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6 Aprile 2023 11:00

Perché si mangia la zuppa di cozze il giovedì santo? Colpa dei “peccati” di Ferdinando I

Il giovedì santo a Napoli è sinonimo di zuppa di cozze, ma perché si mangia proprio in questo periodo? Colpa del re Ferdinando I di Borbone e dei suoi "peccati"

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La zuppa di cozze di Cantina Antica

La sera del giovedì santo rappresenta simbolicamente l'ultima cena di Gesù Cristo, l'ultimo pasto consumato prima della "passione": a Napoli questa cena si celebra in un modo molto particolare, ovvero mangiando cozze. Ma da dove viene questa tradizione? Perché a Napoli si mangia la zuppa di cozze il giovedì santo? Vediamo insieme le origini di questa usanza e la storia della zuppa di cozze napoletana.

Lo dobbiamo a Ferdinando di Borbone

Sacro e profano sono due elementi che spesso si mischiano nella città di Napoli. In pochissimi altri luoghi della Terra queste due facce convivono così in equilibrio come nella città partenopea. Una delle tradizioni più radicate nella cultura campana della settimana santa è quella della zuppa di cozze: immancabile nelle case e nei ristoranti cittadini, alcuni dei quali diventati dei veri e propri specialisti nella preparazione di questo piatto. Ma perché si mangia la zuppa di cozze proprio in concomitanza con l'ultima cena? Proprio perché sacro e profano si mischiano alla storia.

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La zuppa di cozze di ‘a Figlia d’’o Marenaro

Entra in scena la figura di Ferdinando I di Borbone, il "re lazzarone", colui che più di tutti si è mischiato al proprio popolo nella storia monarchica delle Due Sicilie. Il sovrano, grande amante del cibo con una forte preferenza per il pesce, chiede spesso alla servitù di cucinare luculliani piatti da condividere con gli ospiti e le tante amanti. Ferdinando I non è solo ossessionato dal cibo "mangiato": gli piace giocare in cucina, gli piace soprattutto "cacciarlo". È un abile pescatore, si diletta di tanto in tanto nella caccia e crea delle vere e proprie riserve in cui allevare e pescare i molluschi. Riprende perfino un'antichissima usanza, risalente all'epoca Romana, della coltivazione di cozze pregiate nel territorio di Bacoli.

Proprio con queste cozze inventa un piatto, le "Cozzeche dint'a Cannola", ovvero "le cozze nella culla": la culla in questione sono i pomodori di Sorrento, molto grossi, che accolgono un ripieno di cozze, aglio, capperi, origano, olio, sale, pepe e la muddica atturrata. Tutto ok quindi, non c'è nulla di male nel mangiare questo piatto: sbagliato, perché per la morale del ‘700 questo è un peccato di gola. Questa ricetta e in generale tutta la vita dedita al "peccato" di Ferdinando I non va proprio giù a Gregorio Maria Rocco, un frate domenicano molto stimato a corte. Non parliamo di un prelato qualsiasi: è una delle figure più carismatiche del tempo. Alla sua morte il necrologio lo fa addirittura Alexandre Dumas, l'autore dei Tre Moschettieri e del Conte di Montecristo. Dice di lui che Rocco è stato "un monaco domenicano, più popolare, e più celebre pe' suoi sermoni, di quel che non sono stati in Francia Flechier, Fenelon, Bossuet, ed anche il piccolo Padre Andrea di faceta memoria. Questo monaco si chiamava Padre Rocco. Egli era più potente a Napoli del Sindaco, dell'Arcivescovo, ed anche del Re".

Ferdinando non può quindi ignorare le parole di Gregorio Maria Rocco e gli promette di darsi una regolata durante la Settimana santa. Il sovrano però non resiste alla tentazione e ordina un piatto con le cozze per il giovedì santo, più "umile" rispetto ai pomodori ripieni. I cuochi preparano una zuppa di cozze, più leggera, con cozze appunto, olio di peperoncini piccanti e un po' di salsa di pomodoro. La ricetta si diffonde rapidamente negli ambienti reali e, poi, nella città.

I napoletani sostituiscono le cozze bacolesi, pregiatissime, con delle cozze più economiche, molti ci aggiungono delle lumache di mare, con olio piccante e una spruzzata di pomodoro. Diventa un must: una tradizione totalmente scollegata dalla liturgia che ogni anno si fa rito collettivo, rinnovandosi col tempo.

La zuppa di cozze moderna

La tradizione è rimasta immutata ma la ricetta è cambiata moltissimo rispetto al ‘700. Oggi la zuppa di cozze non ha nulla di piatto povero, anzi è piuttosto costoso. La base resta di cozze, maruzzielli (lumache di mare), olio piccante e pomodori, di solito questi ultimi due ingredienti messi insieme in una bottiglia e soprannominati, genericamente, ‘o russ. Con il tempo sono stati aggiunti però tantissimi altri ingredienti, a partire dalla base fatta di freselle o pane fritto. Immancabile un tentacolo del polpo, che a Napoli chiamano "ranfa", i gamberi, le seppie, qualcuno ci aggiunge uno scampo perfino e molti usano l'acqua di cottura del polpo, il celebre bror' ‘e purpo. La zuppa di cozze si è modificata tantissimo nel tempo e oggi è più simile a una "zuppa di pesce" pur tenendo fede al nome perché le cozze sono la parte più sostanziosa. Il costo del piatto è quindi molto alto, per la grande presenza di prodotti ittici diversi, ma la tradizione resta comunque immutata e immutabile: il giovedì santo, se ti trovi a Napoli, "devi" mangiare la zuppa di cozze.

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