Se sei sempre stato affascinato dalle muffe, ma non sai cosa voglia dire muffa "buona" e muffa "cattiva" ecco una piccola guida per imparare a orientarti in questo affasciante mondo.
Perché posso tranquillamente mangiare una fetta di Gorgonzola mentre se ingerisco un altro formaggio ammuffito, potrei sentirmi male? Su entrambi c’è la muffa, e allora qual è la differenza? Cosa rende alcune muffe commestibili e altre no? Ecco tutto quello che devi sapere sulle muffe e su come agiscono sul nostro corpo.
Per poter fare una distinzione tra il gorgonzola e il formaggio ammuffito, dobbiamo prima capire che cos’è questa muffa che ogni tanto si impadronisce del nostro frigo e perché si forma. La muffa non è altro che un ammasso di funghi microscopici posti uno accanto all’altro: esatto, sono i “cugini” dei funghi che raccogliamo in autunno nel bosco, ma mooolto più piccoli. Se ne stanno tutti vicini vicini tra di loro, formando un vero e proprio aggregato vivo che si espande, mangia e cresce, diventando anche piuttosto grosso e quindi visibile a occhio nudo… ma solo a due condizioni: servono umidità e nutrimento. Se ci fate caso, infatti le muffe spuntano proprio sugli alimenti, che sono ‘nutrimento’ per definizione, e ciò avviene – spesso – quando in frigo si forma un po’ di umidità.
Per espandersi le muffe utilizzano le cosiddette “spore”, che sarebbero le cellule riproduttive delle muffe. Immaginatele un po’ come dei semi, solo che invece di stare nel terreno viaggiano in aria per giorni, mesi o addirittura anni alla ricerca del luogo adatto dove germogliare.
Noi non le possiamo vedere perché sono davvero minuscole, ma potrebbero essercene alcune proprio in questo momento anche qui davanti a me, che svolazzano indisturbate in questa stanza. Quando trovano un luogo favorevole poi, si fermano e germogliano, formando le muffe.
Di muffe ne esistono diversi tipi, alcune buone e altre cattive. Ci sono ad esempio le muffe del genere Mucor e Rhizopus che si trovano nella frutta, nella verdura marcia o nel pane andato a male e che, in alcuni casi, possono essere dannose per il nostro organismo. Poi ci sono anche le muffe del genere Aspergillus o peggio la Stachybotrys Chartarum, in grado di causare problemi respiratori anche gravi.
E poi c’è lei: la Penicillium, la cosiddetta muffa buona. Talmente buona da avere addirittura salvato milioni di persone. Già, come si intuisce dal nome è la stessa muffa che ha permesso a Fleming, nel 1928 la scoperta della penicillina: il primo antibiotico mai scoperto, grazie al quale si riuscirono a debellare malattie un tempo ritenute incurabili. Fleming, infatti, in quel periodo stava studiando dei batteri quando notò qualcosa di incredibile. Era appena tornato dalle vacanze e si accorse che si era dimenticato per tutto quel tempo una delle vaschette di batteri aperta. La vaschetta era stata contaminata dalla muffa e attorno a quella muffa vide che si era formato come un alone dove i batteri non proliferavano, come se una specie di scudo invisibile proteggesse la muffa. Fece 2+2 e capì che quello stesso “scudo invisibile” creato da quel tipo di fungo (il Penicillium notatum nello specifico), poteva essere usato anche per tenere alla larga i batteri dagli esseri umani. Inutile dire che grazie a quella scoperta salvò tantissime vite umane. Quindi la prossima volta che vostra moglie o vostro padre vi brontola che non mettete mai a posto le cose, ricordategli di Fleming e di come grazie alla sua sbadataggine ha rivoluzionato il mondo!
Comunque, adesso è facile anche per noi fare 2+2: la muffa presente nel Gorgonzola, nello Stilton o nel Roquefort, è proprio del genere Penicillium, lo stesso scoperto da Fleming. In particolare si tratta quasi sempre del Penicillium glaucum o del Penicillium roqueforti (che prende il nome proprio dal formaggio Roquefort). Le spore di queste muffe vengono inserite nel latte durante la produzione di questo tipo di formaggi che prendono il nome di formaggi erborinati, e in questo modo si formano al loro interno colonie di muffe che conferiscono, non solo quel colore verde-bluastro tipico, ma anche una consistenza morbida e scioglievole. Le muffe, infatti, sono in grado di scomporre le proteine del formaggio e degradarne i grassi, rendendo il prodotto irresistibilmente cremoso, pronto per essere spalmato su una fetta di pane.
Altri formaggi invece hanno le muffe al loro esterno, sono i formaggi a crosta fiorita. Ne è un esempio il Brie, la cui muffa è formata dal fungo Penicillium candidum, che conferisce alla buccia un colore biancastro. Anche in questo caso, tranquilli, le muffe sono innocue e il formaggio può essere consumato tranquillamente con tutta la crosta, ovviamente se piace.
