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28 Febbraio 2022 11:00

Perché le fake news si chiamano “bufale”?

Una "bufala" è una notizia falsa, ma perché si dice così? Le teorie al riguardo sono molte: ecco cosa c'è di vero e perché la povera bufala viene identifica con le fake news.

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Nell'era dell'informazione, nel momento storico in cui siamo tutti iper connessi, iper collegati, c'è una cosa a cui dobbiamo stare tutti molto attenti: le fake news. Inizialmente viste come innocenti scherzi, si sono rivelate un mezzo con cui esercitare il potere e sono state al centro di numerose inchieste dello spionaggio internazionale. Le fake news sono senza ombra di dubbio uno dei mali del nostro tempo, ma perché queste notizie false le abbiamo chiamate "bufale" in Italia? Cosa ci avranno mai fatto questi poveri animali, mansueti e tanto importanti per la nostra tradizione gastronomica, da associare il loro nome a uno degli strumenti più pericolosi delle potenze mondiali? Andiamo a scoprire perché le notizie false le chiamiamo bufale.

I creduloni, il carnevale, la carne: le tre fonti da cui viene una "bufala"

La bufala ci dà la mozzarella, uno dei latticini più buoni che ci siano, dobbiamo esserle eternamente grati. Invece la nostra lingua ha relegato questi animali a una piaga sociale. Siamo costantemente impegnati a riconoscere e stare alla larga dalle notizie false, da quelle diffuse volontariamente e da quelle divulgate in maniera involontaria, magari da qualche giornalista che non ha ben verificato le fonti prima di scrivere un articolo. In realtà andare alla scoperta delle origini dell'uso della parola "bufala" non è così semplice. Ci sono infatti diverse teorie che portano a questa nomenclatura.

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La prima versione riguarda i buoi, ed è quella più tradizionale, quella accettata anche dall'Accademia della Crusca; secondo questa ipotesi l'espressione deriverebbe dall'anello che i buoi hanno al naso e che gli allevatori usano per placare le ire degli animali o per guidarli da una parte all'altra. "Menare per il naso" è infatti un'espressione che si usa per indicare qualcuno che vuole aggirare qualcun altro. Secondo questa teoria la parola "bufala" si userebbe perché la notizia falsa è in grado di influenzare l'opinione di chi la legge, portando gli interlocutori a credere a ciò che scrive l'autore.

Altra tesi riguarda invece il Carnevale ed è legata a un'espressione dialettale toscana; a Siena e Firenze, infatti, si organizza la "bufalata", un palio che vede come momento topico una corsa tra bufali dai toni burleschi (anche perché non sono gli animali più atletici di questo mondo). L'atmosfera di questa festa ormai desueta ha portato i toscani a coniare l'espressione "bufala" per indicare la presa in giro, oppure una storia inventata di sana pianta.

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L'ultima teoria è quella più intrigante ed è anche quella più legata al mondo della gastronomia. L'espressione "bufala" si ricollega a un'usanza molto in voga fin dai tempi dell'antica Roma e caduta in disuso solo da quando le leggi sul tracciamento sono diventate più stringenti, quindi dalla Seconda guerra mondiale in poi. I macellai del tempo, per guadagnare di più, usano infatti la carne di bufala, ritenuto animale di scarso valore, spacciandola per maiale o manzo. L'usanza è entrata prepotentemente nelle osterie laziali che per anni hanno truffato gli avventori spacciando una carne per l'altra. Quindi come si ricollega all'espressione? I clienti dai palati più fini, scoperto l'imbroglio, esclamano "ma questa è una bufala!" umiliando l'oste. La frase è diventata linguaggio corrente del dialetto romanesco: "Arifilà ‘na bufola" si usa quando bisogna dare a qualcuno una fregatura.

Quest'ultima storia ha, tra l'altro, un risvolto molto positivo: oggi la carne di bufala non viene più vista come un taglio scadente e tantissimi stanno cercando di ridar vita al prodotto. Nel basso Lazio, zona florida in cui prosperano questi animali e si trovano alcune delle mozzarelle più buone d'Italia, c'è oggi una grande tradizione di bufala alla brace, una carne dal sapore intenso e piacevolissimo, assolutamente da provare.

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