Abbiamo chiesto a tre dei più importanti pizzaioli del mondo di rispondere a una delle più delicate domande sugli impasti: la risposta corretta è che "dipende". In base al tipo di pizza che vogliamo fare dobbiamo scegliere. La risposta "più corretta" è che si parte dalla farina, non dall'acqua.
Può sembrare una domanda banale ma non lo è ed ha turbato le notti dei pizzaioli per anni: per fare l’impasto della pizza si parte dall’acqua o dalla farina? La risposta più logica, basandoci sulla scienza, è una sola: si parte dalla farina perché è la farina che assorbe l'acqua, non il contrario. In realtà poi la questione è molto più complessa e la risposta più corretta è invece un'altra, più poetica per così dire: dipende dal tipo di pizza che vogliamo fare. Per districare questa intricata massa abbiamo chiesto a tre dei migliori pizzaioli al mondo qual è il loro metodo.
Spesso e volentieri siamo traviati dal concetto di tradizione e confondiamo il gusto classico con la tecnica giusta da usare. Questo della pizza è un esempio tipico: la scuola napoletana, quella più antica che esista, prevede un impasto che parte dall'acqua e tutti le sono andati dietro. I vecchi pizzaioli versavano l'acqua in un recipiente e aggiungevano la farina.
Le dosi della ricetta venivano rapportate all'acqua stessa: la ricetta tipica è 1,6 kg di farina per ogni litro d'acqua. Oggi questa pratica, con le dosi "a occhio", è superata perché non ha senso e l'evoluzione della pizza ha portato immensi risultati.
Quando parliamo di "evoluzione" non ci riferiamo a così tanti anni fa. Il mondo della pizza ha infatti "messo il turbo" nell'ultimo decennio e si sta affinando in corso d'opera, ancora oggi. Ad esempio Pier Daniele Seu, di Seu Pizza Illuminati a Roma, ci racconta che quando cominciò a impastare "il metro di paragone era ancora l'acqua da usare nell'impasto, da mettere prima della farina". Seu è un ragazzo classe 1987, non un vecchio maestro smaliziato, e questo ci fa rendere conto della rapidità con cui questo universo sta cambiando. "Oggi non è più così — conclude il 3 Spicchi Gambero Rosso e terzo nella classifica di 50 Top Pizza — perché ragionando sugli impasti e studiando la materia si capisce che si parte dalla farina perché è la farina che assorbe acqua".
Meno drastici sono invece Salvatore Kosta e Michele Pascarella: dipende dall'impasto. Il primo ci dice che per una pizza con un'idratazione media, tra il 65% e il 70% "possiamo tranquillamente unire subito l'acqua e la farina perché ci permette di chiudere l'impasto nei tempi giusti, senza che si verifichino ritardi che portano al surriscaldamento della massa". Il pizzaiolo, al momento "svincolato" perché a breve aprirà il suo indirizzo a Torre Annunziata, ci dice che la cosa più importante non è il "punto di partenza" ma la conoscenza delle "caratteristiche reologiche della farina, ovvero la capacità di assorbimento".
Per conoscere questa caratteristica dobbiamo cercare la "forza della farina", espressa col simbolo della doppia vu (W). "Una volta che conosciamo le caratteristiche della farina e sappiamo che pizza vogliamo realizzare, possiamo scegliere da cosa partire. Sottolineo comunque che anche quando vogliamo un prodotto con un'idratazione più alta possiamo aggiungere tutti gli ingredienti insieme — conclude Kosta — ma corriamo il rischio di allungare i tempi di impastamento, arrivando a sfiancare la struttura proteica e surriscaldando la massa, tutte cose che ci danno una pizza peggiore". In parole povere possiamo fare ciò che vogliamo ma il modo in cui facciamo qualcosa influisce sulla resa del nostro piatto.
Michele Pascarella, di Napoli on the road, uno degli indirizzi più in voga di Londra, va addirittura oltre: "La domanda è errata perché bisogna capire bene che tipo di impasto faremo. Esistono due scuole di pensiero: la scuola napoletana parte dall'acqua perché la pizza tradizionale ha una bassa idratazione. In questi casi non c'è differenza se parti dall'acqua o dalla farina perché l'impastatrice fa abbastanza attrito e crea una struttura. La scuola moderna parte dalla farina". Pascarella, quest'anno nominato "Miglior pizzaiolo d'Europa" da 50 Top Pizza, ne fa una questione storica: "Le farine di un tempo non erano efficienti come quelle di oggi, partire dall'acqua per un impasto fatto a mano facilitava il compito dei pizzaioli. Oggi la risposta giusta è che dipende". Il maestro d'Oltremanica ci fa l'esempio della teglia romana con un impasto all'80% di idratazione: "Se mettiamo tutta l'acqua nello stesso momento non avremo l'attrito necessario per far formare a dovere la struttura, deformando si conseguenza tempi e assorbimento. Nella nuova scuola si parte dalla farina sempre perché ci sono tre fasi di impasto nelle tecniche moderne. Nelle prime due avendo più farina che acqua si crea l'attrito con l'impastatrice, quindi è meglio aggiungere l'acqua un po' alla volta in base all'attrito che si viene a creare tra la macchina e l'impasto".
Dopo tutto questo bel parlare abbiamo quindi capito che l'argomento è più complesso di quanto si possa immaginare, che la scelta dipende dal tipo di pizza che vogliamo fare e che nella quasi totalità dei casi si parte dalla farina e non dall'acqua per fare una buona pizza.