) e poi albondega. La tradizione le voleva in veste di soluzione per riutilizzare la carne lessa rimasta, unendola al pane, le uova e le spezie, per poi essere fritte non nell’olio, ma nel burro, proprio come la cotoletta.
Pane secco (in questo caso pure “sciocco”, senza sale) e verdure di stagione si sposano nuovamente in questo must have toscano che non ha bisogno di presentazioni. La ribollita, infatti, è una popolare zuppa a base di cavolo nero, fagioli cannellini, verza, pomodoro, bietole il cui sapore migliora ogni volta che viene riscaldata. I contadini la preparavano il venerdì di magro e poi la facevano “ribollire” per consumarla nei giorni seguenti.
Ancora Toscana, ancora pane da dover ammollare perché diventato duro e quindi non mangiabile così com’è, ma qui a essere protagonisti sono i pomodori. Stiamo ovviamente parlando della pappa al pomodoro, un piatto povero contadino che è diventato anch’esso un vero e proprio classico, reinterpretato in chiave gourmet o da servire a temperatura ambiente d’estate in stile gazpacho.
Nell’entroterra campano, in particolare della zona compresa tra la Valle dell'Irno e l'Agro Nocerino Sarnese facciamo la conoscenza del mallone, un piatto della cucina contadina, rustico ed economico a base di patate lessate e cime di rapa: viene chiamato anche rape e patate o foglie e patane. Una volta si utilizzavano le erbe selvatiche di montagna, in passato più disponibili di adesso, sostituite con le foglie più grandi delle cime di rapa, solitamente scartate, che vengono bollite e ripassate in padella. Si rivela un contorno semplice e versatile.
Le sarde in saor sono una specialità della cucina veneziana, da gustare come secondo piatto, antipasto o da scegliere tra i tipici cichetti che si assaporano nei bacari. Nascono come piatto povero intorno al 1300 per soddisfare il bisogno dei marinai della Serenissima di avere cibo conservabile durante le traversate in mare verso Oriente. Il piatto nel tempo si è evoluto, con l’uvetta sultanina e, in seguito, i pinoli, che si aggiungono alla marinatura agrodolce delle sarde composta da cipolle e aceto, conquistando anche gli aristocratici.
La cucina povera italiana non può prescindere dalle frattaglie, che negli anni recenti hanno ritrovato il proprio posto al sole, rivalutate da chef ed estimatori. Tra le diverse declinazioni della trippa che si trovano da Nord a Sud, vi presentiamo il morzello catanzarese che arriva dalla Calabria ed è un piatto della tradizione povera pensato per riciclare tutti gli scarti (trachea, cuore, polmoni, fegato, trippa) della macellazione del vitello, che venivano cotti dolcemente nel sugo di pomodoro.
Il picco di ricerche online lo fanno a Natale, eppure i passatelli in brodo sono un comfort food romagnolo da portare in tavola quando le temperature scendono anche al di fuori del periodo delle feste. Per realizzare quelli della tradizione ci vogliono un po’ di pazienza, manualità e un apposito strumento simile a uno schiacciapatate, ma gli ingredienti sono davvero semplici da reperire: pangrattato, formaggio grattugiato, uova, limone, noce moscata e brodo di carne in cui tuffarli, anche se si possono consumare asciutti.
Il nome deriva da scafo, termine dialettale che indica il "baccello" della fava. Quando arriva la primavera, in Umbria e nel Lazio ecco che fa la sua comparsa anche la scafata. Si tratta di una ricetta semplice dalle origini antiche e contadine che vede uniti fave, carciofi e foglie di bieta. Le verdure e i legumi vengono cotti in umido (nel brodo vegetale) insaporiti da un soffritto di cipollotto, carote e pancetta. Servito con del pane casereccio, è un piatto completo.
Gli gnudi toscani, detti anche malfatti, sono morbidi gnocchi di ricotta e spinaci, tenuti insieme da un po’ di farina, parmigiano e uova. Il loro nome, che significa “nudi”, deriva dal fatto che sono privi della pasta che solitamente avvolge quello che sarebbe a tutti gli effetti un ripieno per ravioli. Vengono serviti con burro e salvia, in un perfetto equilibrio di semplicità e gusto e se ne riconoscono alcune varianti regionali, per esempio gli strozzapreti trentini.
Una gratinatura irresistibile è il biglietto da visita di questo piatto tipico della cucina piemontese, dove le influenze sono quelle della Savoia, regione storica delle Alpi Occidentali che fino al 1860 faceva parte del Regno di Sardegna. Nella ricetta si riflettono le sue origini montane, con ingredienti del territorio come patate, latte, burro e formaggio fuso, dove la tipologia può variare dalla fontina, al groviera, passando per l’Asiago: basta che fili.