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28 Dicembre 2024
18:00

Perché il rituale del caffè a Napoli è unico, secondo un’importante antropologa

Elisabetta Moro, vicentina di nascita e napoletana d'adozione, è professoressa di Antropologia Culturale presso l'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa ed una delle massime esperte al mondo della materia. Spiega su Repubblica perché, al netto delle polemiche sulla qualità, il caffè a Napoli è qualcosa di diverso.

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Il caffè, oggi bevanda simbolo di socialità e creatività, ha radici profonde nella storia e nella cultura italiana, arrivando a diventare un vero e proprio rito nella città di Napoli. Questo legame speciale con la bevanda è testimoniato dalla professoressa Elisabetta Moro, antropologa e scrittrice, che su Repubblica afferma: "Il caffè è un rito che a Napoli supera il tempo e lo spazio, unisce classi sociali e rappresenta un momento sacro della quotidianità". Al netto delle polemiche suscitate da Report vediamo insieme di cosa parla la docente dell'Università Suor Orsola Benincasa.

Alle origini del caffè: una tradizione diventata cult a Napoli

Il termine "caffè" deriva dall’arabo "kawa", associato alla pietra sacra della Kaaba alla Mecca, e successivamente trasformato in "kahve" in turco, fino a diventare "caffè" in italiano. La caffeina, considerata capace di mantenere la mente lucida e le passioni sotto controllo, era venerata come una sostanza quasi divina. Nelle antiche botteghe di Costantinopoli, chiamate “Scuole di Sapienza”, il caffè era noto come “latte dei pensatori”, diventando il carburante ideale per studiosi e mercanti. Questa carica simbolica e funzionale del caffè non si è mai persa. "La lucidità che il caffè dona non è solo fisica, ma anche sociale e culturale. È un motore per la modernità, capace di rivoluzionare il pensiero e le relazioni", sottolinea la professoressa Moro.

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A Napoli, il caffè non è semplicemente una bevanda: è un simbolo di identità culturale. Arrivato nel porto partenopeo nel XVIII secolo, si è rapidamente diffuso grazie alla sua capacità di riunire persone di ogni ceto sociale. Nei palazzi nobiliari, si imparava dai trattati di cucina, come "Il Cuoco Galante" di Vincenzo Corrado, l’arte di tostare i chicchi per mantenere un aroma dolce e avvolgente, ancora oggi distintivo del caffè napoletano. Corrado stesso codificò anche la ricetta della crema di caffè fredda, precorrendo di due secoli le attuali versioni.

L’Ottocento segna una svolta con l’invenzione della caffettiera napoletana, strumento che permette di ottenere un caffè dal sapore intenso e corposo, grazie al filtraggio dell’acqua bollente senza dispersioni di aroma. Questo metodo ha soppiantato l’antica bollitura alla turca, consolidando Napoli come capitale del caffè. Secondo Moro "La caffettiera napoletana è il perfetto esempio dell’ingegnosità partenopea: un oggetto semplice ma geniale, che custodisce e amplifica l’anima del caffè".

Una delle tradizioni più emozionanti legate al caffè a Napoli è quella del caffè sospeso, simbolo di solidarietà e generosità. Chi può permetterselo paga un caffè in più al bar, lasciandolo "in sospeso" per chi non può permetterselo. Questo gesto, che esemplifica il valore dell’inclusione nella cultura napoletana, è stato celebrato anche dalla letteratura e dal cinema. Non meno significativo è il “caffè di ginocchio”, ricavato dai fondi riutilizzati per preparare una bevanda economica destinata agli strati più poveri della popolazione. Una pratica che testimonia la capacità dei napoletani di trasformare anche le difficoltà in creatività. Come ricorda la professoressa Moro "A Napoli il caffè è molto più di un piacere, è un’arte e una filosofia di vita".

La passione dei napoletani per il caffè è celebrata in tutto il mondo, grazie alla diffusione di simboli come la tazzina di espresso, le canzoni e la poesia. Da Totò a Pino Daniele, l’espresso napoletano è cantato come una piccola gioia quotidiana che racchiude in sé cultura, storia e convivialità. La professoressa Moro, conclude sulle pagine di Repubblica, dice che preparare e gustare un caffè a Napoli "non è mai un’azione banale. È un momento che coinvolge i sensi, il cuore e l’anima, un legame profondo con le proprie radici e con la comunità".

Nato giornalista sportivo, diventato giornalista gastronomico. Mi occupo in particolare di pizza e cocktail. Il mio obiettivo è causare attacchi inconsulti di fame.
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