Una tradizione napoletana che arriva dal serpente tentatore nel Paradiso terrestre: con la sua morte si vendica Eva, colpevole del peccato originale, e si festeggia la venuta di Gesù Cristo, il Salvatore.
Si dice che il Natale a Napoli sia una cosa seria, soprattutto quando si parla della cena della Vigilia, un vero e proprio cenone dove si rispetta la tradizione, che lo vuole a base di pesce. Una delle portate che non può mancare è il capitone, a cui non si rinuncia più per scaramanzia, o devozione, che per gola: il suo consumo in occasione del 24 dicembre, infatti, è strettamente legato alla religione, in quanto lo si associa come estetica al serpente, rappresentazione del diavolo tentatore e quindi del male.
Il capitone, però, non è un rettile, ma un pesce, conosciuto anche con il nome di anguilla (che è il maschio della specie): un tempo era molto diffuso da Nord a Sud Italia, abitando lagune, laghi e fiumi e vista la disponibilità era un alimento del popolo, al contrario di adesso, sempre più caro e incluso tra le specie a rischio estinzione.
Nel linguaggio di tutti i giorni capitone e anguilla sono sinonimi: biologicamente, infatti, appartengono alla stessa famiglia delle Anguillidae, ma in ambito culinario l’uso dell’uno o dell’altro è sempre specificato, dato che molte preparazioni sono rappresentative di un territorio, di una regione o città. Capitone si definisce solitamente la femmina dell’anguilla di grandi dimensioni, che misura fino a un metro e mezzo e arriva a pesare anche 6 kg. Un buon capitone parte da almeno 1 kg e le sue carni sono grasse, saporite, nutrienti e si possono cucinare in molteplici modi, arrosto, in umido e fritto: quest’ultima versione è la più gettonata sulle tavole partenopee.
Il capitone è tra le specialità ittiche più iconiche del menu del 24 dicembre – insieme a orata, baccalà e spaghetti alle vongole – dove tra i piatti immancabili si nasconde una simbologia che unisce sacro e profano, cultura popolare e tradizione cristiana. Il consumo di questo pesce legato alla nascita di Gesù Cristo si diffonde in epoca medievale e si fonda in particolare sulla somiglianza che ha con il serpente, lungo e viscido, che per la chiesa cattolica rappresenta il male: il serpente, infatti, è l’animale che ha tentato Eva nel giardino dell’Eden, facendole cogliere la mela del peccato originale. Mangiare il capitone la sera della Vigilia significa sconfiggere il maligno: non è un caso che nei suoi scritti il noto antropologo e giornalista napoletano Marino Niola parli di “sacrificio del capitone”, che viene immolato come se fosse "quel" serpente.
Nelle pescherie dei mercati nei rioni popolari di Napoli (come Sanità o Pignasecca) nei giorni che precedono la Vigilia i capitoni sguazzano in vasche con acqua corrente per venire venduti rigorosamente vivi. Il motivo? C’entra con il “sacrificio” a cui si accennava in precedenza: il capitone si compra generalmente il 23 dicembre, lo si tiene in casa in una bacinella e poi lo si uccide tagliandogli la testa.
Proprio come se fosse un rito: un tempo, erano le donne a dover compiere il gesto, in un’iconografia al femminile che comprende sia Eva sia il capitone, che è appunto femmina. Nella cinematografia non mancano scene diventate celebri con protagonisti capitoni natalizi (non solo napoletani): nel grande classico Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo, per esempio, si assiste a un esilarante tentativo di evasione del capitone, inseguito dalla famiglia, mentre nel tagliente Parenti serpenti di Mario Monicelli, il capitone appena arrivato nell’appartamento viene gettato per sbaglio fuori dalla finestra, ma poi finisce nel banchetto.
Il capitone è così radicato nel folklore napoletano che ha anche un proprio numero nella Smorfia, il 32. Un pesce entrato nel cuore dei partenopei per le sue origini popolari: in passato, essendo grasso e a basso costo era perfetto come comfort food, per riscaldarsi nei giorni freddi di dicembre. Il capitone fritto che si prepara la sera della Vigilia rappresenta proprio questa accessibilità, perché ci vogliono pochissimi ingredienti: pesce eviscerato e tagliato a tocchetti, farina, olio per friggere, sale e qualche fogliolina di alloro.