I formaggi erborinati nella maggior parte dei casi possono tranquillamente essere consumati dalle persone intolleranti al lattosio. Nel momento in cui vengono aggiunte le muffe, queste attaccano il lattosio riducendone drasticamente la quantità, fino a far raggiungere al formaggio livelli di lattosio tanto bassi da essere innocui. In ogni caso, vi consiglio di fare alcuni assaggi di prova e valutare gli effetti ed evitare di conusmare chili di gorgonzola se siete intolleranti: questo perché, va detto, la tolleranza al lattosio varia da persona a persona, per cui sugli individui più sensibili anche i formaggi erborinati che contengono percentuali di lattosio davvero irrisorie potrebbero avere qualche effetto collaterale.
In generale, per essere considerati “senza lattosio”, il contenuto di lattosio dei formaggi deve essere pari o inferiore allo 0,01%.
Le muffe non stanno solo sui formaggi, ma anche su altri prodotti: per esempio sul salame. Infatti sono assolutamente necessarie per la piumatura, cioè quel processo per cui le muffe vengono messe sulla buccia del salame per conservarlo e per permettergli la corretta stagionatura. La buccia formerà quindi questa patina biancastra che serve proprio a proteggere il prodotto mantenendo il giusto equilibrio di umidità tra interno ed esterno. E poi ci sono addirittura i vini con la muffa: i vini muffati o anche detti botritizzati proprio per via del nome del fungo che li attacca, il Botrytis cinerea. Questa muffa attacca la buccia dell’uva conferendo al vino un sapore unico e ricercato.
Purtroppo non tutte le muffe ci regalano antibiotici o formaggi prelibati. Alcune possono regalarci problemi respiratori, disturbi gastrointestinali e anche infiammazioni cutanee. La loro nocività dipende dalla produzione di micotossine, e cioè delle sostanze tossiche naturalmente prodotte dalle muffe. Una delle micotossine più diffuse nei prodotti alimentari è la aflatossina B1, prodotta da alcune muffe del genere Aspergillus, che si sviluppa nei cereali, nel mais, negli arachidi e nella frutta secca in generale. Questa micotossina è stata classificata come cancerogena per l’uomo, per cui la sua esposizione prolungata aumenta il rischio di sviluppare il cancro, nello specifico quello al fegato.
Il problema delle aflatossine è proprio questo: non ci mandano all’ospedale direttamente come quando mangiamo un fungo velenoso del bosco, no, agiscono lentamente nel tempo, causando tumori, cancro, problemi al fegato e ai reni. L’esposizione a questa muffa deve quindi essere ridotta al minimo. Queste muffe non sono sempre visibili a un primo sguardo e possono formarsi in svariati modi, per esempio se gli alimenti vengono conservati male dalle aziende produttrici o durante il trasporto, oppure una volta giunte nelle nostre dispense. Le aflatossine poi, possono persino raggiungerci per vie traverse. Per esempio le muffe possono nascondersi anche dentro a uno yogurt: se le mucche che producono il latte hanno consumato mangime che a sua volta è stato contaminato da micotossine.
Tra l’altro l’aumento delle temperature e dell’umidità legati ai cambiamenti climatici fa sì che le aflatossine si stiano diffondendo sempre di più anche qui in Europa, dove originariamente erano meno presenti, quindi sono un problema che nel tempo andrà a peggiorare. Su questo aspetto però, possiamo stare abbastanza sereni perché, proprio per via della pericolosità di queste micotossine, soprattutto alimenti come mais, mangimi e cereali, vengono controllati accuratamente prima di essere messi in commercio.
Ma non pensate che le micotossine siano un’esclusiva delle muffe cattive eh, vengono prodotte da tutte le muffe. In alcuni casi anche dalle muffe buone di cui parlavamo prima. La muffa Penicillium roqueforti (quella dei formaggi erborinati), in certe condizioni potrebbe per esempio produrre una micotossina chiamata roquefortina C, ma lo fa in quantità minime e per questo non causa alcun problema al nostro organismo.
Continuando il nostro viaggio nelle muffe cattive invece, non possiamo non citare la Stachybotrys Chartarum, le cui micotossine causano problemi respiratori, infiammazioni cutanee, confusione mentale e in casi estremi addirittura collassi respiratori. Questa è forse una delle muffe più pericolose e presenta un colore nero e brillante. Più che nei cibi, però, si diffonde nelle pareti umide delle case e nei materiali ricchi di cellulosa.
È vero, come abbiamo detto, che le muffe possono essere molto tossiche ma, se ingerite in piccole quantità, nella maggior parte dei casi non succede nulla. Se per caso mentre siamo a cena ci capita di mangiare per sbaglio un pezzo di alimento con la muffa, stiamo tranquilli, non serve mica correre all’ospedale a fare una lavanda gastrica: basta accorgersene e scartare l’alimento.
Se si consumano grandi quantità di muffa, invece, è probabile tutt’al più che ci venga un bel mal di stomaco con vomito e diarrea. Il vero pericolo quindi, lo ripeto, rimane l’esposizione prolungata alle muffe, per cui occhi aperti e attenzione allo stato delle nostre pareti e delle nostre dispense.