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8 Aprile 2024 13:00

Perché il latte va pastorizzato? Una questione di sicurezza alimentare

Il latte è un alimento facilmente deperibile che per essere consumato in sicurezza e conservato più a lungo subisce questo trattamento termico che non altera le sue proprietà organolettiche e nutrizionali.

A cura di Federica Palladini
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La pastorizzazione è uno dei trattamenti termici che subisce il latte crudo al fine di poter essere commercializzato, conservato e quindi consumato in tutta sicurezza. Si tratta, infatti, di una lavorazione regolamentata per legge (la n.169 del 3 maggio 1989) che garantisce l’eliminazione di possibili agenti patogeni contenuti all’interno del latte appena munto, preservandone le proprietà organolettiche e nutrizionali. Il latte crudo, come da parere dall’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, può essere fonte di batteri nocivi quali Campylobacter, Salmonella ed Escherichia coli produttore della tossina Shiga (STEC), che possono portare a conseguenze più o meno gravi alla salute dell’uomo ed è quindi consigliato, se acquistato, berlo solo previa bollitura.

Come avviene la pastorizzazione del latte?

Per eliminare la carica microbica potenzialmente presente nel latte crudo, questo dopo la mungitura viene trasferito in recipienti sterili nelle apposite centrali, dove avviene la pastorizzazione. Il latte viene così sottoposto a un procedimento che implica diverse combinazioni di temperature e tempi, in base alla sua origine e alla destinazione d’uso finale.

Le due varianti che si possono praticare sono:

  • la pastorizzazione bassa, dove il latte viene riscaldato a 63 °C per 30 minuti;
  • la pastorizzazione alta, dove viene portato per non più di 15 secondi tra i 72 °C e i 78 °C.

Da qui il latte è subito fatto raffreddare, abbassando la temperatura a 4 °C, la stessa con cui viene solitamente tenuto in frigorifero. Il secondo metodo è quello più utilizzato, in quanto ottimizza le tempistiche, non altera la natura delle sieroproteine, quindi non ci sono rilevanti modificazioni nella costituzione del latte, che mantiene i suoi benefici e le sue proprietà organolettiche.

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Quali sono le tipologie di latte pastorizzato?

Pastorizzare il latte significa non solo renderlo un alimento sicuro, ma anche aumentare la sua shelf life, in quanto si eliminano batteri e microorganismi che si nutrono delle sostanze in esso presenti, trasformando il lattosio in acido lattico, così da irrancidirlo in pochissimo tempo. In commercio si trovano diversi tipi di latte vaccino pastorizzato:

  • Latte pastorizzato: il latte che ha subito il trattamento termico e che deve mantenere un contenuto di sieroproteine non denaturate non inferiore all’11% del totale.
  • Latte fresco pastorizzato: il latte che deve subire il processo entro 48 ore dalla mungitura con un contenuto di sieroproteine non denaturate di almeno il 14% del totale.
  • Latte fresco pastorizzato di alta qualità: il latte di cui la provenienza e produzione garantiscono alti standard, certificati dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, e che contiene sieroproteine non denaturate uguali o superiori al 15,5% del totale.
  • Latte pastorizzato microfiltrato: il latte che prima della pastorizzazione, quindi da crudo, viene prima fatto passare in un colino a maglie strette che trattengono un’altissima parte dei batteri che sono responsabili del suo deperimento. Ha le stesse proprietà del latte fresco, ma dura più a lungo.

La pastorizzazione non va confusa con la sterilizzazione, che è il procedimento che investe il comune UHT,  il latte a lunga conservazione che si mantiene fuori dal frigorifero anche per 2-3 mesi, ed è considerato molto invasivo. Con questo metodo, infatti, si usano temperature elevate, dai 131 °C ai 150 °C per pochissimi secondi, assicurando la distruzione di tutti i microrganismi, ma allo stesso tempo danneggiando le proprietà organolettiche e nutritive.

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Il padre della pastorizzazione: Louis Pasteur

In Italia l’obbligo di pastorizzare il latte, costituendo le apposite centrali dove eseguire il risanamento termico, è stato istituito nel 1929, tramite il Decreto Regio del 9 marzo. Come sappiamo, però, il latte non è l’unico alimento che viene coinvolto in questo processo, ma si pastorizzano anche le uova, la birra, i succhi di frutta.

A inventare e brevettare questo metodo è stato alla fine dell’800 Louis Pasteur, chimico e microbiologo francese che scoprì la relazione tra alterazione dei cibi, microorganismi esterni e il calore come mezzo per debellarli: gli esperimenti che condusse non erano sul latte, ma sulle bevande alcoliche, in particolare il vino, quando nel 1863 aveva ricevuto la richiesta da parte di Napoleone III di capire come mai in tantissime cantine il vino si inacidiva e deteriorava, temendo una crisi economica rilevante per l’intera nazione. Pasteur vide che i lieviti presenti nel vino potevano essere debellati scaldando il mosto per pochi secondi tra i 50 °C e i 60 °C: in questo modo la fermentazione si bloccava.

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Da qui, la tecnica si estese nel tempo anche ad altri cibi: lo stesso Pasteur, probabilmente, non ha mai provato la sua scoperta sul latte, che viene proposta per la prima volta nel 1886 dal chimico tedesco Franz von Soxhlet e applicata su larga scala a partire dagli anni '20, scongiurando la morte di tantissime persone, soprattutto bambini, che bevevano abitualmente latte crudo, all'interno del quale si sviluppavano patogeni che potevano trasmettere malattie come la tubercolosi.

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