La redazione di Report prova a rispondere alle domande più comuni sulla pasta italiana: meglio lisce o rigate? Artigianale o industriale? C'è poi l'annosa questione sul grano italiano, europeo o extra europeo. A molti di questi quesiti la risposta è più semplice di quanto si immagini: dipende da cosa bisogna cucinare.
Pasta liscia o rigata, i metodi di essiccazione, la provenienza del grano: l'inchiesta di Report prova a fare luce sull'alimento più amato dagli italiani. Siamo la nazione che consuma più pasta al mondo: eppure le false informazioni in nostro possesso su questo prodotto sono tantissime.
La pasta rigata ad esempio, secondo le stime è preferita rispetto a quella liscia dal 90% degli italiani: una maggioranza bulgara che ha scatenato più di qualche ironia ai tempi del lockdown. File di scaffali vuoti nei grandi centri commerciali, intervallati da piccole oasi di prodotti: erano le "povere" penne lisce, abbandonate lì anche in mezzo a una crisi mondiale.
Le motivazioni starebbero nell'idea che la pasta rigata trattenga meglio i sughi: eppure gli chef non sono d'accordo. Basta dare uno sguardo ai menu dei ristoranti stellati per accorgersi che sono pochissimi i primi piatti che prevedono le paste rigate. Questo perché gli esperti, e gli stessi pastai, affermano che la pasta liscia trattenga meglio i sughi, se trafilata in bronzo ed essiccata lentamente. L'inchiesta di Bernardo Iovene si basa proprio su questo "se" e va a scoperchiare un grande segreto di Pulcinella della gastronomia italiana.
"Io sono un fanatico della penna liscia. Secondo me è uno dei formati più buoni del mondo": comincia con le frasi di Oscar Farinetti l'inchiesta di Report. Il fondatore di Eataly insieme a Iovene prova due piatti di pasta identici, con due formati diversi. Il giornalista della Rai si trasferisce poi al Don Alfonso 1890, ristorante 2 Stelle Michelin in Costiera Sorrentina, insieme allo chef Ernesto Iaccarino che è ancora più categorico: "Io la pasta rigata mi rifiuto di farla. Tradizionalmente la penna nasce come pasta liscia. Una grande pasta deve avere tre caratteristiche: essiccazione a bassa temperatura, una trafila in bronzo e dei grani italiani che sono meno trattati".
L'inchiesta si alterna tra pastai, chef e semplici clienti, con una spaccatura impressionante tra le opinioni: tutti i clienti intervistati hanno affermato di preferire la pasta rigata, quasi tutti i cuochi hanno mostrato la preferenza per la penna liscia. La parola passa poi a Giuseppe Di Martino, titolare dell'omonimo pastificio, che spiega come tecnicamente la pasta rigata sia imperfetta: "La cottura della pasta in una penna rigata non può essere perfetta perché il rigo crea un'ulteriore sezione della pasta, quindi le parti interne si cuociono prima. Una pasta liscia è soggetta invece a una cottura omogenea".
Questi dati sono incontrovertibili, nell'inchiesta c'è un enorme "però" riguardo il consumo di pasta degli italiani: quasi tutti, per convenzione culturale o per scelta economica, consumano una pasta industriale. La prova che il giornalista fa da Lino Scarallo, chef stellato di Palazzo Petrucci a Napoli, è emblematica. Da un lato una penna rigata, gialla come un personaggio dei Simpson, con una superficie liscissima; dall'altro la penna liscia che usa il cuoco al suo ristorante, una penna color cachi, porosa, bellissima nell'aspetto, che ti fa venire l'acquolina in bocca anche da cruda. Pur avendo due opinioni diverse, sia le persone che i professionisti fanno la propria scelta per un motivo molto semplice, empirico: la penna trattiene meglio il sugo.
Se è vero com'è vero che la penna liscia di grande fattura trattiene meglio il sugo, che viene distribuito sulla pasta in maniera omogenea, è altrettanto vero che in una pasta industriale l'effetto è contrario. Per questo motivo gli chef stellati usano la pasta liscia a lunga essiccazione mentre le persone comuni e i ristoranti turistici preferiscono la pasta rigata.
