Una regola base di economia aziendale che spesso viene dimenticata nel mondo della ristorazione e che viene ignorata da moltissimi pizzaioli. Il BEP è forse il motivo principale che ha portato alla chiusura di così tante pizzerie in Campania, e in particolare a Napoli, nell'ultimo anno. Vediamo di che si tratta.
Non è ancora sopita l'onda lunga della polemica legata a Flavio Briatore e alle sue parole sulla pizza napoletana che arriva un'altra ondata di indignazione: la Lombardia supera la Campania per numero totale di pizzerie. "E chi se ne importa?" penserai tu… e avresti ragione. Il numero totale di indirizzi non è assolutamente rilevante. Può essere un dato statistico carino visto che la pizza è sempre stata dominata dalla Campania ma ormai questo è un piatto universale, quello più postato sui social, e la Lombardia ha il doppio degli abitanti della Campania. Eppure è bastato questo per trincerarsi dietro la solita polemica della "supremazia razziale partenopea". Come si è arrivati a questa cifra? Tante nuove aperture al Nord e tante chiusure al Sud. Secondo l'assessore alle attività produttive, lavoro, demanio e patrimonio della regione Campania, Antonio Marchiello, bisogna intervenire subito. Il calo drastico del numero di pizzerie nel capoluogo campano è preoccupante per la politica regionale. Possibile che questa crisi sia da imputare alla gestione economica scellerata dei ristoranti? Sì, è possibile.
L'assessore Marchiello sembra sorpreso dai marchi napoletani che aprono nuovi locali nelle altre regioni mentre la Campania affonda e che è necessario un intervento immediato per risolvere questo problema. Marchiello ha anche spiegato che la Regione è disposta a mettere in campo degli interventi mirati per sostenere il settore ma che, per essere fatto come si deve, i pizzaioli devono fare rete tra loro. Assistenzialismo, in pratica. . Siamo sicuri che il numero totale delle pizzerie sia indicativo di un settore florido? Assolutamente no, anzi.
Fin dal lockdown del marzo 2020, fin dalle prime aperture, la maggior parte dei protagonisti della ristorazione italiana hanno parlato di "selezione naturale" di pizzerie, bar, ristoranti, pasticcerie, pub e chi più ne ha, più ne metta. In molti hanno previsto una scrematura che effettivamente è arrivata: chi aveva le spalle solide prima delle fatidiche chiusure ha dovuto stringere la cinghia ma è sopravvissuto, gli altri sono venuti a mancare.
Il merito della polemica che ha coinvolto Briatore, Sorbillo e tutta la città di Napoli è aver scoperchiato un problema enorme del mondo della pizzeria partenopea: il costo delle pizze. La margherita ad esempio non dovrebbe costare meno di 6 euro nella regione perché è impossibile scendere di prezzo restando sostenibili economicamente, pagando regolarmente i dipendenti e usando dei prodotti di qualità. Una guerra tra poveri, come abbiamo raccontato anche col caffè, con il lavoratore finale a fare le spese per un prezzo troppo basso. Non si muore con prodotti di bassa qualità che rispettino le procedure HACCP ma è bene ricordare una cosa: quando il costo di un prodotto non è adeguato ci sarà sempre qualcuno a pagarne le spese e questo qualcuno è sempre il più debole. Nel caso della scomparsa delle pizzerie da Napoli a farne le spese non è solo il povero cameriere ma anche il titolare che ha fatto male i conti sul break even point, ovvero il "punto di pareggio".
Qualsiasi imprenditore che si rispetti deve conoscere il punto di pareggio della propria impresa. Il BEP è il margine di contribuzione: in parole povere l'imprenditore deve sapere quante pizze e panzarotti può vendere al massimo delle proprie possibilità lavorando sugli asset (ovvero i dipendenti e gli ingredienti), sui volumi di vendita e costi del venduto (più vendi in un ristorante, più questi costi aumentano), e sui profitti, ovvero la differenza tra le vendite e la somma dei costi fissi + variabili. Se dopo aver fatto il calcolo non si riesce a vendere a sufficienza per arrivare al punto di pareggio, il fallimento è inevitabile.
Come si calcola il break even point? Con gli "orologi":
Tutto questo discorso smentisce gran parte delle difese d'ufficio fatte al costo basso della pizza napoletana: la maggior parte delle persone ha invocato un "diritto" alla pizza popolare, in molti (anche tra i pizzaioli) hanno detto che il margine di guadagno si fa sui rincari di dolci e bevande ma questo discorso è fallimentare anche vedendo i classici dati di vendita. La margherita è la pizza più venduta e la maggior parte delle persone si limita a pizza&birra. I prezzi "civetta" sono improduttivi e vengono invocati solo nella ristorazione. Te lo immagini Giorgio Armani mettere una maglietta a 10 euro perché tutti hanno il diritto a vestirsi per poi sperare di guadagnare davvero sulle giacche da 1000 euro? Assolutamente no perché il risultato sarebbe scontato: Armani o chi per esso attirerebbe solo clientela disposta a spendere 10 euro per la maglia, andando in bancarotta in pochi mesi. Stesso discorso vale per le pizzerie: vendere prodotti a basso margine manda a gambe all'aria il progetto al primo alito di vento. Questo è il motivo per il quale vengono sacrificati i diritti dei lavoratori: sono quelli che costano di più ma al contempo sono gli invisibili.
La pizza napoletana tornerà all'altezza della propria fama solo nel momento in cui la città e gli interpreti più in vista la smetteranno di trincerarsi dietro certe carnevalate. Non è un caso che le pizzerie migliori della città, quelle pluripremiate nelle guide gastronomiche, siano sopravvissute quasi tutte a questi due anni di pandemia, anzi, abbiano addirittura incrementato il proprio fatturato. Imprenditori forti, destini forti, parafrasando l'attuale allenatore del calcio Napoli.