I semi di frutta e verdura sono brevettati e protetti dalle leggi internazionali: una discussione molto vecchia, che ancora deve trovare una soluzione unanime. Inizialmente il brevetto è stato previsto per proteggere il diritto d'autore, oggi "strozza" le piccole aziende.
"Per fare l'albero, ci vuole il seme, per fare il seme, ci vuole il fiore" cantava Sergio Endrigo, ma si sbagliava. Al giorno d'oggi bisogna dire che per fare un seme occorrono un laboratorio e un brevetto.
Non tutti lo sanno ma i semi che coltiviamo e che ci danno frutti e verdure di prima qualità sono sottoposti a brevetto, come un qualsiasi medicinale. La tematica è complessa, ingarbugliata e può essere sintetizzata in una maniera abbastanza semplice: le imprese agricole non riproducono i semi autonomamente tranne rare eccezioni, quindi i semi che comprano e che usano hanno un brevetto per tutelare chi li ha selezionati.
Perché le aziende non usano i semi che trovano naturalmente nei frutti? Perché questo seme non sarebbe competitivo con quelli venduti dalle aziende sementiere. Molte ditte, soprattutto all'inizio della coltivazione, non piantano il seme ma trapiantano direttamente delle piantine già avviate. Il motivo è meramente economico: i tempi di attesa sono inferiori ed è più facile far sopravvivere le piante già "nate". Come tutti gli esseri viventi, anche i vegetali appena "nati", ovvero dopo essere germogliati, sono estremamente delicati. Partire da una pianta già "fatta" aiuta a tutelare gli affari di queste aziende perché riducono i rischi e producono vegetali tutti uguali. L'uniformità è una delle basi (e delle calamità) dell'agricoltura moderna. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Se gli agricoltori comprano le piantine già fatte dai vivai, i vivai da dove le prendono queste piante? Dalle aziende sementiere: ogni azienda ha il proprio catalogo dove, per ogni tipo di vegetale, ci sono tutte le varietà e tutte le componenti genetiche note. Un pomodoro è un pomodoro per i profani, per un'azienda invece varia per forma, dimensione, colore, resistenza, stagione di trapianto. Questa "selezione naturale" la opera il breeder, ovvero il responsabile di ricerca e sviluppo delle varietà dei vegetali. Il suo lavoro consiste nell'individuare le diverse linee parentali dei semi, incrociarli e cercare di far convergere tutte le caratteristiche positive in una nuova varietà da immettere sul mercato.
Questo lavoro è stato "inventato" nel secolo scorso perché, fino al 1930, i brevetti per gli esseri viventi non esistevano: a metà ’900 abbiamo avuto la "rivoluzione verde" grazie a Nazzareno Strampelli e Norman Borlaug, due scienziati che hanno contribuito al miglioramento delle varietà di frumento, ottenendo un riconoscimento. Fino a questo momento le aziende non avevano mai badato a investimenti nello sviluppo varietale perché era impossibile brevettare una nuova varietà di melanzana (ad esempio). Questa verdura esisteva già, dopotutto.
Come possiamo brevettare un essere vivente, creato dalla natura? Effettivamente ancora oggi è motivo di discussione, la prima in tal senso c'è stata proprio nel 1930 al Planet Patent Act. Le più eminenti personalità del tempo hanno stabilito che le piante prodotte in modo asessuato (quindi tramite questo tipo di sperimentazione) possono essere brevettate tutte tranne i tuberi. Purtroppo non possiamo spiegare la motivazione di questa esclusione perché, semplicemente, non esiste.: novant'anni dopo non sappiamo ancora perché i biologi del PPA hanno escluso i tuberi dalle licenze.
Il primo brevetto di un essere vivente è arrivato l'anno dopo: la rosa rampicante "sempre in fiore" di Henry Bosenberg. Con l'incombere della Seconda guerra mondiale e una ricerca ancora in fase embrionale, la riproduzione dei semi vegetali mediante questa tecnica era economicamente sconveniente. Il punto di svolta avviene con la fine del conflitto: in Francia viene fondata l'UPOV, ovvero l'Unione Internazionale per la Protezione delle Nuove Varietà Vegetali. L'associazione non governativa oggi conta oggi ben 72 Stati in tutto il mondo, che si attengono tutti alle stesse regole in modo da facilitare il commercio e lo scambio di varietà vegetali. Il regolamento è molto stringente e vieta di riprodurre, vendere, importare o esportare il seme. Il brevetto dura 20 o 25 anni a seconda del tipo di pianta che si vuole commercializzare.
All'inizio di questa storia il brevetto è servito a tutelare gli scienziati che singolarmente hanno fatto degli studi sugli ecotipi. È stato un periodo di grandi passi avanti nella giurisprudenza, con sentenze che ancora oggi fanno scuola. Nel 2022 tutto è più smaliziato: il fine ultimo è il profitto. Non si tratta solo di questo: la sementiera sta creando dei grandi problemi alla biodiversità mondiale, perché i semi meno redditizi vengono abbandonati. In Italia ci sono migliaia di vegetali tenuti in vita solo per non far estinguere la pianta.
Gli ecotipi originali non possono essere brevettati e possono essere trovati facilmente presso gli enti pubblici o i vivai, ma il loro utilizzo è quasi completamente abbandonato perché la resa e la qualità degli ortaggi non è paragonabile alle varietà odierne. Se volete potete coltivare i semi registrati nel vostro orto, per uso personale, ma la legge vieta espressamente a un agricoltore di usare un seme protetto da brevetto e utilizzarlo per fare profitto. Praticamente è equiparato alla pirateria: è come replicare una borsa firmata.
Come abbiamo detto all'inizio però, la situazione è complicata. Secondo la Convenzione sul Brevetto Europeo (la CBE), non possono essere concessi brevetti per "le varietà vegetali o le razze animali come pure i procedimenti essenzialmente biologici per l’ottenimento di vegetali o di animali". Questo principio è stato allentato di molto negli ultimi 30 anni: un brevetto odierno può includere numerose varietà di una stessa pianta. Il "diritto d'autore" da proteggere all'inizio di questa "corsa al brevetto" era legato soprattutto a piante geneticamente modificate, oggi invece i brevetti vengono rilasciati anche su piante selezionate in maniera convenzionale e questo è un problema.
Al momento la situazione giuridica è tutt'altro che chiara anche a livello internazionale: esistono diverse ordinanze e sentenze in contrasto con se stesse. Ciò che è certo è che lo scopo originario di proteggere le invenzioni e quindi di stimolare lo spirito innovativo è ormai perso. I brevetti sulle sementi limitano fortemente l'innovazione perché i selezionatori e gli agricoltori non possono più utilizzare i semi brevettati come base per nuovi studi a causa delle sanzioni.
Le organizzazioni ambientaliste più grandi al mondo stanno lottando da anni contro questa legislazione e la maggior parte dei breeder si sta opponendo ai brevetti sulle sementi convenzionali. Oltre all'appiattimento della proposta gastronomica e ambientale, c'è anche una questione commerciale che non può essere sottovalutata: le grandi aziende acquistano i brevetti o riescono a immetterne sul mercato dei nuovi, cannibalizzando le piccole e medie imprese che non possono permettersi brevetti propri. La minore concorrenza e la mancata innovazione sta contribuendo all'innalzamento dei prezzi e alla riduzione della scelta di ortaggi nei supermercati. Questo processo, a lungo termine, metterà a repentaglio l'intero sistema di sicurezza alimentare.