Perché quella industriale non trattiene il sugo? Perché è trafilata al teflon; così si giunge al secondo punto dell'inchiesta: la trafilatura.
Una cosa è chiara a tutti: la trafilatura in bronzo è "anti-industriale". La pasta scivola lentissimamente attraverso i macchinari perché viene trattenuta dal bronzo stesso. L'essiccazione è una conseguenza di questo procedimento. La pasta trafilata in bronzo viene essiccata per diversi giorni a temperature che si aggirano intorno ai 35 °C (anche per questo motivo la Campania era la Terra Promessa della pasta), mentre la trafilatura in teflon può essere essiccata in 4-5 ore con temperature che superano i 100 °C
Empiricamente ognuno può preferire il formato di pasta, l'essiccazione e la trafilatura che vuole ma, come spiega il conduttore Sigfrido Ranucci, dal punto di vista nutrizionale non c'è alcuna differenza scientificamente provata. Anzi, l'Associazione Italiana di Scienza dei Cereali dice che chi ha problemi con la glicemia dovrebbe mangiare una pasta essiccata in maniera rapida.
E per quanto riguarda la pasta "artigianale"? Il Consorzio di Gragnano ha diffidato i pastai a scrivere "artigianale" sui propri packaging perché non c'è una dicitura ministeriale che classifichi le parole "artigianale" e "industriale". Il ministero ha dato ragione al Consorzio perché nel disciplinare della pasta di Gragnano non c'è questa classificazione, ma il disciplinare lo scrive e lo modifica il consorzio stesso quindi è un serpente che si morde la coda.
Ultima questione del reportage è legata al grano italiano, rifacendosi alla multa dell'antitrust dello scorso anno in cui alcuni grandi marchi sono stati "beccati" con informazioni ingannevoli. La maggior parte delle paste commerciali sono prodotte con un mix di grano italiano, grano europeo ed extra europeo. Va sottolineato come le norme, nazionali e dell'Unione Europea, permettano questa dicitura.
Per l'Antitrust il consumatore è tratto in inganno perché la dicitura "prodotto in Italia" con grano non italiano sarebbe illusoria. Va detto che quasi tutti i grandi marchi di Gragnano usano grano al 100% italiano e che, secondo uno studio della Comunità Europea, i consumatori scelgono i propri acquisti soprattutto guardando la provenienza di un prodotto.
Sorge però una domanda: il grano italiano è davvero migliore di quello estero? Assolutamente no. Ai tempi della multa dell'Antitrust, inizio 2020, Lidl si è difesa dicendo che "la qualità del grano italiano non è assoluta ed è anche inferiore a quella del grano proveniente da alcuni altri Paesi. La qualità della pasta italiana è data dalla capacità dei pastai di scegliere e miscelare la materia prima (grano) indipendentemente dalla sua origine geografica. La pasta italiana è da sempre stata fabbricata con una miscela di grani".
Questa difesa ha un fondo di verità storica: il grano italiano non ha mai avuto una qualità eccelsa, soprattutto nella forza della farina ed è per questo che sono nate diverse tecniche di levitazione nel mondo del pane, come ad esempio la biga. Altra verità storica è che moltissimi pastai, fin dagli esordi, hanno importato il grano soprattutto dai Paesi dell'Est Europa, in particolare dall'ex Unione Sovietica. Con i voli transoceanici e i patti con la Nato, l'importazione si è spostata dal blocco orientale al Canada e poi ancora agli Stati Uniti, tant'è che moltissime paste di qualità importano il proprio grano dall'Arizona e dalla California. Sullo stesso disciplinare della Pasta di Gragnano IGP non c’è un limite di grano "straniero" utilizzabile.
Un altro problema riguardante il rapporto tra il grano italiano e il mondo della pasta è molto più semplice e intuibile: la quantità richiesta. Se tutti i pastifici utilizzassero solo grano italiano, è probabile che non ci sarebbe grano per fare più nulla.