I primi a realizzare una pasta fritta (i noodles) sono stati i cinesi quasi 2000 anni fa con la tecnica della "frittura al salto", più economica e salutare del nostro metodo di cottura tradizionale. Per la pasta secca il merito è dei napoletani che hanno cominciato a friggere in olio bollente i paccheri "sbeccati".
Dagli anni '80 in poi abbiamo visto un susseguirsi di nuove tecniche e preparazioni che oggi sono diventate casalinghe: tra le più semplici e d'impatto c'è tutto il filone della pasta fritta. In realtà la pasta si frigge da tempo immemore, ma oggi fa parte a tutti gli effetti dell'universo gourmet diventato popolare. C'è da dire che in Italia siamo maestri del fritto, così come ogni Paese che ha avuto un passato pieno di povertà. La frittura è comoda per chi ha poco con cui vivere: massimizza l'apporto calorico e rende "bona pure na sola de na scarpa" come direbbe la cara vecchia Sora Lella. Vediamo però come siamo arrivati a prendere un pacchero, farcirlo e buttarlo in olio di semi perché il cammino è molto lungo e parte dalla via della seta.
L'arrivo dello speciale sulla pizza di Chef's Table realizzato da Netflix non ha fatto altro che accrescere la popolarità del prodotto. In una delle puntate "italiane", quella con il re della pizza al taglio Gabriele Bonci, c'è un passaggio che sta facendo discutere il web: il maestro romano dice che a un certo punto "tutti hanno cominciato a fare la pasta fritta, è una cosa stupenda. La pasta fritta l'ho creata io". La frase lascia aperte molte interpretazioni e presa così, letterale, è sicuramente falsa e priva di fondamento. È probabile che Bonci si riferisse alla lasagna fritta, un piatto storico di Pizzarium portato alla Prova del Cuoco nel 2015: simile alla frittatina napoletana che si trova nelle rosticcerie, è un mattoncino con della pasta fresca di farro, mozzarella e besciamella, cotta nel forno e tagliata a fette, con quest'ultime passate poi nell'uovo e nel pangrattato prima di essere fritte. Una vera svolta copiata da tutti a Roma ma l'idea di friggere la pasta è in realtà antichissima.
I primi ad avere questa intuizione sono stati i cinesi che ancora oggi hanno negli spaghetti fritti una pietanza tipica della regione di Pechino. La tecnica della frittura al salto (poco olio e ingredienti saltati in un wok) risale addirittura alla dinastia Han (206 a.C. – 221 d.C.) stando ai reperti archeologici. Il termine con cui si indica questo tipo di cottura, chǎo, compare per circa 1000 anni riferendosi ai piatti più disparati ma dal 1500 la pasta prende sempre più spazio nei wok.
Grazie alla "diaspora cinese" del 1800, il fenomeno che ha portato tantissime persone a emigrare in Occidente, la pasta fritta arriva in America e la tecnica della frittura al salto è rapidamente assorbita dagli Stati Uniti. Oggi le varianti di noodle fritti sono tantissime complici proprio i flussi migratori cinesi: la maggior parte vengono dalla cucina cantonese ma abbiamo anche i "deos fritos" spagnoli, i "fried noodles" anglosassoni, i "bokk-eumgugsu" coreani, gli "yakisoba" giapponesi e i "mie goreng" comuni in Malesia e Indonesia. Tecnicamente parlando anche il phad thai in Thailandia potrebbe essere messo in questa categoria. Va da sé che nella nostra idea di "frittura" qui siamo un po' lontani: in Occidente parliamo di fritto "a immersione", o frittura profonda, con la materia prima immersa in abbondante olio bollente; in questo caso invece l'olio è di meno e la frittura viene fatta al salto. In realtà la commistione tra Occidente e Oriente ha portato molti ristoranti cinesi a proporre degli spaghetti fritti più "classici", che spesso troviamo anche in Italia: sono rigidi e croccantissimi, usati per lo più come snack. È bene sottolineare che questo tipo di cottura è poco comune in Cina ma, più in generale, tutto il mondo della frittura è poco utilizzato in Oriente: in quella zona di mondo comandano le cotture a vapore, le griglie e infine la lessatura, solo in ultima battuta viene il fritto.
In contemporanea con tutti questi eventi storici importantissimi alcuni cuochi del Sud Italia sperimentano ciò che hanno a disposizione. Se nel 1800 nella zona di San Francisco cominciano a godere dei piaceri della cucina cinese, a Napoli cominciano a "giocare" con i formati di pasta. In particolare sono i paccheri a stuzzicare la fantasia dei campani: questo formato ormai iconico nasce come "pasta dei poveri" perché composta da grandi "maccheroni" quindi ne bastano pochi per riempire pancia e piatto. Alla vista sembrano delle maniche ma sono più sottili e lisci all'interno, ideali da condire con sughi liquidi come il ragù napoletano. I paccheri un po' sbeccati o quelli non perfettamente integri, vengono fritti dai partenopei dell'Ottocento così da massimizzarne la resa.
Questo tipo di cottura si perde per circa un secolo grazie al boom economico: se c'è ricchezza non frega niente a nessuno di risparmiare. Torna in auge solo nella cucina meridionale gourmet degli anni '80: ancora oggi in alcuni grandi ristoranti vengono serviti i paccheri ripieni di ricotta, mozzarella e prosciutto, o con pomodorini secchi e alici sott'olio. La facilità d'esecuzione, il piacevole impatto visivo e il gusto esplosivo hanno permesso a questa ricetta di pasta fritta il passaggio dall'alta cucina a quella casalinga: i paccheri fritti sono un antipasto gustoso e scenografico, ideale da servire per un aperitivo o un buffet di festa, con la croccantezza dell'esterno e il cuore filante all'interno. Una delizia da provare più volte.